sabato 30 aprile 2016

È stato occupato il Parlamento iracheno

A Baghdad centinaia di manifestanti sciiti hanno scavalcato il muro della cosiddetta "Zona Verde" per protestare contro il governo

(AP Photo/Khalid Mohammed)

Sabato centinaia di sostenitori di Moqtada al Sadr, un noto leader religioso sciita molto radicale, hanno scavalcato le recinzioni che circondano la Zona Verde di Baghdad, dove si trovano diversi edifici del governo e molte ambasciate. I manifestanti sono riusciti a entrare nell’edificio del Parlamento, urlando slogan contro il governo – guidato da un primo ministro sciita, ritenuto non abbastanza radicale – e esponendo bandiere irachene. Il generale di brigata Saad Mann ha annunciato lo stato di emergenza in città.


I sostenitori di al Sadr stavano protestando da settimane fuori dalla Zona Verde di Baghdad, chiedendo al governo di approvare delle importanti riforme. Le proteste sono ricominciate dopo che il Parlamento non è riuscito per l’ennesima volta ad approvare la sostituzione di alcuni ministri con dei tecnici. La decisione di procedere a un programma di riforme era stata presa dal primo ministro iracheno, Haider al Abadi, con l’obiettivo di combattere la corruzione, particolarmente diffusa nei vari apparati governativi dell’Iraq. La proposta di Abadi è stata però osteggiata dai partiti politici iracheni.

Anche se al Sadr non ha incarichi di governo, da anni ha un ampio seguito popolare ed è considerato una delle personalità più importanti dell’Iraq. Dopo l’invasione americana del 2003, al Sadr guidò un’insurrezione contro le forze occupanti e contro l’allora governo provvisorio. Tra il 2003 e il 2008 le sue milizie, il cosiddetto “Esercito del Mahdi”, si scontrarono spesso con l’esercito americano e quello regolare iracheno. Nel 2008 al Sadr sciolse la milizia trasformandola in un partito politico, il Movimento Sadrista.

Fonte: Il Post

Almeno dieci persone sono morte nel crollo di un edificio a Nairobi

Intanto proseguono le ricerche delle persone intrappolate sotto le macerie dopo il crollo di un edificio, a causa delle forti piogge


A Nairobi, capitale del Kenya proseguono le ricerche delle persone intrappolate sotto le macerie dopo il crollo di un edificio, a causa delle forti piogge. Almeno dieci persone sono rimaste uccise.

L'edificio si trovava in un complesso residenziale nel quartiere di Huruma. Non è chiaro quante persone siano rimaste intrappolate sotto le macerie.

Il capo della polizia, Jafet Komme, ha detto che almeno 121 persone sono state salvate. Ci sono notizie contrastanti sul fatto che l'edificio avesse sei o sette piani.

Oltre alle persone morte nel crollo, almeno altre sette sono morte a causa delle forti piogge che hanno provocato frane, crolli, inondazioni e strade allagate nell'area.

Steven Oundo, il presidente della Autorità nazionale edile del Kenya, ha detto che ci sarà un'indagine per verificare se l'edificio aveva tutte le autorizzazioni in regola. Sono molti infatti gli edifici residenziali mal costruiti a Nairobi.

Huruma è un quartiere povero alla periferia di Nairobi, fatto di strade strette che hanno complicato l'arrivo dei soccorsi.

Un sondaggio condotto lo scorso anno ha rilevato che più della metà degli edifici nella capitale erano in realtà inabitabili. L'elevata domanda di alloggi a Nairobi ha portato a costruire edifici bypassando i regolamenti edilizi per ridurre i costi e aumentare i profitti.

Il presidente Uhuru Kenyatta l'anno scorso aveva ordinato una verifica di tutti gli edifici del paese dopo una serie di crolli.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 29 aprile 2016

E quindi, chi resta per Roma?

Quali sono i candidati dopo il ritiro di Bertolaso, chi appoggia chi e cosa dicono i sondaggi

Virginia Raggi, aprile 2016 (© Andrea Ronchini/Pacific Press via ZUMA Wire)

Il 5 giugno si voterà per le elezioni amministrative in diverse città italiane, inclusa Roma, dove da settimane il centrodestra si trovava in una situazione complicata: non era chiaro chi sostenesse chi, circolavano quasi quotidianamente nomi di nuovi candidati, retroscena e voci di ritiri. Giovedì 28 aprile le cose sembrano essersi almeno in parte chiarite, con il ritiro di Guido Bertolaso, il candidato sostenuto da Forza Italia.

Forza Italia, che aveva promosso e difeso la candidatura di Guido Bertolaso, ex capo della Protezione Civile la cui posizione era diventata sempre più precaria nelle ultime settimane, ha deciso di sostenere l’imprenditore Alfio Marchini, che si era candidato come indipendente con una lista civica. I giornali parlano però di una divisione interna del partito di Berlusconi tra chi voleva sostenere Marchini (Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi, tra gli altri) e chi invece ipotizzava l’appoggio a Giorgia Meloni (Romani, Toti, Gasparri). Marchini, il cui slogan per le amministrative è “Liberi dai partiti”, oltre che da Forza Italia è sostenuto anche dal Nuovo Centro Destra. Ha 51 anni, si era candidato anche nel 2013 con due liste civiche e aveva ottenuto il 9,5 per cento dei voti.

L’altra candidata forte del centrodestra resta Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia che si era candidata lo scorso 16 febbraio dopo la rottura dell’accordo con Berlusconi: ha ottenuto l’appoggio di Matteo Salvini. Per la destra resta candidato anche Francesco Storace, ma circola l’ipotesi che potrebbe rinunciare e sostenere anche lui la candidatura di Alfio Marchini.

Nel centrosinistra la situazione è un po’ meno complicata: nel PD il vicepresidente della Camera Roberto Giachetti ha vinto le primarie che si sono tenute all’inizio di marzo. Sulle primarie c’erano state molte discussioni e accuse al PD di aver gonfiato l’affluenza che in base all’ultima cifra fornita dagli organizzatori è stata comunque meno della metà rispetto alle primarie del 2013 quando parteciparono in 102 mila e fu scelto Ignazio Marino. Sinistra Italiana, che comprende Sinistra Ecologia Libertà, ha presentato un suo candidato autonomo, Stefano Fassina, mentre le ipotesi di altre candidature che avrebbero potuto trovare il sostegno unitario dei partiti e dei movimenti alla sinistra del PD non si sono concretizzate.

Per il Movimento Cinque Stelle c’è Virginia Raggi che aveva vinto le primarie online ottenendo il 45,5 per cento dei voti, 1.764 in tutto. Raggi ha 37 anni, è nata e cresciuta a Roma, nel quartiere San Giovanni, e poi a 26 anni si è trasferita nel quartiere Ottavia, nella periferia nord della città. Si è laureata in Giurisprudenza all’Università di Roma Tre ed è specializzata in diritto d’autore, proprietà intellettuale e nuove tecnologie. Ha fatto volontariato in alcuni canili della città, ha creato alcuni Gruppi di Acquisto Solidale e ha cominciato a fare politica con il Movimento 5 Stelle nel marzo del 2011 (ha detto che in passato ha sempre votato per partiti di centrosinistra). Nel 2013 Raggi è stata eletta consigliera comunale con 1.525 preferenze occupandosi soprattutto di scuola e ambiente, dall’opposizione. Da tempo si parla della sua pratica di avvocata nello studio di Cesare Previti e la si accusa di aver lavorato in un importante studio legale che secondo alcuni «sarebbe troppo vicino a Forza Italia».

Da settimane circolano sondaggi che tengono conto delle varie ipotesi cercando di seguire i cambiamenti all’interno del centrodestra, ma tutti sono concordi nel dire che Virginia Raggi passerebbe al secondo turno. Secondo i dati di Ipr Marketing e Tecné del 20 aprile (prevedevano già l’ipotesi di un ritiro di Bertolaso) sarebbe Alfio Marchini ad arrivare al ballottaggio con Raggi, mentre il candidato del Pd Roberto Giachetti e la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sarebbero i candidati più in difficoltà. Per Ipr Raggi sarebbe al 26 per cento e Marchini al 23 a tre punti di distanza sia da Giachetti che da Meloni, entrambi al 20 per cento. Tecné dice che Raggi è al 27 per cento, mentre Marchini e Meloni sarebbero pari al 21 per cento con Giachetti al 20. In entrambi i sondaggi Francesco Storace è al 2 per cento. Poi c’è il dato dell’astensione: al 40 per cento per Ipr e al 51 per cento per Tecné. Repubblica ha riassunto oggi i principali dati che circolano:


«Virginia Raggi ha un quarto del mercato dei voti, attestandosi intorno al 25%. Roberto Giachetti del Pd, Giorgia Meloni e Marchini si spartiscono il restante 60%, con circa il 20% a testa. Resta un 15% per gli altri candidati, voti che però potrebbero essere determinanti per la vittoria al secondo turno di uno dei favoriti. In ogni caso, seppure con qualche eccezione, i ricercatori concordano sul fatto che dalla decisione di appoggiare l’imprenditore romano il centrodestra ha solo da guadagnare».

Fonte: Il Post

Anche la Colombia ha legalizzato i matrimoni gay

La Corte costituzionale ha stabilito il diritto per tutti a sposarsi, in uno dei paesi più religiosi del Sud America

(EITAN ABRAMOVICH/AFP/Getty Images)

La Corte costituzionale della Colombia ha legalizzato i matrimoni gay, stabilendo con una maggioranza di sei giudici su nove che i matrimoni gay non violano la costituzione e che i giudici e i funzionari dello stato devono assicurarsi che il diritto al matrimonio venga garantito a tutti i cittadini. La sentenza diventerà irrevocabile ed effettiva tra un mese: a quel punto la Colombia, un paese a larghissima maggioranza cattolica, sarà diventato il quarto del Sud America ad aver legalizzato il matrimonio gay, che è già possibile in Argentina dal 2010 e in Uruguay e Brasile dal 2013.

Una decisione della Corte costituzionale del 2011 aveva già reso possibile la registrazione di unioni tra persone dello stesso sesso da parte di giudici e notai, ma diversi funzionari pubblici si erano rifiutati di registrare i matrimoni omosessuali a causa della vaghezza del linguaggio usato nella sentenza e per il fatto che il Parlamento non era riuscito ad approvare una legge sul tema, come richiesto dalla Corte costituzionale. Con la decisione di ieri, le circa 70 unioni registrate fino a oggi saranno automaticamente convertite in matrimoni. Un anno fa la Corte costituzionale aveva già deciso che le coppie gay possono adottare bambini anche quando non sono figli biologici di nessuno dei due o delle due partner.

La decisione della Corte è stata in realtà la conseguenza di un voto dello scorso 7 aprile su un ricorso che chiedeva di vietare esplicitamente la possibilità del matrimonio gay. In quell’occasione la Corte aveva giudicato inammissibile il ricorso, rendendo così già possibili in principio i matrimoni gay: se una cosa non è contraria alla costituzione, allora deve essere permessa dalla costituzione. Ieri, con la diffusione delle motivazioni della sentenza di inizio aprile, questo principio è stato esplicitato dai giudici: “tutte le persone sono libere di decidere di avere una famiglia in accordo con il loro orientamento sessuale e di ricevere uguale trattamento per la legge e la costituzione”, dice la sentenza. Secondo diversi giornali, è comunque probabile che gli oppositori del matrimonio gay proveranno a organizzare un referendum per cambiare la costituzione e vietarlo.

Fonte: Il Post

Il muro al Brennero è il simbolo di una sconfitta europea

La polizia schierata a Matrei, al confine tra l’Italia e l’Austria, il 3 aprile 2016. (Awakening/Getty Images)

Oliver Meiler, giornalista

Una recinzione metallica non è molto diversa da un muro, anzi, a dire il vero non lo è affatto. Quindi quei lavori al Brennero, in quella stretta valle di confine tra il sud e il nord del continente, tra il Tirolo italiano e quello austriaco, tra due paesi storici dell’Unione europea, sono di una tristezza notevole.

La barriera sarà lunga 370 metri e alta quattro. I pali sono già stati piantati, bisogna solo montare la rete. Sono gli austriaci a installarla, sul loro territorio, appena più in là del confine che da quasi vent’anni, grazie a Schengen, non esiste più. L’Italia assiste all’impresa con un misto di indignazione e turbamento. Matteo Renzi ha commentato: l’ipotesi dell’Austria di chiudere il Brennero “è sfacciatamente contro le regole europee, oltre che contro la storia, contro la logica e contro il futuro”.

Ancora lo sbarramento non c’è. Per il momento il traffico sarà semplicemente rallentato per ottimizzare i controlli, e il limite di sicurezza sarà fissato a trenta chilometri all’ora. Ma in caso di emergenza, ha annunciato Vienna, si chiuderebbe, e la barriera verrebbe alzata. Dopo il loro incontro, il 28 aprile a Roma, i ministri dell’interno dei due paesi si sono detti ottimisti sul fatto che la chiusura totale non ci sarà. Ma l’ottimismo, si sa, non è mai stato una categoria politica molto solida.

"Il confine azzurro, quello del mare, non si può chiudere neanche con una barriera

Con emergenza l’Austria intende l’afflusso intenso di persone che nei prossimi mesi potrebbero fuggire da guerre e miseria attraverso il Mediterraneo. Dalla Libia alla Sicilia per proseguire verso nord, per esempio passando per il Brennero. Dopo la chiusura della rotta balcanica, questa prognosi non è solo plausibile: è tragicamente certa. Per molti profughi, la pericolosa traversata nel canale di Sicilia è l’unica via di scampo. 

Appelli nel vuoto

Ma Vienna localizza l’emergenza soprattutto a Roma. Gli austriaci non credono che gli italiani siano in grado di arrestare il flusso migratorio. E anche questa prognosi è corretta. Come potrebbe essere umanamente possibile, anche volendolo? Il confine azzurro, quello del mare, non si può chiudere neanche con una barriera.

Invece, negli ultimi anni gli italiani si sono fatti carico della nobile impresa di soccorrere decine di migliaia di profughi dal rischio di naufragio. E nel farlo hanno salvato anche la dignità dell’Europa. Lo hanno fatto in un periodo in cui questa stessa Europa preferiva guardare dall’altra parte e ignorare le tragedie nel Mediterraneo come se fossero una faccenda meramente italiana.

Naturalmente è vero che spesso gli italiani hanno violato le norme della convenzione di Dublino: hanno fatto passare tanti migranti con un cenno del capo, senza registrarli. Ad alcuni, probabilmente, hanno perfino messo in mano un biglietto di treno per il nord. Ma chi può rimproverarglielo?

I loro appelli alla solidarietà, alla condivisione e alla giusta ripartizione del carico, si sono persi nel vuoto. Sono rimbalzati contro gli egoismi nazionali. Gli effetti del trattato di Dublino, su questo ormai sono quasi tutti d’accordo, ormai sono uno spettacolo grottesco. Eppure il testo della convenzione è ancora in vigore. E l’Austria lo invoca con un atteggiamento duro e diffidente. È probabile che queste posizioni siano motivate anche da questioni politiche interne, cioè austriache. Ma questo non migliora le cose, anzi.

Le lancette della storia riportate indietro

La costruzione del muro del Brennero potrebbe diventare il simbolo del fallimento dell’Europa sulla questione dei profugh. Proprio il Brennero, che è più di un passaggio tra le Alpi, più di un asse tra i mondi. In Sudtirolo, che per un secolo ha sofferto a causa della separazione dal resto del Tirolo, l’eliminazione della barriera era stata percepita come una riparazione di un’ingiustizia storica. Tutt’a un tratto, il passo che prima divideva le due regioni era diventato un elemento unificante. Adesso si rischia di tornare indietro, di rinunciare a nobili conquiste.

Gli italiani dicono che l’Europa muore se il Brennero chiude. Sembra una visione drammatica, anche un po’ patetica. Ma è pure piuttosto realistica.

(Traduzione di Floriana Pagano)

Fonte: Internazionale

Cinquantamila finlandesi presentano una petizione per uscire dall'Euro

La richiesta costringerà il parlamento a discutere la proposta, ma la maggioranza dei cittadini resta favorevole alla moneta unica

La bandiera finlandese accanto a quella dell'Unione europea

Il parlamento finlandese giovedì 28 aprile ha iniziato a discutere su una petizione firmata da oltre 53mila cittadini che chiedono di indire un referendum sull’uscita del paese nordico dall’euro.

La decisione finale arriverà solo tra quattro settimane e con ogni probabilità non porterà a un'uscita della Finlandia dalla moneta unica (cosiddetta "Fixit"), anche se l'elevato numero di firme sembra indicare un certo grado di insoddisfazione tra la popolazione rispetto alla situazione economica del Paese.

“Si tratta di un dibattito preliminare e i parlamentari sono tenuti per legge a discutere la proposta perché la petizione ha superato la soglia minima delle 50mila firme necessarie per essere esaminata”, ha spiegato il portavoce del parlamento finlandese.

La petizione è stata promossa dall'europarlamentare del Partito di Centro Paavo Vayrynen con lo scopo di ridare alla nazione la sua indipendenza economica e politica.

Tornare al marco finlandese permetterebbe di svalutare la moneta nei confronti dell’Euro e aumentare le esportazioni per aiutare l’economia in affanno.

La Finlandia, infatti, è cresciuta quest’anno dello 0,5 per cento dopo tre anni consecutivi di contrazione le cui cause principali sono da cercare nell’alto costo del lavoro e nella crisi del colosso della telefonia Nokia, la principale azienda del paese.

Il governo di centro destra negli ultimi tre anni ha incontrato serie difficoltà a rispettare i vincoli di bilancio dell’Unione europea e a migliorare la competitività delle esportazioni a causa dell’euro forte.

La Finlandia è l’unico dei paesi scandinavi a essere entrato nella moneta unica e secondo il governo i costi e le incertezze di una Fixit sarebbero superiori ai guadagni.

Nonostante l’iniziativa, la maggioranza dei finlandesi continua a essere favorevole alla moneta unica: in base a un sondaggio condotto da Eurobarometer, il 64 per cento degli abitanti vuole restare nell’Eurozona.

Tuttavia un rapporto pubblicato da un think tank conservatore ha calcolato il costo per tornare al marco finlandese di circa 20 miliardi di euro e considera l’ipotesi realistica nel lungo periodo.

“Uscire dall’euro non sarebbe facile, ma dobbiamo considerare quanto potrebbe aiutare il Pil a crescere”, sostiene Vesa Kanniainen, professore di economia all’Università di Helsinki e autore del rapporto.

Fonte: The Post Internazionale

giovedì 28 aprile 2016

Guido Bertolaso si ritira

Forza Italia, che aveva promosso la sua candidatura a sindaco di Roma, sosterrà invece Alfio Marchini

(Roberto Monaldo / LaPresse)

Guido Bertolaso, ex capo della Protezione Civile, ha ritirato la sua candidatura a sindaco di Roma. Forza Italia, che l’aveva promossa e sostenuta fin qui, sosterrà invece la candidatura dell’imprenditore Alfio Marchini. Di seguito il comunicato diffuso da Forza Italia dopo una riunione dei suoi dirigenti:


Il nostro obbiettivo è vincere per dare ai romani un governo della città all’altezza della capitale d’Italia. Oggi la situazione di Roma è drammatica, e bisogna adottare delle soluzioni urgenti: per noi è insopportabile assistere allo stato di progressivo declino che sta conducendo Roma al collasso definitivo. Abbiamo preso atto che per vincere occorre una proposta unitaria delle forze moderate e liberali, con un forte spirito civico: una risposta fuori dalle logiche di partito e dagli interessi dei partiti. Per questo, con il dottor Guido Bertolaso abbiamo deciso di sostenere e fare nostra la candidatura dell’ingegner Alfio Marchini. Non è una scelta nuova. Marchini era stato la nostra prima opzione, ed era caduta per i veti posti da un alleato della coalizione.


Per questo avevamo chiesto a Guido Bertolaso il sacrificio di scendere in campo per unire il centro-destra, con il consenso di tutti. Non per colpa sua, né per scelta nostra, quella che era nata come una soluzione unitaria oggi è diventata una candidatura divisiva. Non possiamo permettere che i romani si trovino a scegliere fra la continuità della disastrosa gestione del Pd e l’avventurismo irresponsabile dei Cinque Stelle. Con la stessa generosità e spirito di servizio con cui Guido Bertolaso aveva messo da parte progetti molto importanti per candidarsi a sindaco, oggi si è reso disponibile a ritirare la sua candidatura per convergere su quella nelle migliori condizioni per vincere. Per due volte, ha dimostrato grande responsabilità e amore per la città di Roma, che non dimenticheremo. D’altronde Roma e l’Italia avranno ancora bisogno di lui.


La candidatura di Bertolaso era in difficoltà da mesi: la Lega Nord se ne era allontanata presto e poco dopo anche Fratelli d’Italia aveva preso un’altra strada, candidando a sindaco la sua leader Giorgia Meloni. Nell’ottobre del 2015 Berlusconi aveva detto ad alcuni giornalisti di voler candidare Alfio Marchini, ma poi non se n’era fatto nulla. Alfio Marchini ha 51 anni ed è un imprenditore edile e consigliere comunale di Roma; alle elezioni del 2013 si era candidato sindaco solo col sostegno di una lista civica, prendendo il 9,48 per cento dei voti.

Fonte: Il Post

Gli arresti per terrorismo in Lombardia e Piemonte

Quattro persone sono state arrestate, altre due sono latitanti: sono tutte accusate di terrorismo internazionale

(ANSA/MATTEO BAZZI)

Giovedì mattina c’è stata una grande operazione antiterrorismo in diverse province della Lombardia e del Piemonte, coordinata dalla Procura distrettuale di Milano e dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. L’operazione è partita sulla base di sei ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Milano: quattro persone sono state arrestate, mentre altre due sono latitanti. L’accusa nei confronti di tutte e sei è di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale: secondo il ministro degli Interni, Angelino Alfano, gli accusati erano stati indotti a valutare l’ipotesi di fare attentati anche in Italia.

Due degli arrestati sono una coppia di cittadini italiani di origine marocchina residenti in provincia di Lecco: secondo l’accusa, i due volevano partire per l’Iraq o la Siria per unirsi allo Stato Islamico, portando con loro anche i due figli di 2 e 4 anni. I giornali italiani scrivono che alla coppia si sarebbe dovuto unire un cittadino marocchino residente in provincia di Varese, fratello di un uomo espulso dall’Italia nel gennaio del 2015 con accuse legate al terrorismo.

Tra gli accusati c’è anche un’altra coppia che però è ancora latitante, formata da Alice Brignoli – italiana di 39 anni convertita all’Islam – e il marito Mohamed Koraichi – cittadino marocchino di 31 anni. I due abitavano a Bulciago, in provincia di Lecco, ma di loro non si hanno più notizie dal febbraio del 2015. Le autorità sospettano che siano andati a combattere in Siria. Il Corriere scrive che tra gli arrestati c’è anche la sorella di Koraichi.

Fonte: Il Post

L'Austria vuole costruire una barriera al confine con l'Italia

Le autorità austriache hanno chiesto di aumentare i controlli alla frontiera per bloccare il flusso di migranti. L'Ira di Renzi: “È contro le regole europee”

Il Passo del Brennero. Credit: Reuters

L’Austria sta pensando di costruire una rete metallica lunga 400 metri lungo il confine con l’Italia per serrare il Passo del Brennero dal passaggio dei migranti.

I controlli della polizia austriaca dovrebbero scattare dal primo giugno sull’autostrada, sulla statale e sui treni, con più di 250 agenti impiegati alla frontiera.

“Se sarà necessario saranno inviati al Passo del Brennero anche i soldati”, ha confermato il capo della polizia tirolese Helmut Tomac in occasione del vertice tra le forze dell’ordine di Austria, Italia e Germania sui controlli ai migranti di mercoledì 27 aprile.

"L'ipotesi di chiudere il Brennero è sfacciatamente contro le regole europee, oltre che contro la storia, contro la logica e contro il futuro", ha commentato il presidente del Consiglio Matteo Renzi nella sua newsletter Enews.

La proposta austriaca arriva pochi giorni dopo la vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali dell’estrema destra anti-immigrazione.

L’Austria ha già iniziato a lavorare per gestire i controlli di frontiera nel caso in cui il numero di migranti in arrivo dovesse aumentare.

Sull'autostrada il traffico sarà separato tra autovetture e mezzi pesanti con il limite di velocità massima di 30 chilometri orari. I veicoli considerati sospetti verranno fermati e deviati su aree predisposte per accertamenti più accurati.

Le autorità austriache, secondo quanto riportato dal giornale Sued Tirol hanno chiesto di poter effettuare i controlli anche sul territorio italiano per quanto riguarda il traffico ferroviario.

Il parlamento austriaco ha approvato una legge per respingere i richiedenti asilo alla frontiera.

Fonte: The Post Internazionale

Raid dell'esercito siriano colpiscono un ospedale ad Aleppo, almeno 27 morti

Tra le vittime dell'attacco all'ospedale di Al Quds ci sono sia civili che personale medico. La tregua si sta ormai completamente sgretolando

Le operazioni di soccorso dopo il raid contro l'ospedale di Aleppo. Credit: Abdalrhman Ismail

Un ospedale siriano è stato colpito in un raid aereo dell'esercito e almeno 27 persone sono morte, tra cui 3 bambini. L'attacco è avvenuto nella città di Aleppo. Il cessate il fuoco siglato alla fine di febbraio si sta ormai praticamente sgretolando, hanno avvertito le Nazioni Unite. Tra le vittime dell'attacco all'ospedale di Al Quds ci sono sia civili che personale medico.

L'attacco ad Aleppo è solo l'ultimo di una serie di raid da parte delle forze governative e bombardamenti aerei sulla città che dalla scorsa settimana hanno provocato un centinaio di morti.

"Nelle ultime 48 ore, abbiamo avuto in media un siriano ucciso ogni 25 minuti e un siriano ferito ogni 13 minuti", ha detto l'inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria, Staffan de Mistura.

Il gruppo dell'opposizione presente ai colloqui di pace a Ginevra, l'Alto comitato per i negoziati (Hnc), ha minacciato di boicottare anche la prossima tornata di colloqui se il governo non interromperà la sua campagna di bombardamenti.

De Mistura ha inoltre invitato la Russia e gli Stati Uniti, che avevano già negoziato la tregua di febbraio di intervenire e rilanciare i negoziati in una fase di stallo.

Fonte: The Post Internazionale

mercoledì 27 aprile 2016

Sarà l'acqua il business del futuro?


Di Marco Cedolin

L'acqua costituisce dal 55 al 70% del nostro peso corporeo ed è consaputo come l'essere umano possa sopravvivere alcune settimane (fino ad un mese) senza mangiare, ma solamente pochi giorni senza assumere liquidi. L'acqua non è indispensabile solamente per idratare il nostro organismo, ma anche per cucinare, per mantenere la nostra igiene, per coltivare la terra.
Le riserve mondiali di acqua per abitante, in mezzo secolo fra il 1950 ed il 2000 si sono dimezzate, passando da 16.800 m³ a 7.300 m³ e sono ulteriormente calate del 40% negli anni successivi fino a 4800 m³..... 

Attualmente nel mondo 1 miliardo e 400 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile, mentre 2 miliardi di persone soffrono di carenze sanitarie a causa della scarsità e della cattiva qualità dell’acqua e secondo le stime più autorevoli le persone private del diritto all'acqua sfioreranno i 3 miliardi nel 2025. A causa della mancanza o della cattiva qualità dell'acqua muoiono ogni giorno circa 10mila persone e ogni anno perdono la vita 200mila bambini.

Questi numeri in tutta la loro drammaticità dimostrano in maniera inequivocabile come la disponibilità di acqua potabile costituisca uno dei beni più preziosi per la sopravvivenza dell'essere umano. Le grandi corporation che gestiscono le vite di noi tutti, questa realtà dimostrano di averla compresa da tempo, se è vero che già una quindicina di anni fa la rivista americana "Fortune" definiva il settore dell'acqua come il più remunerativo e consigliato per praticare investimenti, preferendolo perfino a quello del petrolio.

La sostituzione del "bene" acqua con la "merce" acqua sta proseguendo sempre più speditamente negli ultimi decenni. Ne sa qualcosa il governo argentino, costretto a pagare 21 milioni di euro di risarcimento alla multinazionale Impregilo, per averla danneggiata nella gestione privata del servizio idrico di Buenos Aires e ne sanno qualcosa i cittadini di Aprilia che nel 2005 dopo la privatizzazione del servizio idrico della loro città da parte della multinazionale francese Veolia sperimentarono incrementi nell'ordine del 300% delle loro bollette dell'acqua.

L'accesso all'acqua è un diritto troppo importante e fondamentale, per permettere che sia trasformato in merce e tradotto nel business miliardario delle multinazionali, ed occorre prenderne coscienza fin da subito, prima che ci si ritrovi a doverlo acquistare (se si ha la disponibilità per farlo) sul mercato un tanto al litro come se si trattasse di fare il pieno ad una pompa di benzina.

Fonte: IL CORROSIVO di marco cedolin

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L’inchiesta sul presidente del PD in Campania

Stefano Graziano è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa: con altre otto persone è accusato di aver favorito il clan dei Casalesi in cambio di voti

Il presidente del Pd della Campania Stefano Graziano (al centro) tra il segretario regionale del Pd Assunta Tartaglione (a sinistra) e il candidato Andrea Cozzolino (destra), in una foto di archivio del 27 febbraio 2015 durante la presentazione ufficiale nella sede regionale del Pd dei candidati alle primarie per la presidenza della regione (ANSA/ CIRO FUSCO)

Martedì 26 aprile nove persone tra politici e imprenditori sono state arrestate a Santa Maria Capua Vetere, in Campania, con varie accuse tra cui corruzione aggravata e turbativa d’asta; inoltre il presidente del PD della Campania e consigliere regionale Stefano Graziano, è indagato invece per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel tardo pomeriggio di ieri Graziano si è autosospeso dal partito «in attesa di chiarire, al di là di ogni anche generico dubbio» la sua posizione.

Stefano Graziano ha 45 anni, è originario di Aversa, in provincia di Caserta, è ingegnere, era stato eletto alla Camera dei Deputati con il Partito Democratico nel 2008. Dal 2014 è presidente del partito in Campania e nel 2015 è stato eletto al consiglio regionale con Vincenzo De Luca. La polizia ha perquisito le sue case a Roma e Teverola, in provincia di Caserta, e il suo ufficio in consiglio regionale. Tra gli arrestati ci sono poi Biagio Di Muro, sindaco fino al novembre del 2015 di Santa Maria Capua Vetere, Roberto Di Tommaso, responsabile dell’ufficio tecnico del comune, e Alessandro Zagaria, imprenditore (e solo omonimo del boss della camorra Michele Zagaria arrestato nel dicembre del 2011 e condannato a tre ergastoli).

Secondo l’inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Napoli, coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, Graziano è sospettato di aver «chiesto e ottenuto appoggi elettorali con l’impegno di porsi come stabile punto di riferimento politico e amministrativo del clan dei Casalesi»: in particolare, avrebbe ricevuto il sostegno del clan legato a Michele Zagaria alle elezioni regionali del maggio del 2015 e in cambio avrebbe favorito i casalesi e alcuni imprenditori per ottenere degli appalti. Graziano avrebbe sbloccato per esempio fondi per due milioni di euro per il restauro di Palazzo Teti Maffuccini, edificio confiscato al padre dell’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere, Nicola Di Muro, condannato per tangenti. L’imprenditore Alessandro Zagaria avrebbe fatto da tramite tra i politici e il clan.

In una telefonata del novembre 2014 intercettata e trascritta sui giornali di oggi, avvenuta tra Alessandro Zagaria e l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Di Muro, si parla in modo esplicito di «imprenditori favoriti da piazzare» e della campagna elettorale di Graziano. Zagaria dice «tengo per il PD» e rimprovera Di Muro che non si sta attivamente impegnando: «Noi dobbiamo portare a Graziano e tu non ti fai vedere». Nelle carte dell’inchiesta c’è scritto anche: «La polizia giudiziaria ha documentato plurimi incontri tra Graziano e Zagaria in un periodo preelettorale e che, ad elezione avvenuta, Graziano ha avuto contatti telefonici con Zagaria dai quali emergeva la riconoscenza dell’esponente politico nei confronti di Zagaria». In un’altra conversazione, Di Muro fa riferimento all’appalto di Palazzo Teti Maffuccini e all’aiuto che Graziano avrebbe fornito per non perdere i finanziamenti. Di Muro dice: «Io tengo un santo in paradiso che mi protegge!… o no?». Zagaria risponde: «Come a me! Quando va bene…hai capito?… in grazia di Dio! Quello domani va a Roma e giovedì siamo qua». Commenta Repubblica: «Su quale interlocutore romano sarebbe intervenuto Graziano? È uno degli aspetti sui quali la Procura vuole fare piena luce».

Il sistema di cui Graziano è sospettato di far parte selezionava, sempre secondo le dichiarazioni dei giudici, «gli imprenditori aggiudicatari degli appalti solo perché in grado di pagare la tangente. Un sistema divenuto ormai così totalizzante da rispondere non alle necessità pubbliche e a quelle della collettività, ma teso solo a favorire le persone legate al comitato d’affari attraverso la pressante ingerenza di un imprenditore intraneo al clan come Alessandro Zagaria e del sindaco Biagio Maria Di Muro che si sono appropriati di una rilevante fetta nella gestione degli appalti pubblici per concludere i loro affari. Il tutto in una trama di rapporti intessuti tra persone provenienti da ambiti di criminalità organizzata e pubblici ufficiali, in palese violazioni di legge e con il precipuo scopo di ricavare tutti un vantaggio economico in dispregio della funzione pubblica rivestita e soprattutto a vantaggio dei clan».

Fonte: Il Post

In Spagna si torna a votare, alla fine

Il re ha indetto nuove elezioni per il 26 giugno, dopo mesi di trattative fallite per formare una maggioranza: ma il rischio è tornare comunque al punto di partenza

Pedro Sanchez a Madrid il 4 marzo 2016 (GERARD JULIEN/AFP/Getty Images)

Filippo VI, il re della Spagna, ha indetto nuove elezioni per il 26 giugno dopo che per mesi i vari partiti politici spagnoli hanno tentato di formare una maggioranza senza successo. Le ultime elezioni, tenute il 20 dicembre, avevano portato a un Parlamento molto frammentato e alla necessità di formare un governo di coalizione per la prima volta dal 1982. I tentativi dei due principali partiti spagnoli, il Partito Socialista (PSOE) e il Partito Popolare (PP), non sono andati a buon fine: nessuno è riuscito a garantirsi i 176 seggi necessari per ottenere la maggioranza in Parlamento.

Un ultimo tentativo è stato fatto martedì da Compromís, un piccolo partito di sinistra che ha proposto un modello di accordo simile a quello che aveva avuto successo nella Comunità autonoma valenciana, basato sull’alleanza di diverse forze politiche di sinistra. La proposta di Compromís è formata da 30 punti su cui avrebbero dovuto trovare un accordo il PSOE e Podemos, il partito anti-austerità guidato da Pablo Iglesias. Pedro Sánchez, il leader del PSOE, ha accettato 27 dei 30 punti contenuti nella proposta, una decisione ritenuta però insufficiente da Podemos. Iglesias ha detto: «Abbiamo già fatto abbastanza concessioni. Vinceremo le elezioni e offriremo la nostra mano al PSOE e alle forze progressiste». Anche Ciudadanos, il partito centrista guidato da Albert Rivera che alle elezioni di dicembre aveva ottenuto 40 seggi, ha detto che non si sarebbe unito all’accordo proposto da Compromís.

Nonostante i tentativi di trovare un accordo per formare un governo, nelle ultime settimane le accuse reciproche tra PSOE e Podemos sono diventate sempre più dure. Mercoledì Sanchez ha detto: «Iglesias vive meglio con Rajoy a capo del governo che con me, ma non i milioni di spagnoli che lo hanno votato». La rottura definitiva tra i due partiti è avvenuta dopo le consultazioni interne tenute da Podemos la scorsa settimana. Gli iscritti di Podemos hanno risposto a due domande relative al futuro governo della Spagna: hanno bocciato l’ipotesi di partecipare a un governo formato da PSOE e Ciudadanos e hanno invece approvato l’idea di coalizzarsi con le forze di sinistra spagnole. Questa coalizione non avrebbe avuto comunque la maggioranza in Parlamento, a meno che non avesse ottenuto il sostegno dei nazionalisti baschi, catalani o, di nuovo, di Ciudadanos. El País ha scritto che ormai le critiche a Iglesias stanno monopolizzando la strategia politica del PSOE nel breve e nel medio periodo.

Gli ostacoli alla formazione di un governo di coalizione, comunque, sono stati diversi. Uno dei più significativi è stata la rivalità tra Ciudadanos e Podemos su questioni sociali ed economiche, ma soprattutto sull’indipendenza della Catalogna, la comunità autonoma spagnola che ha come capitale Barcellona: favorevole Podemos, contrario Ciudadanos. Anche i tentativi del PP di creare una grande coalizione con il PSOE non hanno avuto successo, anche per i recenti guai e scandali di corruzione che hanno coinvolto diversi esponenti del Partito Popolare guidato da Mariano Rajoy, primo ministro spagnolo dal 2011.

Stando ai sondaggi fatti finora, le elezioni che si terranno a giugno potrebbero avere un esito simile a quelle di dicembre: un Parlamento molto frammentato – con la maggioranza relativa per i Popolari – e l’impossibilità di formare una coalizione a causa delle rivalità tra i diversi partiti politici.

Fonte: Il Post

Salah Abdeslam è stato estradato in Francia

L'uomo comparirà oggi davanti ai magistrati francesi e poi sarà rinchiuso in isolamento. Abdeslam era stato arrestato in Belgio il 18 marzo scorso dopo mesi di latitanza

Un momento dell'arresto di Salah Abdeslam avvenuto il 18 marzo 2016. Credit: p

Salah Abdeslam, l'uomo sospettato per gli attacchi di Parigi nei quali sono morte 130 persone, è stato estradato in Francia. L'uomo comparirà oggi davanti ai magistrati francesi.

Abdeslam, l’unico in vita dei commando di terroristi degli attacchi a Parigi del 13 novembre 2015, era stato arrestato in Belgio il 18 marzo scorso dopo mesi di latitanza.

Salah è stato consegnato questa mattina alle autorità francesi e immediatamente trasferito al Palazzo di Giustizia di Parigi per l’interrogatorio con un giudice

Al termine dell'audizione verrà posto in detenzione preventiva, in isolamento, in un carcere specializzato dell'Ile-de-France, la regione di Parigi, ha riferito il ministro della Giustizia, Jean-Jacques Urvoas.

---LEGGI ANCHE: CHI È SALAH ABDESLAM

Fonte: The Post Internazionale

La Norvegia farà appello contro la condanna per trattamenti inumani verso Breivik

Il paese è stato accusato di aver violato l'articolo 3 della Cedu, secondo cui "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti"

Breivik in tribunale. Credit: Gwladys Fouche

Il governo norvegese farà appello contro il verdetto del tribunale distrettuale di Oslo che ha dato ragione al terrorista Anders Behring Breivik sulla causa sui trattamenti degradanti in carcere. Lo ha annunciato il ministero della Giustizia.

Nella sua sentenza, il giudice Helen Andenæs Sekulic aveva detto che il diritto a non essere sottoposto a trattamenti inumani rappresenta "un valore fondamentale in una società democratica" e deve essere applicato anche a "terroristi e assassini”.

Secondo il giudice, la Norvegia ha violato l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu), secondo cui "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". 

L’uomo, che nel 2011 uccise 77 persone negli attacchi a Oslo e sull’isola di Utoya, aveva infatti definito le condizioni in cui si trova in carcere una vera e propria "tortura".

La sentenza ha aggiunto però che lo stato non ha mai violato il diritto di Breivik a una vita privata e familiare, e di conseguenza non è andato contro l'articolo 8, ma solo contro l'articolo 3, della Convenzione.

Il primo garantisce infatti il diritto al rispetto della vita privata e familiare e della corrispondenza e l'altro vieta pene o trattamenti inumani o degradanti. Nel 2012 era stato condannato a 21 anni di carcere.

Lo scorso settembre, Breivik aveva minacciato lo sciopero della fame per protestare contro il suo trattamento in carcere. La sua cella nella prigione di Skien, a qualche decina di chilometri da Oslo, ha una tv e un computer ma non ha accesso a internet.

In una lettera ai media norvegesi e svedesi, Breivik, aveva dichiarato di essere tenuto in isolamento quasi totale, potendo trascorrere solo un’ora al giorno fuori dalla cella.

Inoltre, secondo il terrorista, la sua cella sarebbe poco decorata e senza una bella vista, il caffè servito troppo freddo, il burro per il pane troppo poco e non gli sarebbe permesso l’uso della crema idratante.

Fonte: The Post Internazionale

Come sono andate le primarie del 26 aprile

Per i repubblicani Donald Trump si è aggiudicato tutti e cinque gli stati in cui si votava, per i democratici Hillary Clinton si è aggiudicata 4 stati su 5

Donald Trump dopo la vittoria del 26 aprile in cinque stati. Credit: Lucas Jackson

Hillary Clinton per i democratici e Donald Trump per i repubblicani hanno avuto la meglio alle primarie del 26 aprile.

Repubblicani - Donald Trump ha vinto in tutti e cinque gli stati: Connecticut (28), Delaware (16), Maryland (38), Pennsylvania (51) e Rhode Island (9). I delegati ottenuti finora sono 988, contro i 567 di Cruz e i 152 di Kasich.

Democratici - Hillary Clinton in tutti tranne Rhode Island che è andato a Sanders. In Connecticut si è aggiudicata 27 delegati, in Delaware 12, nel Maryland 59, in Pennsylvania 105. Sanders a Rhode Island si è aggiudicato invece 13 candidati. Clinton ha raggiunto finora quota 1666 delegati, mentre Sanders, nonostante le recenti vittorie, è fermo a 1359.

I prossimi appuntamenti elettorali per i repubblicani saranno nello stato dell'Indiana il prossimo 3 maggio, in Nebraska e in West Virginia il 10, in Oregon il 17 e nello stato di Washington il 24 maggio.
Per i democratici invece Indiana il 3 maggio, Guam il 7, West Virginia il 10, Kentucky e Oregon il 24.

Fonte: The Post Internazionale

martedì 26 aprile 2016

Chi è Davide Casaleggio

Marco Imarisio racconta sul Corriere storie e informazioni sul figlio ed erede del cofondatore del Movimento 5 Stelle, dagli scacchi agli sport estremi

Davide Casaleggio al funerale di Gianroberto Casaleggio. (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)

Con la morte di Gianroberto Casaleggio, cofondatore del Movimento 5 Stelle, la guida della società Casaleggio Associati – e quindi, in qualche modo, anche del Movimento 5 Stelle – passerà a suo figlio, Davide Casaleggio, che da mesi affiancava il padre nella gestione quotidiana delle cose del partito. Non si sanno molte cose di Davide Casaleggio, che è nato nel 1976 e lavora da molti anni in Casaleggio Associati; un articolo di Marco Imarisio pubblicato oggi sul Corriere della Sera contiene molte storie su di lui e sul suo passato.


«Devi conoscere Davide». Negli ultimi mesi Gianroberto Casaleggio aveva fissato una serie di appuntamenti, milanesi e anche romani. Con un obiettivo preciso. «È bravo», premetteva sempre. Solo che Davide non parlava. C’era, ma era come se non ci fosse. Appariva laconico al punto che qualcuno tra i meno informati sulle inclinazioni familiari arrivò a pensare che tra padre e figlio non corresse buon sangue. Sbagliavano. Le persone presenti a quegli incontri ne uscirono con la sensazione che il futuro erede della Casaleggio&Associati non avesse interesse all’idea che gli interlocutori si facevano di lui. E su questo forse avevano ragione. Eppure conoscere Davide Casaleggio, nato a Milano il 14 gennaio 1976, primogenito di Gianroberto, che incontrò sua madre, la linguista inglese Elizabeth Clare Birks, dopo il suo colloquio per l’assunzione in Olivetti, o almeno provarci, significa farsi un’idea della direzione futura del Movimento 5 Stelle. Fin dall’infanzia Davide è stato il progetto di Gianroberto, che aveva preso molto sul serio l’educazione del figlio. «La considerava un lavoro» racconta chi lo ha conosciuto bene. «E lui era un lavoratore ossessivo, che fissava regole precise alle quali non ammetteva deroghe».


A 12 anni è un bambino prodigio, classificato tra i primi cinque scacchisti under 16 d’Italia. «Buon potenziale, dotato di notevole capacità previsoria» scrive nel 1989 una rivista specializzata. Gli adolescenti dell’epoca sono attratti dall’ascesa di Gerry Kasparov, giovane e irriverente, oppure dal mito folle di Bobby Fischer. A giudicare dalle valutazioni dei maestri che lo esaminano, lo stile di Davide risulta ispirato dal razionalismo di Anatoly Karpov, che fu il contraltare degli altri due campioni. Laurea in economia aziendale alla Bocconi, tesi su «Impatto strategico di Internet nel settore dei corrieri espresso», un master a Londra. I compagni di università ne serbano pochi ricordi. «Gentile, mai una parolaccia. Qualche volta veniva alle feste ma stava per conto suo. Un solitario». Gianroberto aveva la capacità di non guardare mai in faccia l’interlocutore. «Davide invece ti fissa in modo quasi invadente» raccontano in azienda. Calmo, serafico. «Il padre gli ha insegnato a essere di gomma». Non ha le sue ossessioni, le sue paure, e la sua capacità di intimidire. Evita in ogni modo i contrasti che il genitore invece non disdegnava.



Fonte: Il Post

L’India ci lascia il Marò Latorre (che era già in Italia)


New Dehli dice sì alla permanenza del fuciliere fino al 30 di settembre 2016. Ma per la Farnesina «giurisdizione indiana priva di valenza giuridica»

La Corte suprema dell’India ha deciso di consentire la permanenza in Italia di Massimiliano Latorre fino al 30 settembre del 2016. Latorre, accusato assieme al collega Salvatore Girone della morte di due pescatori indiani, è in Italia dalla fine del 2014 per ristabilirsi dopo un intervento al cuore subito per un attacco di ictus.

MARÒ, MASSIMILIANO LATORRE RESTA IN ITALIA

Ma l’Italia considera la decisione inutile. Perché per la Farnesina rimane “sospesa e senza valenza giuridica la giurisdizione indiana” sul caso dei Marò, dopo la decisione del Tribunale del Diritto del Mare.

L’Italia – ha confermato il ministero degli Esterni - «conferma di riconoscersi infatti nell’Ordine del Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare del 24 agosto 2015, che aveva stabilito la sospensione da parte di India e Italia di tutti i procedimenti giudiziari interni fino alla conclusione del percorso arbitrale avviato dal Governo nel giugno dello scorso anno».

MARÒ: E SALVATORE GIRONE?

L’Italia ha presentato al Tribunale arbitrale costituito presso il Tribunale arbitrale dell’Aja pure una richiesta di misure provvisorie per chiedere il rientro del fuciliere Salvatore Girone e la sua permanenza in Italia fino alla fine della procedura arbitrale. Dopo i segnali di apertura dell’India, si attende una decisione nei prossimi giorni.

Fonte: Giornalettismo

Caso Regeni: “Arrestato un consulente della famiglia di Giulio in Egitto”


La famiglia Regeni si dice "angosciata" per l'arresto in Egitto "del dott. Ahmed Abdallah, presidente del consiglio d'amministrazione della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), ong che sta offrendo attività di consulenza per i nostri legali"

La famiglia Regeni si dice “angosciata” per l’arresto in Egitto “del dott. Ahmed Abdallah, presidente del consiglio d’amministrazione della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), ong che sta offrendo attività di consulenza per i nostri legali”.

LA SITUAZIONE IN EGITTO

L’aria si sta facendo sempre più pesante anche per i giornalisti, locali o stranieri che siano, in Egitto. Da ultimo è emerso che venerdì il capo della stazione della polizia di Azbakiya, dove secondo Reuters Giulio Regeni sarebbe stato portato subito dopo l’arresto il 25 gennaio scorso, ha presentato un esposto contro il capo della redazione cairota dell’agenzia anglo-canadese, Michael Georgy accusandolo di aver pubblicato “false notizie tese a disturbare l’ordine pubblico” e “a diffondere voci per danneggiare la reputazione dell’Egitto”. Reuters aveva scritto il giorno prima, ricorda il Guardian, che Regeni era stato “arrestato dalla polizia e dopo trasferito ad un complesso gestito dal controspionaggio, lo stesso giorno in cui scomparve”. Ahmed Hanafy, il capo della procura dell’area di Qasr el-Nile dopo sorge il commissariato di Azbakiya, ha precisato che “finora Reuters non e’ stata accusata di nulla. Stiamo solo raccogliendo informazioni sul caso dopo le accuse mosse dal capo del commissariato”. Parole minacciose visto il precedente – il piu’ noto tra i tanti – dei tre reporter di Al Jazeera, processati e condannati in tribunale e poi 2 graziati da al Sisi ed uno espulso dal Paese. In teoria se si andasse a processo il capo della redazione di Reuters, Georgy, scrive il Guardian, rischia fino ad un anno di carcere e una multa di 20.000 sterline egiziane (2.050 euro) se riconosciuto colpevole delle accuse.

Fonte: Giornalettismo

Il partito filo-europeo ha vinto le elezioni in Serbia

Con il 48 per cento dei voti il partito del primo ministro Vucic ottiene la maggioranza assoluta dei voti

Il primo ministro serbo Aleksander Vucic. Credit: Reuters

Il partito del primo ministro uscente Aleksander Vucic ha vinto le elezioni parlamentari di domenica 24 aprile. Questo risultato rappresenta un sostegno da parte degli elettori alle politiche del governo volte a portare la Serbia a un negoziato per l'adesione all'Unione europea.

Il Partito Progressista Serbo di Vucic ha ottenuto il 48 per cento dei consensi e la maggioranza assoluta dei seggi, rimanendo primo partito del paese.

Vucic, tuttavia, dovrà confrontarsi con un'opposizione anti-europea e intransigente, che ha avuto un risultato molto frammentario in questa tornata elettorale.

"Si tratta di un risultato storico" ha dichiarato Vucic "abbiamo ottenuto più voti assoluti e migliorato la percentuale rispetto a due anni fa, quando abbiamo iniziato il nostro difficile percorso di riforme".

Fonte: The Post Internazionale

Raid aerei in Siria colpiscono un centro di soccorso nella città di Atareb

I bombardamenti e il lancio di un missile, hanno colpito un centro della Syrian Civil Defence, il "White Helmets", nella città di Atareb, a ovest di Aleppo.


Cinque persone sono morte in due raid aerei contro un'area controllata dai ribelli a ovest di Aleppo. Altre due persone sono rimaste gravemente ferite.

I bombardamenti e il lancio di un missile, hanno colpito un centro della Syrian Civil Defence, conosciuto come "White Helmets", nella città di Atareb, 25 chilometri a ovest di Aleppo.

I combattimenti nell'area si sono intensificati nelle ultime settimane, da quando la tregua è stata rotta.

La Syrian Civil Defence agisce nei territori controllati dai ribelli, dove non esistono più strutture sanitarie. Secondo Radi Saad, che lavora nella struttura, il raid era mirato. Non è chiaro se gli aerei fossero siriani o russi.

Fonte: The Post Internazionale

lunedì 25 aprile 2016

I risultati delle presidenziali in Austria

Al primo turno ha vinto il leader di un partito di estrema destra, che andrà al ballottaggio con un candidato dei Verdi: i partiti di governo sono fuori

Manifesti elettorali di Norbert Hofer. (Getty Images)

Il primo turno delle elezioni presidenziali in Austria di domenica 24 aprile è stato vinto dal partito di estrema destra FPÖ (Partito per le Libertà dell’Austria) e dal suo candidato Norbert Hofer, noto per le sue posizioni molto dure sull’immigrazione. Hofer ha ottenuto il 36,4 per cento dei voti e affronterà al ballottaggio il candidato arrivato secondo, Alexander Van der Bellen dei Verdi, che ha ottenuto il 20,4 per cento. Il ballottaggio si terrà il 22 maggio.

Con il 36,4 per cento Hofer ha ottenuto il miglior risultato per il suo partito dalla Seconda guerra mondiale in un’elezione nazionale. I Verdi di Alexander Van der Bellen, ex professore universitario e ex preside della facoltà di Scienze economiche di Vienna, passano per la prima volta al secondo turno: Van der Bellen si è candidato come indipendente, ma è stato sostenuto, anche finanziariamente, dal partito di cui è stato presidente alla fine degli anni Novanta. La candidata indipendente Irmgard Griss è arrivata terza con il 18,5 per cento dei voti, mentre i candidati dei partiti tradizionali, il socialdemocratico Rudolf Hundstorfer (SPÖ) e il conservatore Andreas Khol (ÖVP), si sono fermati entrambi all’11,2 per cento dei voti. «Questo è un risultato storico che riflette le qualità di Norbert Hofer, ma anche una profonda insoddisfazione nei confronti del governo», ha detto il leader di FPÖ, Heinz-Christian Strache, alla televisione pubblica ORF. Il presidente uscente è Heinz Fischer della SPÖ, ed era al suo secondo mandato. Al governo dell’Austria dal 2008 c’è una grande coalizione formata dai socialdemocratici della SPÖ e dai popolari democristiani dell’ÖVP. L’affluenza del primo turno di domenica è stata del 70 per cento, molto alta rispetto a circa il 50 per cento delle elezioni precedenti, sei anni fa.

L’incarico della presidenza dell’Austria ha poteri perlopiù simbolici e cerimoniali, e questo forse ha favorito l’ascesa di due partiti che in modi diversi sono riusciti ad attirare gli elettori più scontenti e delusi dall’Europa, e ha contribuito a determinare i brutti risultati dei partiti di governo. I grandi partiti austriaci – i Socialdemocratici di centrosinistra e i Popolari di centrodestra – riuscivano dal 1957 a eleggere un loro candidato alla presidenza. Il fatto che nessuno dei principali partiti di governo parteciperà al ballottaggio del 22 maggio rappresenta un cambiamento importante nella politica austriaca che, in caso di vittoria di Hofer, scrivono diversi analisti, potrebbe portare ad anticipare le elezioni parlamentari che dovrebbero tenersi nel 2018. Il risultato del primo turno, intanto, e il fatto che nei sondaggi a livello nazionale FPÖ sia sopra il 30 per cento, conferma il ruolo crescente dell’estrema destra in molti paesi d’Europa.

Al centro della campagna elettorale presidenziale c’è stata la questione dell’immigrazione e dei rifugiati politici. Entrambi i candidati che hanno superato il primo turno avevano criticato il governo per la sua gestione della cosiddetta “crisi dei migranti”: Van der Bellen aveva detto che il governo aveva preso posizioni troppo dure, Hofer al contrario che servivano maggiori controlli e restrizioni. L’Austria ha registrato circa 90 mila richieste di asilo nel 2015. In rapporto alla popolazione (8,58 milioni di persone), si tratta di una cifra che colloca il paese al primo posto per l’accoglienza dei migranti in Europa.

Hofer ha 45 anni, è ingegnere e da ottobre 2013 è terzo presidente del Parlamento. Ha cominciato a fare politica con il Partito per le Libertà dell’Austria nel 1994, ricoprendo vari incarichi nel Burgenland, il land austriaco più orientale che confina a est con l’Ungheria. Dopo le elezioni politiche dell’ottobre 2006 è stato eletto deputato del Consiglio nazionale. Hofer non rappresenta la destra più radicale del partito, ma quella ambientalista: da tempo chiede per esempio il ritiro dell’Austria dalla Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). Hofer è considerato l’erede politico di Joerg Haider, storico leader del partito; è disabile (dal 2003, dopo un incidente con il parapendio, ha subito delle lesioni spinali che l’hanno costretto da allora a camminare con un bastone), propone una riforma sanitaria che includa per i disabili l’assistenza a lungo termine, è contrario al matrimonio omosessuale e all’adozione per le coppie omosessuali ed è a favore dell’uso e del possesso di armi. Hofer ha definito «fatale» l’accordo sui migranti concluso tra Unione Europea e Turchia e ha detto di voler impedire che l’Austria diventi una «terra di immigrazione». Dopo il risultato del primo turno ha detto: «Sono grato e pieno di umiltà, non mi aspettavo un risultato di questa dimensione».

Fonte: Il Post

La polizia egiziana sta indagando Reuters per un articolo su Giulio Regeni

Era un articolo molto dettagliato secondo cui Regeni era stato arrestato dalla polizia, la sera in cui è scomparso al Cairo

(AP Photo/Amr Nabil)

La polizia egiziana sta “raccogliendo informazioni” sul capo della redazione egiziana dell’agenzia di stampa Reuters dopo la pubblicazione di un reportage sulla morte del dottorando italiano Giulio Regeni. Regeni è stato trovato morto il 3 febbraio al Cairo dopo essere sparito il 25 gennaio. Le autorità italiane e diversi giornali internazionali sono convinti che sia stato rapito e torturato dalle autorità egiziane, che però fino a oggi hanno negato decisamente di essere coinvolte.

Giovedì 21 aprile Reuters ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo che contiene le testimonianze anonime di sei agenti della polizia e dell’intelligence egiziana, secondo cui Regeni è stato catturato assieme a un cittadino egiziano la sera del 25 gennaio proprio dalla polizia egiziana, e poi portato torturato e ucciso. Il Guardian sostiene che uno degli agenti di polizia della stazione di Azbakiya, dove secondo Reuters è stato portato Regeni subito dopo la cattura, ha denunciato il capo dell’ufficio di Reuters in Egitto, Michael Georgy, per aver diffuso notizie false. Ahmed Hanafy, capo della stazione di polizia del Cairo dove è stata depositata la denuncia, ha confermato la denuncia ma ha precisato che «per ora i magistrati non hanno incriminato Reuters. Stiamo solo raccogliendo informazioni sulla base delle accuse dell’agente di polizia di Azbakiya». Un giornale locale egiziano ha sostenuto che Georgy sia scappato in Svizzera dall’Egitto per timore di conseguenze legali legati all’articolo, ma la notizia non è stata confermata.

Secondo il Guardian, nel caso venisse incriminato e condannato, Georgy rischia fino a un anno di prigione e una multa di circa duemila euro. David Crundwell, il vicepresidente di Reuters, ha spiegato: «Confermiamo la storia pubblicata il 21 aprile riguardo la prigionia di Giulio Regeni. L’articolo non contiene accuse sui responsabili della sua morte, ed è coerente con l’impegno di Reuters per produrre del giornalismo accurato e indipendente».

Fonte: Il Post

25 aprile, la festa della Liberazione


Oggi si festeggia la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. Il 25 Aprile è l’anniversario della rivolta armata partigiana e popolare contro le truppe, ormai di occupazione, naziste e i loro fiancheggiatori fascisti della repubblica sociale italiana. Grazie al sangue versato dai partigiani fu possibile dare agli italiani la libertà che era stata negata durante il ventennio di dittatura fascista.

domenica 24 aprile 2016

Cosa prevede l'accordo sul clima

A New York 171 paesi hanno firmato l’accordo sul clima raggiunto lo scorso dicembre, durante la conferenza di Parigi. Ecco cosa prevede.

All'interno del pezzo l'infografica completa di TPI

A New York 171 paesi hanno firmato l’accordo sul clima raggiunto lo scorso dicembre, durante la conferenza di Parigi. L’annuncio è stato fatto venerdì 22 aprile dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon all’apertura della cerimonia dell’Assemblea delle Nazioni Unite.

“È un momento storico”, ha detto Ban nel giorno in cui si celebra la Giornata mondiale della Terra per sensibilizzare sull’ambiente e sulla necessità di affrontare il problema del cambiamento climatico.

Per il segretario generale dell'Onu, l'accordo di Parigi, insieme all'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, "ha il potere di trasformare il mondo".

Il testo prevede di bloccare a partire dal 2020 la crescita della temperatura “al di sotto dei due gradi” e impegna i paesi a sforzarsi a non superare gli 1,5 gradi.

Inoltre i paesi industrializzati si sono impegnati ad alimentare un fondo annuo da 100 miliardi di dollari per il trasferimento delle tecnologie pulite nei paesi non in grado di fare da soli il salto verso la green economy.

Perché l’intesa entri in vigore è necessario infatti che almeno 55 Paesi che rappresentino almeno il 55 per cento delle emissioni globali ratifichino o si uniscano formalmente all’accordo.

Stati Uniti e Cina, che da soli rappresentano il 38 per cento delle emissioni globali, hanno annunciato che ratificheranno l’accordo di Parigi entro il 2016. Tuttavia raggiungere il 55 per cento non sarà facile.

L’Unione europea, rappresenta meno del 10 per cento delle emissioni di Co2 e avrà bisogno di molto tempo affinché Bruxelles decida di quanto ciascuno dei 28 stati membri debba ridurre le emissioni di carbone fossile.

3 BREVI PUNTI: COSA COMPORTEREBBE L'ACCORDO

1) L'obiettivo principale è quello di contenere gli effetti del surriscaldamento globale e limitare i pericoli derivanti dai cambiamenti climatici indotti dall’uomo.

2) Le emissioni di gas serra dovranno essere ridotte drasticamente, come già avvenuto a giugno del 2015 al G7 in Germania, al fine di fermare l’innalzamento delle temperature notevolmente al di sotto di 2°C, considerato il punto limite oltre il quale si avranno effetti catastrofici sull’ambiente mondiale. L'obiettivo è di raggiungere 1,5°C. Dal 1880 l’aumento è stato di 0,85°C. Senza interventi la soglia limite potrebbe essere raggiunta già nel 2035.

3) Le nazioni sviluppate hanno reiterato la loro intenzione di stanziare 100 miliardi all'anno, a partire dal 2020, per aiutare i paesi in via di sviluppo a contenere le emissioni di gas serra. Ci saranno inoltre anche fondi e rimborsi da destinare a chi risente di più del riscaldamento globale o che si trova in una condizione sfavorevole a causa della posizione geografica o delle scarse risorse a disposizione. Ci saranno verifiche ogni cinque anni a partire dal 2023.

Un'infografica per sintetizzare cosa prevede l'accordo:



Fonte: The Post Internazionale

sabato 23 aprile 2016

Cosa sta succedendo col petrolio a Genova

Ci sono ancora problemi per il petrolio fuoriuscito la scorsa settimana da un oleodotto: si è rotta una delle dighe di contenimento, ma la situazione è sotto controllo

(ANSA/ CHIARA CARENINI)

Questa mattina intorno alle 9 ha ceduto una delle dighe costruite per proteggere il mare di Genova da un carico di petrolio che la settimana scorsa era finito per errore nel torrente Polcevera. La diga, costruita con terra e sacchetti di sabbia, ha ceduto a causa delle forti piogge cadute in zona già dalla sera di venerdì. Sia il sindaco di Genova che la Guardia Costiera hanno precisato che le altre dighe costruite per impedire che il petrolio raggiunga il mare sono regolarmente funzionanti. Attorno a mezzogiorno il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, ha scritto su Twitter che a Genova la situazione è «delicata, ma sotto controllo».



Lo sversamento di petrolio nel Polcevera è avvenuto domenica 17 aprile, quando un oleodotto che va dall’entroterra ligure a Genova e gestito dall’azienda Iplom si è rotto all’altezza di Fegino, un piccolo paese a nord di Genova. Sullo sversamento è stata aperta un’indagine per disastro ambientale colposo, ma dalle prime notizie sembra che la fuoriuscita sia proseguita per diversi minuti perché i tecnici che sorvegliavano il funzionamento dell’oleodotto hanno realizzato solo dopo 20 minuti cosa stesse succedendo. Sabato 23 l’assessore regionale all’Ambiente, Giacomo Giampedrone, ha detto che complessivamente sono finite nel Polcevera circa 500 tonnellate di petrolio.

Il Corriere della Sera ha scritto che «il greggio, dopo essere finito sulla spiaggia di Pegli, venerdì è comparso anche nel mare del Savonese». Dopo la rottura di una delle dighe di emergenza, il pericolo era che il petrolio finisse in mare: circa tre ore dopo la Capitaneria di porto di Genova ha spiegato che la rottura della diga «non ha determinato una maggiore fuoriuscita di greggio in mare. Anche perché a valle di tale barriera sono presenti e operanti e integri altri presidi di contenimento». Anche il sindaco di Genova Marco Doria ha confermato che le altre dighe hanno retto e che «presumibilmente il petrolio in mare è quello che era uscito nelle prime ore dell’incidente alla Iplom». Giampedrone ha stimato che delle 500 tonnellate di petrolio coinvolte nell’incidente, circa il 10 per cento siano finite in mare.

Stamattina Repubblica ha scritto che «la raccolta di greggio galleggiante è quasi terminata, è iniziato il decorticameno [asportazione] del fondale del rio Fegino e ieri sono partiti i lavori di ripulitura delle spiagge di Pegli e Multedo». Nel tratto di mare interessato dall’arrivo del petrolio lavorano già da tempo alcune barche che si occupano di ripulire l’acqua, mentre il ministero dell’Ambiente ha fatto sapere che altre due navi antinquinamento arriveranno a Genova nel primo pomeriggio da Livorno e Civitavecchia.

Fonte: Il Post

Liberati i quattro docenti universitari turchi arrestati per propaganda terroristica

I procuratori intendono cambiare il capo d'accusa in uno meno grave. Gli accademici avevano letto una petizione contro l'intervento militare nel sudest del paese

Manifestanti di fronte al tribunale di Istanbul per protestare contro il processo ai quattro accademici. Credit: Osman Orsal

I quattro docenti universitari turchi arrestati con l’accusa di diffondere propaganda terroristica e incitare all’odio sono stati rilasciati venerdì 22 aprile 2016. Su di loro pende un processo instaurato dal tribunale di Istanbul.

Il tribunale ha scarcerato gli imputati (Esra Mungan, Meral Camcı, Kivanç Ersoy e Muzaffer Kaya) perché i procuratori intendono cambiare il capo di accusa e attendono il benestare del ministero della Giustizia. La prossima udienza è stata fissata per il 27 settembre.

L’imputazione originale prevedeva una pena detentiva fino a sette anni, ma i pubblici ministeri intendono formulare un’accusa diversa sotto l’articolo 301 del codice penale turco, il quale criminalizza la "denigrazione dell'orgoglio turco”, e la punisce con un massimo di due anni di reclusione.

Le autorità turche avevano arrestato i quattro a marzo, dopo che avevano letto pubblicamente una dichiarazione in cui chiedevano di mettere fine alle operazioni di sicurezza nella regione sudorientale del paese, area a maggioranza curda.

Erano tra gli oltre duemila docenti universitari che hanno firmato una petizione in favore della pace. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva reagito dicendo che coloro che avevano sottoscritto il documento avrebbero pagato per il loro tradimento.

“Siamo felici di annunciare il rilascio dei nostri colleghi. Presto leggeremo un comunicato stampa davanti al tribunale”, si legge sulla pagina Facebook Academics for Peace, che rappresenta il gruppo promotore della petizione.

Il documento, siglato in gennaio e sottoscritto non solo da cittadini turchi ma anche da decine di stranieri tra cui il linguista Noam Chomsky, critica l’azione militare nel sudest, inclusi i coprifuoco ventiquattr’ore su ventiquattro volti a dare la caccia ai militanti del Pkk che si nascondono nelle aree residenziali delle città della regione.

Centinaia di civili, uomini delle forze di sicurezza e militanti sono rimasti uccisi nel corso del conflitto contro il Pkk esploso a luglio 2015 e che ha innescato un’escalation di violenza, come non si vedeva in Turchia da vent’anni.

Nel frattempo, desta preoccupazione la severa limitazione del dissenso e il trattamento in particolare dei giornalisti.

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Fonte: The Post Internazionale

Tredici persone uccise in un raid governativo a est di Damasco, in Siria

Il bombardamento che ha colpito la cittadina di Douma ha inoltre ferito oltre venti persone, di cui alcune in modo grave

Douma, Siria. Credit: Bassam Khabieh

Tredici persone sono rimaste uccise nella città di Douma, a est di Damasco, a causa di un bombardamento delle forze governative siriane sabato 23 aprile 2016, riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Più di venti persone sono rimaste ferite, di cui alcune in modo grave.

Fonte: The Post Internazionale