martedì 25 agosto 2015

Crac Cina: per l’Europa è una grande opportunità

Il crollo della borsa di Shanghai trascina a picco le borse europee. Ma non tutto il male vien per nuocere, nel Vecchio Continente. Ecco perché

Francesco Cancellato


«La confusione sotto il cielo è grande, la situazione è ottima». Forse qualcuno potrebbe rispolverare Mao Tse Tung e le massime del Libretto rosso, dopo il lunedì nero delle borse mondiali, innescato dal crollo di quella di Shanghai: meno -4,61% Tokyo, meno 5,96% Milano, meno 5,35% Parigi, meno 4,7% Francoforte, meno 4,67% Londra. Più che indici, un bollettino di guerra. Investitori e analisti sono in preda al panico ed è difficile dar torto pure a loro. Il loro grande timore? Che il crac delle borse cinesi sia figlio di una brusca frenata della sua manifattura. Non a caso, dal petrolio al rame, il “lunedì nero” è stato nerissimo per gli indici delle materie prime. Allo stesso modo, le cassandre prevedono un futuro altrettanto fosco per chi, come i Paesi europei, hanno fatto della Cina e del suo sterminato mercato interno il loro El Dorado.Fine della finestra di speranza, quindi? Fine del venticello di ottimismo che - si diceva solo qualche mese fa - avrebbe dovuto spingere in alto Pil e prezzi europei, dopo anni di stagnazione? Forse. O forse no. Perché per quanto possa sembrare paradossale, infatti, ognuno dei rischi sottesi al crac cinese nasconde, per l'Europa, una potenziale opportunità. L'incubo di un nuovo 2008, in altre parole, potrebbe tramutarsi nella concretizzazione del sogno di ripresa, che accompagna il Vecchio Continente da almeno cinque anni. 

Partiamo dal crollo della Borsa di Shanghai. Per quanto nei giorni scorsi non lo sia stato, nei prossimi mesi potrebbe rivelarsi un toccasana. Perché questo crac “pulisce” i mercati finanziari cinesi dai piccoli investitori mal informati e inclini al panico che lo hanno invaso negli anni scorsi. Prima buona notizia, insomma: il sistema finanziario cinese era e resterà un problema, nei prossimi anni, ma perlomeno il governo cinese ha preso di petto la situazione. Miracoli del capitalismo di Stato.Nel frattempo, però, gli investitori hanno bisogno di mercati sicuri e affidabili. E quelli europei lo sono, oggi, molto più di quelli dell'estremo oriente. Tutta la liquidità che è stata bruciata a Shanghai, insomma, potrebbe essere reinvestita in Europa, già nelle prossime settimane. Alcuni investitori e analisti ne sono convinti: il rimbalzo, nel Vecchio Continente, sarà più accentuato che altrove. Ancora di più quando la Federal Reserve americana, deciderà di alzare, finalmente, i tassi d'interesse.

Certo - obiettano i pessimisti -, servirà a poco con una domanda interna cinese che rimane asfittica e una nuova invasione di prodotti cinesi a basso costo. La realtà, probabilmente, è che nessuno di questi due rischi dovrebbe concretizzarsi. Bisognerà aspettare la presentazione del prossimo piano quinquennale cinese, che avverrà il prossimo ottobre, ma vi sono pochi dubbi che in esso vi saranno sia stimoli ai consumi, sia investimenti per un salto tecnologico della produzione cinese. Il loro futuro produttivo è fatto di automazione e qualità, non (solo) di lavoro a basso costo competizione sul prezzo. Buon per noi? Non necessariamente. Competere con la Cina, per la Germania, per la Francia, per l'Italia, per tutte le manifatture d'Europa è e sarà sempre più nell'ordine delle cose. Farlo puntando solo sull'export - con buona pace dei tedeschi - rischia di rivelarsi velleitario. Oggi, insomma, chi punta a rilanciare la domanda interna del Vecchio Continente, magari allentando i vincoli dell'austerità per ridurre le imposte - ogni riferimento a Presidenti del Consiglio di casa nostra non è casuale - ha una freccia in più al suo arco: la grande confusione sotto al cielo di questi giorni, Da Mao a Matteo, il passo è più breve di quel che si direbbe.

Fonte: Linkiesta.it

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