lunedì 29 febbraio 2016

I vincitori degli Oscar 2016, in ordine

Così come sono stati annunciati: a partire da Miglior sceneggiatura originale fino a Miglior film, passando per Leonardo DiCaprio (finalmente)

La premiazione di "Il Caso Spotlight", Miglior film degli Oscar 2016 (MARK RALSTON/AFP/Getty Images)

Quella di quest’anno era l’88esima edizione dei premi Oscar, noti anche col nome ufficiale di Academy Awards. La cerimonia di premiazione è avvenuta al Dolby Theatre di Los Angeles negli Stati Uniti, quando in Italia era la notte tra domenica 28 e lunedì 29 febbraio. Gli Oscar sono i riconoscimenti più famosi per chi lavora nel cinema. Quest’anno il premio principale – quello di Miglior film – è stato assegnato a Spotlight, che racconta l’inchiesta dei giornalisti del Boston Globe sui preti pedofili negli Stati Uniti. Il film che ha vinto più premi è stato Mad Max: Fury Road, quarto capitolo di una saga cinematografica iniziata nel 1979: ne ha vinti sei, ma tutti “tecnici”. I film The Martian e Carol avevano ricevuto moltissime nomination, rispettivamente sette e sei, ma non hanno vinto nulla. Il premio Oscar per il Miglior attore protagonista è andato a Leonardo DiCaprio, per The Revenant: DiCaprio era già stato candidato altre tre volte per lo stesso premio, più un’altra come attore non protagonista e una come produttore, senza mai vincere. Quello per la Migliore attrice protagonista è stato assegnato a Brie Larson, per Room. Il premio Oscar per la Miglior regia è andato per il secondo anno consecutivo a Alejandro Inarritu, il regista messicano che ha diretto The Revenant quest’anno e Birdaman quello scorso.

Clicca qui per vedere tutti i vincitori degli Oscar, nell'ordine in cui sono stati annunciati

Alicia Vikander e Mark Rylance hanno vinto i premi per i migliori attori non protagonisti. Il grande compositore italiano Ennio Morricone ha vinto il premio Oscar per la miglior colonna sonora, grazie alle musiche che ha composto per The Hateful Eight. I premi per le sceneggiature sono andati a Spotlight e The Big Short; il premio per il miglior cortometraggio animato è stato vinto da Bear Story, che potete vedere qui.

La cerimonia degli Oscar
La cerimonia di premiazione è condotta dall’attore e comico Chris Rock, che aveva già condotto la 77esima, e ha avuto al centro la questione razziale nel cinema statunitense: questa edizione è stata infatti caratterizzata dalle polemiche per la mancata inclusione di attori afroamericani ai premi per la recitazione, nonostante sia Idris Elba in Beasts of No Nation che Michael B. Jordan in Creed fossero stati molto apprezzati. Molti degli attori e dei comici che sono intervenuti sul palco hanno affrontato la questione in modo più o meno scherzoso: Chris Rock se n’è occupato nel suo lungo e diretto monologo iniziale, mentre durante la cerimonia la presidente dell’Academy, che si chiama Cheryl Boone Isaacs ed è una donna nera, ha confermato che saranno presi provvedimenti per invertire questa tendenza.

Le cose che sono successe
Altre cose notevoli che sono successe stanotte: c’erano i veri giornalisti della storia di Spotlight, Leonardo DiCaprio e Kate Winslet si sono fatti vedere insieme davanti ai fotografi per la gioia di tutti i ragazzi degli anni Novanta, l’orso di The Revenant era seduto tutto contento tra il pubblico, i droidi di Star Wars si sono fatti un giro sul palco, il comico Louis C.K. ha fatto un monologo breve ma molto divertente, Lady Gaga – introdotta da Joe Biden – ha cantato una canzone per le persone vittime di abusi sessuali nei campus universitari.

Le votazioni per gli Oscar
L’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, che è stata fondata nel 1927 con lo scopo di sostenere e promuovere il cinema statunitense: la prima cerimonia degli Oscar si tenne nel 1929 e l’unico anno in cui non furono assegnati gli Oscar è stato il 1933. I vincitori degli Oscar sono decisi da circa 6.300 votanti che fanno parte dell’Academy. I votanti sono tutti professionisti del cinema: attori, registi, produttori, direttori della fotografia e così via (17 settori in tutto). Il blocco più rilevante è quello degli attori: circa un votante su cinque è un attore o un’attrice. La maggior parte dei votanti vota per la maggior parte delle categorie (ci sono alcune eccezioni per degli Oscar particolarmente tecnici, in cui vota solo “chi se ne intende davvero”). Una particolarità è quella che riguarda il modo in cui viene deciso il Miglior film. L’ha spiegata Kyle Stock su Bloomberg:


Il compito più difficile è determinare il Miglior film, che non per forza è quello che ha raccolto il maggior numero di preferenze assolute: ai membri votanti è chiesto di classificare in ordine di preferenza i film candidati e non di sceglierne uno come in altre categorie. Le schede per il Miglior film sono impilate in base alle preferenze assolute. La pila più bassa viene poi ridistribuita a seconda del film in seconda posizione su ogni scheda, e il processo viene ripetuto finché un film ha più della metà delle schede. Un film con solo una minoranza di preferenze potrebbe potenzialmente vincere, nel caso in cui fosse stato indicato in seconda posizione in un numero sufficiente di schede.

Fonte: Il Post

I risultati dei referendum in Svizzera

La proposta di raddoppiare il San Gottardo è stata accettata, mentre quello controverso sulla "famiglia tradizionale" è stato respinto

Zurigo, Svizzera (FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)

Domenica in Svizzera si è votato per quattro referendum su altrettanti temi: il raddoppio della galleria del San Gottardo, l’iniziativa per concedere agevolazioni fiscali alle coppie sposate e specificare in Costituzione una definizione di matrimonio come unione tra un uomo e una donna, la proposta di espellere gli stranieri che commettono reati e il provvedimento per vietare la speculazione sulle materie prime alimentari. Tre referendum su quattro sono stati bocciati: solo quello sul tunnel stradale ha ricevuto l’approvazione, come suggerito da governo e Parlamento, che avevano fatto compagna contro tutti i referendum a parte quello del San Gottardo.

Raddoppio del San Gottardo: hanno vinto i Sì
Ha votato a favore della proposta il 57 per cento dei votanti, secondo i risultati ufficiali provvisori forniti dal governo svizzero. In alcuni cantoni i favorevoli sono stati quasi il 70 per cento e solo in quelli del Vaud e di Ginevra gli elettori si sono espressi contro l’opera di risanamento e raddoppio del tunnel stradale. La galleria è lunga 17 chilometri – tra le più lunghe d’Europa – e mette in comunicazione il Canton Ticino con il Canton Uri: è considerato un tratto di strada fondamentale per il traffico tra Italia ed Europa del nord. Attualmente il tunnel ha due corsie, una per senso di marcia, la proposta è costruire una seconda galleria in modo da avere due corsie per senso di marcia.

Gli oppositori del progetto dicono che aumentando la capacità del San Gottardo aumenterà il traffico che attraversa il paese, una condizione in contrasto con la Costituzione che nell’articolo sulla “protezione delle Alpi” vieta la costruzione di infrastrutture che potrebbero aumentare la quantità di traffico che attraversa il paese. Il governo ha spiegato che, a raddoppio ultimato, sarà comunque usata una corsia sola per ogni galleria, mentre la seconda sarà di servizio e sicurezza, quindi senza un aumento del traffico. Ambientalisti e parlamentari di sinistra ci credono poco e temono che in futuro il governo cederà alle pressioni dell’Unione Europea e dei trasportatori, che da tempo chiedono interventi per ampliare la capacità del tunnel.

Iniziativa contro la discriminazione della famiglia tradizionale: hanno vinto i No
Secondo i dati ufficiali provvisori hanno vinto, anche se di poco, i No con il 50,8 per cento. Molti cantoni hanno votato a favore, ma quelli con città più grandi come Zurigo, Basilea e Ginevra hanno contribuito a non fare passare la proposta, che era piuttosto subdola. La prima parte prevedeva l’introduzione di benefici fiscali per le coppie sposate, che secondo i proponenti sono svantaggiate perché quando si calcolano le imposte i redditi dei due coniugi sono sommati: a causa della progressività fiscale, per cui a maggior reddito corrispondono aliquote più elevate, due coniugi rischiano di pagare più tasse rispetto a una coppia non sposata i cui membri vengono tassati individualmente. Governo e Parlamento hanno fatto campagna per il No, ricordando che ci sono già sconti e detrazioni di altro tipo per chi è sposato, per riequilibrare le cose.

La seconda parte del quesito riguardava una modifica alla Costituzione per introdurre una definizione di matrimonio che, secondo i detrattori, avrebbe complicato se non impedito l’approvazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Espulsione degli stranieri: hanno vinto i No
Con il 58,9 per cento dei voti contrari, in Svizzera hanno respinto l’iniziativa popolare “per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati”. La proposta chiedeva di applicare più severamente il contenuto di un altro referendum votato sei anni fa, quando si votò un’iniziativa che obbligava il governo ad approvare entro cinque anni nuove leggi per espellere gli stranieri colpevoli di avere commesso un reato. Le leggi sono state approvate per tempo, ma i promotori (associazioni e parlamentari di centrodestra) avevano chiesto un ulteriore inasprimento con il nuovo quesito.

Iniziativa contro la speculazione sul cibo: hanno vinto i No
La proposta è stata bocciata dal 59,9 per cento dei votanti e ha avuto la maggioranza di Sì in due soli cantoni: Giura e Basilea. La proposta era stata presentata dai giovani del Partito Socialista e da alcune organizzazioni non governative, per vietare l’utilizzo di strumenti speculativi sulle materie prime alimentari. Secondo gli autori dell’iniziativa, l’utilizzo di titoli come i futures ha causato oscillazioni nel prezzo del cibo e contribuito ad aumentare la fame in varie parti del mondo. Il governo e il parlamento avevano consigliato di votare contro, perché la Svizzera non possiede borse dove sono contrattate grandi quantità di materie prime alimentari e quindi un divieto del genere applicato solo in Svizzera non avrebbe sostanzialmente avuto alcun effetto.

Fonte: Il Post

In Uganda sei bambini sono stati sacrificati per portare buona fortuna ai candidati

In alcuni paesi africani è credenza diffusa che i sacrifici del genere siano di buon auspicio agli aspiranti candidati

Bambini ugandesi durante la campagna elettorale di Kizza Besigye, nella città di Masaka. Credit: James Akena

Bambini mutilati o uccisi come sacrificio di buona fortuna. È successo in Uganda, nei mesi precedenti alle elezioni dello scorso 18 febbraio, dove almeno sei casi sono stati accertati, nei distretti Ssembabule, Mukono, Buikwe e Mubende. I sospetti sono stati arrestati, ma non è ancora iniziato nessun processo.

"I casi di sacrifici di bambini sono comuni durante le elezioni. Alcune persone credono che i sacrifici di sangue porteranno ricchezza e potere", ha detto Shelin Kasozi della Kyampisi Childcare Ministries (KCM), un ente di beneficenza che si occupa dei bambini sopravvissuti ai tentativi di sacrificio.

Mosè Binoga, coordinatore della task force anti-tratta del ministero degli Interni, ha detto che i bambini erano stati dati per dispersi nel periodo elettorale. Ma non ha confermato la notizia del KCM, limitandosi a dire che le indagini sono ancora in corso.

Ha aggiunto che 13 casi, sette bambini e sei adulti, sono stati segnalati nel 2015. Già nel 2014 ne erano stati segnalati altri 13. Nel 2012, un uomo di 82 anni, Hanifa Namuyanja era stato condannato a 15 anni di carcere per aver preso parte al sacrificio di sua nipote Shamim Nalwoga.

Le Nazioni Unite l'anno scorso avevano indagato sugli attacchi contro persone albine in Africa, rivelando che erano in aumento. Il fenomeno è legato ad una crescente domanda da parte degli aspiranti politici delle parti del corpo degli albini, usate nei riti di magia nera nel periodo precedente alle elezioni in diversi paesi africani, perché considerati di buon auspicio.


--LEGGI ANCHE: Il destino degli albini africani

Le protesi per i bambini albini mutilati in Tanzania

Fonte: The Post Internazionale

domenica 28 febbraio 2016

Clinton ha vinto anche in South Carolina

E con un grande distacco su Bernie Sanders, per la prima volta in queste primarie: tra due giorni c'è il Super Tuesday

(AP Photo/Gerald Herbert)

Hillary Clinton ha vinto le primarie dei Democratici in South Carolina, il quarto stato in cui si è votato per scegliere il candidato presidente degli Stati Uniti in vista delle elezioni del 2016. Clinton ha ottenuto il 73,5 per cento dei voti, superando Bernie Sanders di quasi 50 punti (Sanders ha ottenuto il 26 per cento dei voti). Il New York Times l’ha definita «la prima vittoria convincente di Clinton», che aveva vinto di poco in Iowa e Nevada e perso sonoramente in New Hampshire. Quelle del South Carolina sono state le ultime primarie prima del Super Tuesday in programma l’1 marzo, cioè una giornata in cui votano contemporaneamente una dozzina di stati diversi, sia alle primarie Democratiche che a quelle Repubblicane. Il risultato di ieri ha aumentato le possibilità di una vittoria schiacciante di Clinton al Super Tuesday e ha reso più improbabile per Sanders ottenere la nomination.


Secondo gli esperti di politica americana, la vittoria di Clinton in South Carolina è stata importante per due motivi: perché ha confermato la debolezza di Sanders fra le minoranze etniche – il 28 per cento degli abitanti del South Carolina è di origine afroamericana, il 5 per cento ispanica – e perché ha evidenziato un netto vantaggio di Clinton nello stesso elettorato, cosa che qualche settimana fa era stata messa in dubbio da diversi commentatori. Sanders aveva anche assunto una persona incaricata di elaborare una strategia per attrarre i voti degli afroamericani e aveva investito in South Carolina 2 milioni di dollari in spot televisivi e pagato 200 persone per la propria campagna elettorale: i risultati di ieri sono però stati disastrosi: secondo gli exit poll, Clinton ha ottenuto il voto dell’86 per cento degli afroamericani che hanno votato.

Sanders ha anche un altro problema, già sottolineato più volte dai suoi critici: nonostante gli sforzi, non sta riuscendo a far passare messaggi diversi da quello della diseguaglianza economica, correndo il rischio di essere percepito come un single-issue candidate, un candidato che ha a cuore un unico tema. Secondo il Washington Post, parte della sua sconfitta in South Carolina è dovuta al fatto che solamente il 21 per cento degli elettori locali considera la diseguaglianza economica come il problema più importante. Circa il doppio ritiene che il tema più importante in questo momento riguardi il sistema economico e la creazione di lavoro, mentre il 22 per cento ha citato la sanità. Il New York Times ha sottolineato come Sanders venga considerato ancora molto lontano da un’immagine presidenziale: «a volte sembra più un appassionato portavoce di una serie di cause di sinistra, piuttosto che un candidato deciso a sconfiggere Clinton al prossimo giro».

Al Super Tuesday, Sanders potrebbe anche vincere qualche stato – lo staff di Clinton ha fatto i nomi di Colorado, Minnesota, Massachusetts, Oklahoma e Vermont: stati molto bianchi e molto di sinistra, come il New Hampshire – ma in queste settimane non è riuscito a lavorare a sufficienza sui suoi difetti: e se anche vincesse i cinque stati nominati qui sopra, otterrebbe solamente una piccola parte dei delegati necessari per rimanere in corsa, dato che gli stati più popolosi – e che quindi assegnano più delegati – sono anche quelli più variegati dal punti di vista etnico.

Fonte: Il Post

sabato 27 febbraio 2016

In Siria c’è una tregua per davvero

È iniziata nella notte tra venerdì e sabato, è la prima a entrare in vigore in tutto il paese e per il momento sembra reggere: ne sono stati esclusi l'ISIS e il Fronte al Nusra

Un ribelle siriano ad Arbin, nella periferia di Damasco (AMER_ALMOHIBANY,AMER ALMOHIBANY/AFP/Getty Images)

Alla mezzanotte di venerdì è cominciata in Siria la prima tregua ufficiale in quasi cinque anni di guerra. Stando alle notizie che arrivano dalla Siria, i combattimenti principali si sono interrotti su quasi tutti i fronti, anche se si sono verificati diversi incidenti minori. Se la tregua dovesse reggere, scrive il New York Times, sarà un momento storico perché «per la prima volta la diplomazia avrà avuto successo nel fermare le uccisioni e le sofferenze che hanno portato alla morte di più di 250 mila persone e alla fuga di milioni di rifugiati». La tregua non include lo Stato Islamico (o ISIS), il Fronte al Nusra (il gruppo affiliato ad al Qaida in Siria) e altri gruppi considerati terroristi da Stati Uniti o Russia.

La tregua, che è stata accettata da oltre 100 gruppi ribelli di opposizione, è entrata in vigore a mezzanotte ora locale (in Italia erano le 23) ed è stata negoziata da diplomatici russi e americani e dall’inviato speciale dell’ONU Staffan de Mistura. Uno degli obiettivi è quello di permettere la consegna di aiuti alla popolazione di diverse zone della Siria dove la situazione umanitaria è molto grave. L’ONU ha detto che le aree dove la situazione è disperata sono trenta: tra le altre c’è la periferia occidentale di Aleppo – controllata dai ribelli e assediata dal regime siriano di Bashar al Assad, appoggiato dai bombardamenti russi – e la parte orientale di Deir Ezzor, controllata dal regime e assediata dallo Stato Islamico.

Non è chiaro quanto potrà durare la tregua: molti temono che la Russia o il regime di Assad possano violarla attaccando uno dei gruppi che hanno sottoscritto l’accordo con la scusa di colpire lo Stato Islamico o il Fronte al Nusra. Charles Lister, uno dei principali analisti della guerra in Siria, ha pubblicato una cartina che mostra come i russi considerino in mano a terroristi quasi tutto il territorio controllato dall’opposizione siriana.

Per il momento l’accordo sembra reggere e l’inviato dell’ONU de Mistura ha detto che se la situazione dovesse mantenersi calma il 7 marzo sarà possibile riprendere i colloqui di pace che erano falliti a Ginevra all’inizio dello scorso febbraio. La maggior parte dei gruppi ribelli chiede che Assad accetti di lasciare immediatamente il potere, mentre Assad non intende partecipare a negoziati che abbiano come presupposto le sue dimissioni. Anche il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ripetuto in questi giorni che Assad «non ha posto nel futuro della Siria».

Fonte: Il Post

venerdì 26 febbraio 2016

Gianni Infantino è il nuovo capo della FIFA

Il segretario generale della UEFA è stato eletto presidente al secondo turno con 115 voti

Gianni Infantino al congresso della FIFA (Matthias Hangst/Getty Images)

Dopo due votazioni, Gianni Infantino è stato eletto presidente della FIFA dalla maggioranza dei delegati delle 207 federazioni calcistiche presenti al congresso straordinario di Zurigo. Infantino ha ricevuto 115 voti: per essere eletti ne bastavano 104. Il suo rivale principale, lo sceicco Al Khalifa, è stato votato da 88 delegati, mentre il principe Ali bin al-Hussein e Jerome Champagne hanno ricevuto rispettivamente 4 e 0 voti.

Infantino è svizzero, come il suo predecessore Sepp Blatter, ha 45 anni e dal 2009 è segretario generale dell’UEFA: ha molti incarichi, tra cui anche quello di dirigere i sorteggi di Champions League ed Europa League. Infantino parla inglese, francese, tedesco, spagnolo e italiano; è un avvocato specializzato in diritto sportivo. Dal 2000 lavora per la UEFA, dove fu assunto come direttore della divisione Affari Legali e Licenze per club.

Fonte: Il Post

Togliere l’obbligo di fedeltà anche dai matrimoni civili?

Durante la discussione di ieri alcuni senatori del PD hanno presentato un emendamento di una riga in questo senso

Gli appunti di Monica Cirinnà durante la discussione sul ddi Cirinnà, Roma, 25 febbraio 2016 (ANSA/ GIUSEPPE LAMI)

Il disegno di legge (ddl) sulle unioni civili – più noto come ddl Cirinnà, per il nome delle senatrice del Partito Democratico che ne è la prima firmataria – è stato approvato giovedì al Senato. Il voto è avvenuto in realtà su un maxi-emendamento, sul quale il governo aveva posto la fiducia e che sostanzialmente ha riscrive la legge. Prima di entrare in vigore la legge deve essere ancora approvata dalla Camera dei Deputati, dove però il Partito Democratico ha un’ampia maggioranza, quindi non dovrebbero esserci sorprese.

Ci sono due grosse differenze tra il ddl originariamente proposto da Cirinnà e la versione che è stata approvata ieri: la rimozione delle parti sulla cosiddetta stepchild adoption e quella sull’obbligo di fedeltà. Nella versione originale era scritto «con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione», in quella nuova è stato tolto “alla fedeltà”.

Mentre si discuteva sull’approvazione del maxi-emendamento al ddl Cirinnà, la senatrice del Partito Democratico Laura Cantini ha presentato un altro emendamento per chiedere di eliminare l’obbligo di fedeltà anche dai matrimoni civili, quelli delle coppie eterosessuali. L’emendamento è stato sottoscritto da altri undici senatori del PD, tra cui Monica Cirinnà, ed è composto di una sola riga: c’è scritto «togliere dall’articolo 143 del Codice Civile il riferimento all’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi».

Come scrive Giulia Siviero, la fedeltà nel matrimonio scritta nel codice civile è un retaggio dell’indissolubilità cattolica del legame matrimoniale (“Prometto di esserti fedele sempre” etc): ne è il derivato “accettabile” dal punto di vista della giurisprudenza. L’eliminazione dell’obbligo di fedeltà faceva parte delle richieste avanzate dal Nuovo Centro Destra ma anche da diversi emendamenti presentati al testo iniziale da alcuni senatori del PD per eliminare qualsiasi equiparazione dell’unione civile al matrimonio. Il senatore di NCD Renato Schifani ha detto: «Abbiamo abolito la stepchild adoption e abbiamo abolito l’obbligo di fedeltà più altre piccole innovazioni che ci danno la certezza della non omologazione al matrimonio delle unioni civili».

Fonte: Il Post

giovedì 25 febbraio 2016

Il Senato ha votato la fiducia sul ddl Cirinnà

Hanno votato a favore in 173, i contrari sono stati 71: la legge sulle unioni civili passerà ora all'esame della Camera

La senatrice Monica Cirinnà del PD. (LaPresse)

Il Senato ha approvato la questione di fiducia chiesta dal governo Renzi su un maxi-emendamento presentato al ddl sulle unioni civili che ha come prima firmataria la senatrice del PD Monica Cirinnà. Hanno votato a favore in 173, i contrari sono stati 71. Il maxi-emendamento di fatto riscrive la legge, estendendo alle coppie omosessuali tutti i diritti del matrimonio civile ma eliminando i riferimenti alla stepchild adoption (senza impedire però che i tribunali possano deciderla caso per caso) e l’obbligo di fedeltà. Concluso l’iter al Senato, il disegno di legge passerà poi all’esame della Camera, dove il PD ha una maggioranza molto più ampia: salvo sorprese, quindi, si dovrebbe arrivare in tempi rapidi all’approvazione definitiva.

La legge istituisce per la prima volta in Italia “l’unione civile tra persone dello stesso sesso” come “specifica formazione sociale”, allacciando quest’ultima espressione all’articolo 2 della Costituzione, che impegna la Repubblica a riconoscere e garantire “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Il testo prosegue estendendo alle coppie che contraggono un’unione civile i diritti e i doveri previsti per le coppie sposate, dalla residenza comune alle pensioni di reversibilità, dal diritto di subentrare al contratto di affitto alla possibilità di decidere la comunione dei beni, dalla decisioni da prendere in materia sanitaria all’accesso a congedi matrimoniali, assegni familiari, graduatorie pubbliche.

Si è arrivati a questa stesura della legge dopo che per mesi il PD aveva tentato di trovare in commissione un accordo con NCD, inutilmente. Il PD aveva deciso allora di portare direttamente la legge in aula e farlo votare – senza relatore e senza parere del governo – insieme al M5S, che aveva garantito il suo voto favorevole (poi ha cambiato parzialmente idea, lasciando libertà di coscienza ai suoi senatori sulla stepchild adoption). Quando però il M5S si è rifiutato di votare un emendamento premissivo per aggirare l’ostruzionismo dell’opposizione – emendamento che poi il presidente Grasso ha giudicato inammissibile – il PD ha deciso di non voler rischiare di sottoporre gli emendamenti al voto segreto senza una maggioranza sicura e cercare nuovamente un accordo con NCD, a costo di stralciare la stepchild adoption.

Fonte: Il Post

mercoledì 24 febbraio 2016

La sentenza della Corte Costituzionale sulla stepchild adoption

La Consulta ha dichiarato inammissibile un ricorso del tribunale di Bologna su una coppia americana: ma non vuol dire che la stepchild adoption sia incostituzionale

(PATRICIA DE MELO MOREIRA/AFP/Getty Images)

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sulla stepchild adoption promossa dal tribunale per i minorenni di Bologna. Il ricorso riguardava il caso di due madri sposate negli Stati Uniti che si sono trasferite a Bologna e che chiedevano il riconoscimento dell’adozione l’una del figlio dell’altra. La decisione della Consulta è arrivata proprio mentre al Senato è in discussione il ddl sulle unioni civili, il cui punto più controverso riguarda proprio la cosiddetta “adozione del figliastro”. Questo non vuol dire che la stepchild adoption è stata giudicata incostituzionale, ma che c’è stato un errore procedurale. Il caso delle due donne tornerà ora in tribunale. Come spiega il Sole 24 Ore, il ricorso è stato respinto per una questione tecnica: entrambe le mamme sono straniere e la legge che il Tribunale dei Minori di Bologna voleva applicare non può essere considerata in questo caso perché è quella che regola l’adozione internazionale.


In un comunicato, la Corte costituzionale ha specificato che la questione di legittimità costituzionale promossa dal Tribunale per i minorenni di Bologna è stata dichiarata inammissibile perché il collegio di merito «ha erroneamente trattato la decisione straniera come un’ipotesi di adozione da parte di cittadini italiani di un minore straniero (cosiddetta adozione internazionale), mentre si trattava del riconoscimento di una sentenza straniera, pronunciata tra stranieri».


Eleonora Beck e Liz Joffe hanno ciascuna una propria figlia avuta tramite fecondazione eterologa: un tribunale dell’Oregon nel 2004 aveva stabilito che entrambe erano, reciprocamente, madri adottive della bambina e del bambino dell’altra. Le due donne, dopo essersi trasferite in Emilia Romagna, avevano chiesto il riconoscimento dell’adozione anche in Italia. Il tribunale dei minorenni di Bologna aveva però deciso di rinviare gli atti ai giudici costituzionali, mettendo in discussione la legittimità di due articoli della legge 184 del 1983 sulle adozioni che vieterebbero questa possibilità. Gli articoli sui quali il tribunale di Bologna aveva chiesto l’intervento della Consulta erano il 35 e 36 «nella parte in cui non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato (all’estero), il riconoscimento della sentenza straniera».

La sentenza era molto attesa proprio per la discussione in corso al Senato, ma anche perché i senatori che si oppongono al ddl Cirinnà avevano citato il parere presentato nel febbraio del 2015 dall’Avvocatura dello Stato su questo specifico caso. Anche il parere dello Stato chiedeva alla Consulta di rifiutare il ricorso perché il tribunale di Bologna aveva trattato il caso come un’adozione internazionale (il tribunale chiedeva in sostanza come tutelare in Italia il figlio di una famiglia omogenitoriale che si è formata all’estero) e non come un caso particolare: avrebbe dovuto dunque basarsi sull’articolo del Titolo IV della legge sulle adozioni. In base al Titolo IV un tribunale di Roma nel 2014 aveva già riconosciuto l’adozione di una bambina di cinque anni da parte della compagna della sua madre naturale.

Sempre dal Sole 24 Ore:


L’Avvocatura dello Stato aveva chiesto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile, sottolineando che più volte a tutela dei minori i tribunali italiani hanno accolto l’istanza di adozione di coppie gay, applicando la norma che disciplina le adozioni nei casi particolari. In una memoria depositata oltre un anno fa, l’Avvocatura rilevò che la legge impugnata per il caso dei figli di Eleonora Beck e Liz Joffe già permette, in realtà, casi particolari di adozione, mettendo in primo piano la tutela dell’interesse «supremo» del minore. Una linea affermata anche da alcune sentenze di merito, prima tra tutte quella firmata dal collegio presieduto dal giudice Melita Cavallo, che nel 2014 diede il via libera all’adozione di una bambina in una coppia formata da due donne.


Nel parere dell’Avvocatura, secondo gli oppositori della stepchild adoption, era però contenuta la posizione ufficiale del governo sulla stepchild adoption stessa. Nella memoria dell’Avvocatura, secondo quanto diffuso da diversi giornali, c’è scritto che «non è astrattamente identificabile un pregiudizio per l’equilibrio psicofisico del bambino, non potendo identificarsi tout court il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale con una valutazione negativa derivante dal diffuso pregiudizio sociale sull’argomento». I senatori di Area Popolare Maurizio Sacconi e Nico D’Ascola avevano detto: «È in atto un tentativo di risolvere il nodo divisivo della genitorialità omosessuale attraverso la solita giurisprudenza creativa». Il senatore di Gaetano Quagliariello aveva dichiarato che «il governo, tramite l’Avvocatura, postula in astratto la sostanziale equivalenza tra la genitorialità omosessuale e la genitorialità eterosessuale negando di fatto il diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà». E Carlo Giovanardi aveva parlato di «atto eversivo nei confronti della legislazione in vigore nel nostro Paese, offensivo nei confronti del nostro Parlamento».

Fonte: Il Post

Ricordando Steve Jobs

In ricordo di Steve Jobs, l'informatico fondatore dell'azienda tecnologica Apple


Nato a San Francisco, in California, il 24 febbraio del 1955. Steve Jobs, l'informatico fondatore dell'azienda tecnologica Apple, fu immediatamente dato in adozione dai suoi genitori naturali ai coniugi Jobs, che lo crebbero.

Dopo aver lavorato presso l'azienda Atari, nel 1976 Jobs decise di mettersi in proprio e, insieme all'amico Steve Wozniak, fondò la Apple, la cui prima sede fu il garage dei genitori di Steve Jobs. Attraverso questo lavoro, la nuova società riuscì a produrre il suo primo computer, l'Apple I.

Nel 1984 l'azienda di Jobs e Wozniak, che nel frattempo aveva iniziato una collaborazione con il Palo Alto Research Center, produsse Apple Macintosh, il primo personal computer dell'azienda che, attraverso una serie di innovazioni come le icone e i menù a tendina, non fu rivolto solamente agli addetti ai lavori.

I risultati di vendita di questo computer, tuttavia, furono inferiori al previsto, e questo fatto portò allo scontro tra Jobs e l'amministratore delegato di Apple John Sculley, che portò al forte ridimensionamento dei poteri di Jobs nell'azienda e alle sue successive dimensioni da quest'ultima.

Nel 1985 Jobs fondò una nuova azienda tecnologica, la NeXT, i cui computer, tuttavia, per quanto molto sofisticati, ebbero una limitata diffusione a causa dei costi particolarmente elevati. Nel 1986 Steve Jobs acquistò la casa produttrice Pixar, attraverso la quale iniziò la realizzazione di animazioni computerizzate. La Pixar nel 2006 è stata acquistata dalla Walt Disney.

Nel 1996 la Apple era in crisi, e per rinnovarsi acquistò la NeXT - che era anch'essa in crisi - e, dal 1997, dette a Steve Jobs l'incarico di amministratore delegato con un simbolico stipendio di 1 dollaro l'anno.

Dopo una rivoluzione aziendale, nel 2001 Jobs lanciò il nuovo sistema operativo Mac OS X e aprì in Virginia il primo Apple store, il negozio ufficiale di prodotti dell'azienda.

Inoltre, lanciò nuovi prodotti legati al mondo della musica: l'iPod, un lettore di musica digitale, e iTunes, un software che permette di acquistare musica, mentre nel 2007 mise in circolazione l'iPhone, il primo smartphone dell'azienda, spostando definitivamente i principali interessi dell'azienda dai computer al mondo multimediale in generale.

Il 5 ottobre del 2011 Jobs morì a Palo Alto, in California, in seguito a un cancro che lo affliggeva da diversi anni.

Fonte: The Post Internazionale

Le donne attaccate con l'acido tornano a sorridere in India

Questo tipo di aggressioni è diffuso in tutto il mondo, ma nel subcontinente indiano si cerca di combatterle cambiando le norme ed educando al rispetto

Dolly, una delle vittime di un attacco con l'acido sorride sul posto di lavoro, l'Hangout cafè di Agra

Dolly aveva 12 anni quando un vicino di casa ha cominciato a mostrare un interesse morboso nei suoi confronti. La seguiva ovunque, la perseguitava, si spingeva al punto di rivolgerle parole volgari e oscene, le ha persino chiesto di andare a letto con lui.

Dolly non era che una ragazzina, ma cercava di tenerlo a distanza, non gradiva i suoi apprezzamenti, non aveva alcuna intenzione di accontentare quell’uomo.

Poi un giorno, mentre Dolly giocava con degli amici, l’uomo si è presentato a casa sua. La ragazza è corsa via, presagendo che stava per accadere qualcosa di molto brutto. Non ha fatto in tempo a ripararsi nella sua stanza, che l’uomo le ha lanciato dell’acido e il viso di Dolly ha cominciato a bruciare.

Anche Rani era poco più di una bambina quando un uomo le ha messo gli occhi addosso e manifestato l’intenzione di sposarla. Ma Rani voleva finire la scuola, e così aveva detto che non si sarebbe sposata così giovane.

L’uomo non si era arreso. Un giorno l’aveva avvicinata per strada, provando a molestarla, ma Rani l’aveva preso a schiaffi offendendolo a morte. Così, l’uomo si era presentato qualche giorno dopo deciso a vendicarsi dell’oltraggio subito e le aveva lanciato addosso dell’acido.

Due storie drammaticamente simili provenienti dall’India dove, purtroppo, gli attacchi con l’acido sono frequenti. Nel 2014 si sono registrati 309 casi, con un incremento del 300 per cento in tre anni. I casi sono probabilmente di più, ma non sempre vengono denunciati alle autorità, persino quando le aggressioni provocano la morte della vittima.

Si tratta di un problema legato alla natura di una società patriarcale, nella quale un uomo non accetta di essere respinto e nella quale un marito o un padre ritengono di avere potere di vita e di morte sulla propria moglie e le proprie figlie.

Ma si tratta anche di un problema legato all'estrema facilità con cui si può acquistare l’acido nel paese: un litro costa meno della stessa quantità di latte.

Dolly e Rani sono tornate a vivere dopo aver affrontato gli abissi di un incubo fatto di isolamento, dove non c'era più spazio per gli studi, per gli affetti e l'amore, e dove non esisteva più la prospettiva di una vita normale.

Le due ragazze hanno voltato pagina grazie a Sheroes, un’associazione in sostegno delle donne, e oggi lavorano presso l’Hangout cafè di Agra. Sono rientrate a far parte della società, sono tornate a credere che un futuro migliore sia possibile.

Laxmi Agarwal, aveva 15 anni quando l’uomo che aveva rifiutato l’aveva attaccata con l’acido. Era il 2015. Ma Laxmi, a differenza di Dolly o Rani, aveva reagito ed era diventata un’attivista. Si era presentata davanti alla Corte Suprema con 27mila firme per chiedere che fossero imposti dei limiti alla vendita dell’acido.

Ai governi locali e quello federale era stato allora richiesto di introdurre delle restrizioni alle vendite – i commercianti devono avere una licenza per la vendita di acido e gli acquirenti devono presentare un documento di identità –, di assicurare una migliore assistenza medica e dei risarcimenti adeguati alle vittime.

Tuttavia, nota Rajendra Mal Lodha, presidente della Corte suprema, anche se esistono le leggi appropriate, tutto sta a vederle implementate. Lodha sostiene che la questione vada affrontata anche dal punto di vista culturale: “Bisogna cambiare la mentalità, forse dovremmo sensibilizzare ragazzi e ragazze nelle scuole [...] Se gli uomini considerassero le donne come eguali in tutte le sfere della vita, allora forse gran parte di questo problema sarebbe risolto”.

Lodha era rimasto colpito dalla forza e dal desiderio di giustizia di Laxmi, e non è stato il solo. Alok Dixit, giornalista e attivista, fondatore della Stop Acid Attacks (l’Ong che gestisce Sheroes), ha conosciuto la ragazza di Delhi, se ne è innamorato e l’ha sposata.

Dopo l’attacco, Laxmi non credeva che avrebbe trovato un compagno, non credeva che avrebbe vissuto un amore. Ma si sbagliava e adesso è l’orgogliosa madre di una bambina.

Il problema però non riguarda solo l’India. Il fenomeno viene registrato anche nel resto dell’Asia meridionale, in Africa subsahariana, nelle Americhe, in Medio Oriente, in Europa. Mentre in India gli attacchi sono quasi esclusivamente contro le donne, in Cambogia e Uganda il 40 per cento delle vittime sono uomini.

Nel 2014, invece un caso eclatante aveva scosso le coscienze in Colombia, spingendo il presidente colombiano a offrire una ricompensa a chi fosse in grado di dare informazioni sul caso e sull'aggressore di Natalia Ponce de Leon, spingendo il senato colombiano a cambiare la legge.

In Bangladesh, le autorità sono riuscite a ridurre sensibilmente l’incidenza degli atti (70 per cento di casi in meno dal 2002) imponendo limiti temporali agli investigatori e ai tribunali che si occupano dei casi di attacchi con l’acido.

Il Pakistan ha deciso di seguire l’esempio bangladese, nel 2011, ma non tutti vogliono spingersi tanto in là da introdurre la pena di morte per gli aggressori, come ha fatto il Bangladesh.

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Fonte: The Post Internazionale

A che punto è la guerra in Ucraina di cui nessuno più parla

Nel mese di febbraio, le tensioni nel conflitto sono aumentate a livelli che non si vedevano da diversi mesi. Eppure, se ne è parlato molto poco. Che succede?

Credit: Valentyn Ogirenko

La guerra nell'est dell'Ucraina è iniziata nell'aprile del 2014 in seguito al rovesciamento del presidente Viktor Ianukovich e l'uscita del paese dall'orbita della Russia, con conseguente avvicinamento ai paesi della Nato.

Il conflitto, che ha visto contrapposti l'esercito ucraino e i ribelli delle province di Donetsk e Luhansk, a maggioranza russa, ha causato finora oltre 9mila morti.

Gli scontri si sono raffreddati a partire dal febbraio del 2015, con il raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco fra la Russia, che ha sempre negato di partecipare al conflitto nonostante il sostegno politico ai ribelli, e i rappresentanti di Ucraina, Francia e Germania in un incontro a Minsk.

Nel settembre del 2015, inoltre, un nuovo accordo per una tregua raffreddava ulteriormente la situazione sul fronte dell'Ucraina orientale.

Da quel momento in poi gli scontri sono proseguiti, seppur in maniera decisamente minore. Questo ha spinto anche i media a occuparsi meno del conflitto ucraino, ridimensionato ancora di più dall'intervento della Russia e dei paesi della Nato nel conflitto in Siria.

Nonostante la stampa abbia dedicato sempre meno spazio al conflitto in Ucraina, la guerra è proseguita e si è intensificata nel febbraio del 2016, ma il numero delle vittime registrato è rimasto invariato rispetto al settembre del 2015, quando l'ultima tregua è stata raggiunta.

La situazione attuale non ha raggiunto i livelli di massima tensione avuti in precedenza, e nessuna delle due parti coinvolte ha utilizzato l'artiglieria pesante, secondo quanto riportato dal New York Times, ma vede numerosi elementi preoccupanti.

Il capo della missione di monitoraggio in Ucraina dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), Alexander Hug, ha rilasciato una testimonianza al quotidiano americano affermando di aver notato la presenza di 88 carri armati tra le fila dei ribelli filorussi al fronte.

Hug non ha specificato da dove provenissero questi mezzi corazzati, e la Russia ha negato di aver fornito degli armamenti ai ribelli.

Secondo l'opinione di diversi analisti, i separatisti russi stanno aumentando la propria attività al fronte al fine di rafforzare la propria posizione in caso di possibili negoziati di pace in Ucraina.

"Tutti i fattori analizzati portano alla conclusione che la Russia non sia preparata per una soluzione della crisi nell'est dell'Ucraina, almeno non nei termini considerati ragionevoli da Kiev" ha scritto Steven Pifer della Brookings Institution in una sua analisi.

Pifer ha aggiunto anche che l'interesse della Russia è quello di tenere basso l'interesse verso il conflitto in Ucraina, ma al tempo stesso permettere che si verifichino momenti di particolare tensione, in modo che Mosca possa così esercitare diverse pressioni sul governo di Kiev.

L'analista ha inoltre notato come l'intervento militare della Russia in Siria abbia contribuito a rafforzare la posizione del presidente Bashar al-Assad.

In Ucraina un'escalation da parte dei filorussi potrebbe esattamente avere conseguenze diplomatiche simili.

Secondo Andreas Umland, dell'Istituto per la cooperazione Euro-Atlantica di Kiev, la Russia non ha alcun interesse a una vera e propria pace in Ucraina, ma piuttosto vuole mantenere uno stato di sostanziale congelamento del conflitto.

In questa maniera, le zone controllate dai ribelli cadrebbero in una situazione di isolamento e radicalizzazione e, prima o poi, finirebbero definitivamente nell'orbita di Mosca.

Dall'altra parte, la Francia e la Germania stanno compiendo diversi sforzi perché l'Ucraina possa mettere in atto ciò che potrebbe garantire il rispetto dell'accordo di febbraio del 2015, dove Kiev si è impegnata a garantire una maggiore autonomia ai territori dell'est del paese. Ma il provvedimento non è ancora stato messo in atto.

Per il prossimo Eurovision Song Festival, in rappresentanza dell'Ucraina canterà Jamala, artista originaria della Crimea che si esibirà sul palco con la canzone "1944", che racconta il dramma degli oltre 240 mila tatari, deportati da leader sovietico Stalin dalla Crimea all'Asia centrale.

Il brano non fa alcun riferimento alla situazione attuale dell'Ucraina, poiché il regolamento del festival proibisce riferimenti politici d'attualità. Ma in molti hanno notato nel testo della canzone un riferimento velato alla situazione recente del paese.

Fonte: The Post Internazionale

Donald Trump vince anche in Nevada

Il miliardario newyorkese ha ottenuto più del 40 per cento dei voti. Marco Rubio e Ted Cruz entrambi intorno al 20 per cento

Donald Trump durante la campagna elettorale

Donald Trump ha stravinto i caucus dei repubblicani in Nevada. È la terza vittoria, dopo South Carolina e New Hampshire.

Si tratta di una vittoria schiacciante con il 45,6 per cento dei consensi. Secondo posto per Marco Rubio con 23,3 per cento dei voti seguito da Ted Cruz, che ha ottenuto 22,1 per cento delle preferenze.

Alla festa per la sua terza vittoria che si è svolta a Las Vegas al Treasure Island Hotel & Casino, Trump ha sottolineato l'ampiezza del suo sostegno.

"Abbiamo vinto con gli evangelici. Abbiamo vinto con i giovani. Abbiamo vinto con gli anziani. Abbiamo vinto con la gente istruita. Abbiamo vinto con quella poco istruita. Amo i poco istruiti. Noi siamo le persone più intelligenti, noi siamo quelli più fedeli”, ha detto euforico.

L’applauso più forte l’ha ottenuto quando ha sottolineato di aver vinto con il sostegno del voto dei latinos. Un risultato sorprendente se si pensa che il miliardario aveva definito i messicani “stupratori e criminali”.

I repubblicani ora guardano al Super Tuesday del primo marzo, quando si voterà in 11 stati, e quell’occasione elettorale sarà decisiva per la nomination repubblicana alla Casa Bianca.

Trump, secondo i sondaggi, sembra avere un vantaggio in una larga maggioranza di stati, ad eccezione di Arkansas e Texas. È avanti negli stati tradizionalmente conservatori come Alabama, Georgia, Alaska e Minnesota. Anche in Massachusetts sembra avere buone chanches di vittoria.

Sia Cruz e Rubio avrebbero avuto bisogno di una vittoria in Nevada per ottenere lo slancio necessario per sperare di sfidare Trump nei prossimi caucus.

Anche se la corsa repubblicana è ancora in una fase iniziale e Trump è molto lontano dai 1237 delegati necessari per garantire la nomina del partito, fino ad ora è il favorito indiscusso.

Fonte: The Post Internazionale

martedì 23 febbraio 2016

Le due strade possibili sulle unioni civili

Domani o si tira dritto votando tutti gli emendamenti o si riscrive la legge con un maxi-emendamento su cui porre la fiducia: Renzi ha detto che preferisce la seconda

Angelino Alfano e Matteo Renzi al Senato (Roberto Monaldo / LaPresse)

Parlando ai senatori del PD, il segretario del partito e presidente del Consiglio Matteo Renzi ha descritto le due strade possibili per arrivare all’approvazione delle unioni civili: votare la legge così com’è con tutti i suoi emendamenti, senza poterli aggirare e contando sul promesso sostegno del Movimento 5 Stelle, oppure modificarla in accordo col Nuovo Centro Destra e porre la questione di fiducia. Nel corso del suo discorso, stando a quanto hanno ricostruito i giornali, Renzi ha detto che a questo punto non ci si può fidare del Movimento 5 Stelle e che «perseverare sarebbe diabolico»; e quindi ha fatto capire di preferire la seconda ipotesi – che però porterebbe probabilmente all’eliminazione dalla legge della stepchild adoption – per quanto debbano essere i senatori del PD a prendere una decisione finale.

La discussione al Senato sul ddl Cirinnà ricomincerà domani, mercoledì 24 febbraio, dopo la sospensione chiesta dai senatori del Partito Democratico al termine della difficile giornata di mercoledì scorso. Quel giorno la discussione sul ddl Cirinnà era stata interrotta dopo che era saltato il patto tra Lega e PD: la Lega Nord – contraria all’approvazione del ddl Cirinnà – aveva annunciato di voler ritirare la maggioranza dei 5mila emendamenti presentati mantenendone 580 e aveva chiesto al Partito Democratico – che invece ha proposto e sosterrà la legge, almeno con la maggioranza dei suoi senatori – di ritirare come stabilito il “supercanguro” di Andrea Marcucci, un emendamento all’articolo 1 che conteneva tutti i punti principali della legge e che, se approvato, avrebbe fatto cadere in un colpo solo quasi tutte le modifiche presentate dalle opposizioni.

Il PD aveva però deciso di non ritirarlo e il M5S – che in passato non ha mai votato a favore del meccanismo parlamentare del cosiddetto canguro – con i suoi 35 senatori aveva detto di non avere intenzione di dare il suo appoggio all’emendamento del PD, insieme a Forza Italia, Area Popolare e Lega. Il M5S aveva chiesto di proseguire immediatamente la discussione e di votare il ddl «articolo per articolo, emendamento per emendamento»: questo, secondo il PD, avrebbe causato un eccessivo allungamento dei tempi di discussione e avrebbe rischiato di snaturare la legge se qualche emendamento di opposizione fosse passato. Dopo una riunione dei capigruppo chiesta dal senatore del PD Luigi Zanda, quindi, la discussione era stata sospesa e rimandata a questa settimana.

Domenica 21, poi, il presidente del Consiglio e segretario del PD, Matteo Renzi, era intervenuto all’Assemblea nazionale del partito, dove, tre le altre cose, aveva parlato anche di cosa succederà al ddl Cirinnà sulle unioni civili. Renzi aveva criticato il Movimento 5 Stelle e aveva detto che per far approvare la legge avrebbe potuto essere necessario fare un nuovo accordo con la maggioranza che sostiene il governo.

L’accordo per ritrovare un patto all’interno della maggioranza di governo, dunque con Angelino Alfano di NCD e l’area cattolica del Partito Democratico, prevederebbe eventualmente la presentazione di un maxi-emendamento che riscriva in parte la legge, su cui poi dovrebbe essere chiesto un voto di fiducia. La decisione è stata confermata ieri mattina dopo una riunione a Palazzo Chigi tra Matteo Renzi, la ministra per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi e i capigruppo del Pd Ettore Rosato e Luigi Zanda. Questo permetterebbe di chiudere la discussione e la questione delle unioni civili con una sola votazione entro pochi giorni. La legge passerebbe poi all’esame della Camera, dove la maggioranza del PD è molto più ampia.

Il maxi-emendamento, per come è stato descritto, prevede però un indebolimento del ddl Cirinnà: stralcia innanzitutto l’articolo 5, quello che estende la stepchild adoption anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso, a cui NCD è contraria, e prevede l’inserimento degli emendamenti del senatore del PD Giuseppe Lumia all’articolo 3 per cancellare dal codice civile ogni riferimento che rischi di sovrapporre matrimonio e unione civile. Diversi giornali scrivono che le trattative in corso con NCD sul testo del maxi-emendamento riguardano anche altri punti: la questione della reversibilità della pensione e quella sul cognome del compagno o della compagna, punti che il partito di Alfano vorrebbe eliminare perché porterebbero le unioni civili sullo stesso piano del matrimonio. Roberto Formigoni e altri senatori hanno anche chiesto che la gestazione per altri (che in modo peggiorativo si continua a chiamare “utero in affitto”) venga riconosciuta come «reato universale».

Di fronte all’ipotesi del maxi-emendamento con fiducia, il M5S – che ha ribadito anche negli ultimi giorni di sostenere la legge e di non mettersi di traverso sulla votazione degli emendamenti – si è appellato al presidente del Senato, Pietro Grasso, e ha chiesto di convocare con urgenza una riunione di capigruppo «per definire una tempistica certa ed evitare il maxi-emendamento e la fiducia, con cui il governo vuole esautorare il Parlamento». Anche all’interno del PD sono arrivate diverse critiche allo stralcio della stepchild adoption. La minoranza bersaniana ha chiesto a Renzi che su questo preciso punto potesse votare l’aula. Miguel Gotor ha detto che «i voti ci sono, ma non li si vuole cercare. I grillini sono usati come alibi». Cesare Damiano ha spiegato che «la strada dell’accordo di maggioranza è sbagliata». E il sottosegretario al ministero delle Riforme Luciano Pizzettilo ha spiegato: «Renzi ha messo lì due opzioni e io penso che quella migliore rimanga il percorso parlamentare».

Domani
Domani pomeriggio la discussione in aula al Senato dovrebbe cominciare dalla dichiarazione di inammissibilità degli emendamenti “canguro”. Il governo – se avrà superato positivamente la riunione di oggi – annuncerà la presentazione del maxi-emendamento. Il voto di fiducia potrebbe arrivare giovedì o al massimo nei primi giorni della prossima settimana. E sul voto di fiducia non dovrebbero esserci particolari problemi. Nell’ultimo voto di fiducia al Senato sul ddl di riforma costituzionale c’erano stati 180 voti a favore della maggioranza (la maggioranza, se tutti i senatori sono presenti, è a 161 voti). Il Corriere della Sera ha riassunto in un’infografica i voti di fiducia ottenuti dal governo al Senato in diversi passaggi importanti.

Il Partito Democratico ha 112 senatori, NCD 32. Per arrivare ai 161 voti necessari mancherebbero 17 voti che potrebbero arrivare dal gruppo misto (14 dei 26 senatori che compongono il gruppo misto avevano dichiarato il loro sostegno alla legge) o dal gruppo Per le autonomie che conta 20 senatori dalla provenienza più disparata e che nei mesi scorsi hanno votato sia contro che a favore del governo. Nel caso del ddl di riforma costituzionale avevano sostenuto la maggioranza di governo anche 2 senatori di Forza Italia e 2 di Grandi Autonomie e Libertà. Ma potrebbero arrivare i voti favorevoli anche dei cosiddetti “verdiniani” che nel gruppo Alleanza Liberalpopolare-Autonomie contano su 19 senatori e che in passato hanno quasi sempre votato con il governo: se votassero la fiducia, sarebbe la prima volta.

Sel con i suoi 6 senatori ha fatto sapere invece che non voterà una fiducia «gravissima e sbagliata». Non voteranno la fiducia nemmeno Forza Italia, 40 senatori, Conservatori e Riformisti, 9 senatori, Lega Nord, 15 senatori. Resta da vedere che decisione prenderanno i senatori del Movimento Cinque Stelle. Nunzia Catalfo, capogruppo del Movimento al Senato, ha dichiarato che «la fiducia non si può votare». La loro strategia per il dibattito parlamentare potrebbe prevedere anche l’abbandono dell’aula.

Fonte: Il Post

Le elezioni in Iran, tutto quello che c'è da sapere

Il 26 febbraio si rinnoveranno il parlamento e l'Assemblea degli esperti. Queste elezioni rappresentano una sorta di voto di fiducia nei confronti di Rouhani

Una donna mostra la sua scheda elettorale. Credit: Morteza Nikoubazl

Venerdì 26 febbraio gli iraniani saranno chiamati a rinnovare il Majlis, il parlamento nazionale. Sono le prime elezioni nel paese all’indomani dell’accordo sul nucleare e della sospensione delle sanzioni internazionali.

Si tratta della decima tornata elettorale dalla nascita della Repubblica, nel 1979.

Queste elezioni rappresentano una sorta di voto di fiducia nei confronti del governo moderato di Rouhani. Avranno significative conseguenze per la sua eventuale rielezione nel 2017.

COSA SI ELEGGE

Sarà un doppio appuntamento elettorale, si eleggeranno infatti sia i 290 parlamentari, che l’Assemblea di esperti dell’Orientamento, un organo di 88 religiosi che saranno incaricati di nominare la prossima Guida suprema, il successore dell’Ayatollah Khamenei.

È la prima volta che si vota nello stesso giorno per rinnovare entrambe le istituzioni.

Sono quasi 55milioni gli iraniani aventi diritto al voto.

COME SI VOTA

Dei 290 membri del parlamento, 285 sono eletti direttamente, mentre cinque seggi sono riservati alle minoranze di zoroastriani, ebrei, assiri, caldei cristiani e armeni.

I 285 seggi sono assegnati in collegi uninominali o plurinominali.

Nei collegi uninominali i candidati devono ottenere almeno un terzo dei voti. Se nessuno ottiene questo risultato al primo turno, andranno al ballottaggio i due candidati più votati. Nei collegi plurinominali invece i seggi sono assegnati con il metodo proporzionale.

GLI SCHIERAMENTI

Per più di un decennio le istituzioni politiche iraniane sono state dominate dai conservatori. La rotta si è invertita nel 2013, quando è stato eletto il moderato Hassan Rouhani. Il governo attuale è formato da moderati, ma il parlamento è ancora composto in maggioranza da conservatori. Le elezioni di venerdì sono una prova di forza tra i due schieramenti.

A Teheran, la coalizione dei riformisti è guidata da un ex candidato presidenziale, Mohammad Reza Aref, una figura influente la cui decisione di dimettersi in favore di Rouhani nella corsa presidenziale del 2013, è stata fondamentale per la vittoria di quest'ultimo.

Il candidato di punta conservatore nella capitale è invece Gholamali Haddad-Adel.

I CANDIDATI

Tutti i candidati, che devono avere un’età compresa tra i 26 e i 75 anni e professare la religione islamica, devono passare al vaglio del Consiglio dei Guardiani, un organismo di religiosi e giuristi vicini all’Ayatollah Ali Khamenei.

Negli ultimi anni il Consiglio non ha approvato un numero significativo di candidati riformisti. Anche un nipote del padre fondatore della Repubblica islamica, l'ayatollah Ruhollah Khomeini, è tra quelli che sono stati scartati.

All'inizio erano oltre 12mila i candidati alla carica di parlamentari, ma metà di loro non hanno ricevuto l’approvazione dei Guardiani. Tra questi alcuni ex deputati e molte figure di spicco dell’area riformista. Sono rimasti in 6200 e tra questi 586 sono donne.

Nella sola Teheran sono circa mille i candidati, che si contendono solo 30 seggi. Per quanto riguarda invece i candidati all’Assemblea di esperti, di 800 teologi islamici solo 161 sono stati approvati.

RIFORMISTI E CONSERVATORI

Il candidato favorito dei riformisti è l'ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani. Lo scopo dei riformisti è quello di bloccare l’ingresso in parlamento dei tre principali leader ultraconservatori, Ahmad Jannati, Mohammad Yazdi e Mohammad Taghi Mesbah-Yazdi.

Rafsanjani, che ora ha 80 anni, è stato tra i membri fondatori della Repubblica Islamica e ha ricoperto la carica di presidente dal 1989 al 1997.

Durante la guerra tra Iran e Iraq, durata dal 1987 al 1988, Rafsanjani ha ricoperto il ruolo di alto rappresentante di Khomeini nel consiglio di difesa suprema, in qualità di comandante in capo delle forze armate iraniane.

Quando Khomeini morì nel 1989, Rafsanjani svolse un ruolo determinante nella nomina di Khamenei come attuale leader supremo.

Fonte: The Post Internazionale

Assad convoca le elezioni in Siria per il 13 aprile

Le ultime votazioni si sono svolte nel 2012. La decisione arriva dopo l'annuncio di un cessate il fuoco da parte di Stati Uniti e Russia

Il presidente siriano durante un'intervista rilasciata a un giornale spagnolo. Credit: Reuters

Il presidente siriano Bashar al-Assad ha annunciato che le elezioni politiche in Siria si terranno il 13 aprile prossimo. Lo ha reso noto l'agenzia di stampa siriana Sana.

Il relativo decreto è stato firmato poche ore dopo l'annuncio di Russia e Stati Uniti dell'entrata in vigore, a partire dalla mezzanotte del 27 febbraio, di un cessate il fuoco in Siria, accettato dalle opposizioni moderate ma che non comprende né le milizie del sedicente Stato Islamico né il Fronte al-Nusra.

Le elezioni si tengono ogni quattro anni. Le ultime elezioni parlamentari in Siria si sono svolte nel 2012.

Fonte: The Post Internazionale

lunedì 22 febbraio 2016

Perché Apple litiga con l’FBI, dall’inizio

Dietro la decisione di non fornire un accesso a un iPhone per le indagini su un attentato c'è un tema che riguarda tutti: spetta alle aziende o agli stati proteggere la privacy delle persone?

Il CEO di Apple, Tim Cook (Stephen Lam/ Getty Images)

Apple vuole spostare il confronto in corso con l’FBI e il governo degli Stati Uniti riguardo l’iPhone della strage di San Bernardino dai tribunali al Congresso, in modo da farlo diventare un dibattito più generale sui confini entro i quali aziende e istituzioni devono muoversi per tutelare la privacy degli individui. La proposta è contenuta in un nuovo comunicato di Apple – con “domande e risposte” – che fa seguito alla lettera della settimana scorsa del CEO Tim Cook.

Secondo Apple, il modo migliore per affrontare il tema è attraverso “una commissione o un gruppo di esperti su intelligence, tecnologia e libertà civili in cui discutere le implicazioni per la legge, la sicurezza nazionale, la privacy e le libertà individuali”; “Apple sarebbe contenta di partecipare”. Cook ha ribadito lo stesso concetto in un’email inviata stamattina a tutti i dipendenti Apple, nella quale li ringrazia per il sostegno alla decisione senza precedenti con cui una delle più grandi e redditizie aziende del mondo ha deciso di contestare un’ordinanza di tribunale, per lo più su un tema di sicurezza nazionale.

Cosa vuole l’FBI
Durante le indagini sulla strage di San Bernardino, in California, in cui sono state uccise 14 persone e i due autori dell’attacco, è stato trovato un iPhone 5C appartenuto a Syed Rizwan Farook, uno dei due assalitori. L’FBI ha ottenuto da Apple i backup che il telefono fa automaticamente online tramite il servizio iCloud, ma ha scoperto che non sono recenti abbastanza per ottenere informazioni sulle attività dei terroristi nelle settimane precedenti all’attacco. Gli agenti hanno quindi chiesto a Apple – tramite un’ordinanza di un giudice – di creare una versione modificata ad hoc del suo sistema operativo iOS da installare su quel telefono, in modo da fornire un accesso secondario agli investigatori e permettere loro di ottenere i dati più recenti dall’iPhone di Farook, che sono criptati sul dispositivo. Apple si è opposta, dicendo che una soluzione di questo tipo creerebbe un precedente molto pericoloso, perché l’FBI potrebbe accedere a qualsiasi altro iPhone in suo possesso e che una modifica di questo tipo a iOS sarebbe tecnicamente molto difficile. Tim Cook ha spiegato le motivazioni dell’azienda nella sua lunga lettera, che ha ricevuto il sostegno di tutte le grandi aziende statunitensi del web – come Facebook e Google – e che ha aperto un dibattito molto ampio sul delicatissimo tema della tutela dei dati online.

Accesso secondario
Nei giorni seguenti alla lettera, è emerso che la vicenda si è complicata in parte proprio a causa dell’FBI. L’iPhone 5C del terrorista di San Bernardino era un telefono “aziendale”, gli era stato fornito dalla contea di San Bernardino, per cui lavorava. Dopo avere recuperato l’iPhone 5C, l’FBI ha chiesto ai tecnici della contea di resettare la password da remoto, cioè da un altro dispositivo, pensando così di poter ottenere direttamente i dati dal backup di iCloud, senza coinvolgere direttamente Apple. Questa soluzione ha però bloccato i backup dei file più recenti verso iCloud, perché se la modifica è stata effettuata da un altro dispositivo Apple chiede per renderla effettiva si debba sbloccare il telefono utilizzando il codice deciso dalla persona che lo utilizza. Il codice che utilizzò Farook non è noto e non si possono provare tutti quelli possibili, perché dopo un certo numero di tentativi sbagliati iOS blocca completamente l’accesso.

L’FBI vorrebbe che Apple creasse una versione di iOS per superare questo problema, in modo che l’FBI possa fare tentativi infiniti fino a ottenere il codice giusto (“brute force”). Secondo il Dipartimento di Giustizia (DOJ), che ha emesso una mozione molto dura nei confronti di Apple accusandola di aver preso questa posizione per mere ragioni di marketing, le informazioni all’interno dei backup non sono sufficienti e occorre quindi sbloccare il telefono.

Privacy e NSA
Il modo in cui iOS protegge i dati sugli iPhone e sugli iPad è conseguenza, almeno in parte, di quanto è emerso negli ultimi anni grazie a Edward Snowden sul piano di sorveglianza di massa delle telecomunicazioni messo in atto dalla National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti. I documenti riservati resi pubblici da Snowden dimostrarono che la NSA aveva ottenuto accessi secondari a tutti i principali servizi di comunicazione online, ai sistemi operativi più diffusi e ad altri programmi, in modo da recuperare informazioni praticamente su qualsiasi obiettivo. Le rivelazioni portarono a una maggiore attenzione da parte delle aziende di Internet, che negli ultimi anni hanno aggiunto sistemi per criptare meglio i dati e renderli inaccessibili.

Apple ha assunto misure molto incisive a riguardo: con la versione 8 di iOS si è volontariamente tagliata fuori dai dati contenuti negli iPhone e negli iPad. Le informazioni oggi sugli iPhone vengono criptate e se non si possiedono i codici di accesso è impossibile ottenere i dati, che nel caso di ripetuti tentativi di accesso non autorizzati vengono cancellati dai dispositivi. Qualcosa può essere recuperato nel caso esistano dei backup fatti tramite iCloud, ma la maggior parte delle informazioni resta criptata nel telefono e si tratta di dati difficili da recuperare. Per questo motivo Apple si rifiuta di obbedire all’ordinanza, sostenendo inoltre che per creare una copia alternativa di iOS sarebbero necessari mesi di lavoro e che molte cose potrebbero andare storte, non trattandosi di una versione sperimentata a sufficienza del software prima della sua diffusione: un solo errore di programmazione potrebbe causare ugualmente la distruzione dei dati criptati nel telefono.

Polemiche
Attraverso il DOJ, il governo degli Stati Uniti ha chiesto formalmente ad Apple di collaborare, L’azienda entro venerdì dovrà presentare in tribunale le sue obiezioni all’ordinanza e non è chiaro quali potrebbero essere gli sviluppi della vicenda, considerato che non ci sono precedenti di questo tipo. Intanto il dibattito negli Stati Uniti è montato molto e ha coinvolto anche i candidati alle primarie per le presidenziali di quest’anno. Donald Trump, il candidato attualmente in testa tra i Repubblicani, ha scritto in un tweet che gli statunitensi dovrebbero boicottare Apple per la sua scelta, anche se nei giorni seguenti ha continuato a twittare da un iPhone (ha poi detto di usare sia i telefoni Apple sia quelli Android).


In un’intervista, il procuratore di Manhattan, Cyrus R. Vance Jr., ha detto che se Apple fornisse lo strumento richiesto dall’FBI questo dovrebbe essere utilizzato in qualsiasi altra indagine penale, confermando di fatto che le preoccupazioni di Cook sono fondate. Ha poi spiegato che attualmente solo a New York ci sono 175 iPhone che le forze dell’ordine non riescono a sbloccare per ottenere i dati al loro interno. Il direttore dell’FBI, James Comey, ha scritto una lettera aperta in cui dice che il governo “non vuole creare un precedente nP mandare un qualche tipo di segnale”, aggiungendo che l’intera vicenda si riduce al tema “delle vittime e della giustizia”.

Alcuni investitori di Apple hanno sollevato perplessità sulla scelta di mettersi così esplicitamente contro il governo, considerato che gli interessi dell’azienda dovrebbero essere altri e prettamente commerciali. Molti osservatori hanno invece commentato positivamente l’iniziativa di Tim Cook, che già in passato ha impegnato la sua azienda su altri temi legati alla privacy e ai diritti civili, sostenendo tra le altre cose quelli per la comunità LGBT. In questo il CEO di Apple si sta dimostrando molto diverso dal cofondatore dell’azienda, Steve Jobs, e ha spiegato che alcune decisioni devono essere prese anche solo perché “sono la cosa giusta da fare”.

Fonte: Il Post

Il ciclone Winston che ha devastato le isole Figi

Il bilancio è di 18 vittime. Le autorità nazionali hanno iniziato le operazioni di recupero. Oltre 6mila persone sono state costrette a lasciare le loro case

Un villaggio delle isole Figi distrutto dal passaggio del ciclone. Credit: Reuters

Il bilancio delle vittime del violento ciclone Winston che si è abbattuto sulle isole Figi durante il fine settimana del 20 e 21 febbraio 2016, è salito a 18.

Le autorità del paese hanno iniziato le operazioni di recupero e di distribuzione degli aiuti alle isole colpite più duramente.

Molte località sono ancora isolate e non si riesce a comunicare con le persone rimaste bloccate.

Almeno 6mila abitanti delle varie isole sono stati costretti a lasciare le loro case distrutte.

Il ciclone, il più forte nella storia del paese, ha raggiunto una velocità di 285 chilometri orari provocando onde alte fino a 12 metri.

L’arcipelago delle Figi, che si trova nell’Oceano Pacifico, conta oltre 100 isole abitate.

Mappa delle isole Figi. Credit: BBC


Le operazioni di recupero si stanno rivelando estremamente difficili dal momento che molti porti e piste di atterraggio sono stati distrutti.

Una nave con medicine, cibo e acqua sta raggiungendo l’isola di Koro, che ha subito i danni peggiori.

Le autorità hanno indetto uno stato di emergenza per calamità naturale che resterà in vigore per 30 giorni, dando alla polizia poteri speciali per fronteggiare la catastrofe.

Il ministro del turismo Faiyaz Siddiq Koya ha fatto sapere che tra le vittime non vi è nessun visitatore straniero.
Fonte: The Post Internazionale

Dieci milioni di persone rimaste senz'acqua a Nuova Delhi

Manifestanti della casta Jat hanno attaccato gli impianti idrici che forniscono l'acqua agli oltre 20 milioni di abitanti a Delhi, provocando danni e scontri: 16 morti

Abitanti di Nuova Delhi in fila per riempire le taniche d'acqua. Credit: Anindito Mukherjee

Dieci milioni di persone di Nuova Delhi sono rimaste senz’acqua a causa dei danni provocati da manifestanti della casta rurale Jat agli impianti idrici che forniscono l'acqua alla metropoli di oltre 20 milioni di abitanti.

L’esercito indiano è intervenuto per riprendere il controllo del canale idrico e per sedare le proteste dei manifestanti della casta, che chiedono al governo l'accesso ai posti di lavoro riservati alle caste più svantaggiate.

Centinaia di taniche d’acqua sono state distribuite ai cittadini, ma le scuole sono rimaste chiuse. Ci vorranno almeno tre o quattro giorni per riportare la situazione alla normalità.

Durante le proteste sedici persone sono rimaste uccise e centinaia ferite. L’esercito ha aperto il fuoco sui manifestanti nei distretti di Rohtak e Jhajjar.

Le violenze hanno costretto alla chiusura di strade e autostrade e hanno paralizzato il sistema ferroviario nel nord del paese.

La casta di Jat è formata da proprietari terrieri relativamente benestanti ed è tradizionalmente considerata come una casta superiore, ma i manifestanti chiedono di essere inclusi nel piano di distribuzione dei posti di lavoro riservati alle caste inferiori.

Vivono principalmente in Haryana e in altri sette stati del nord dell’India. Sono una comunità politicamente influente.

Nel marzo 2014 il governo nazionale aveva annunciato l’intenzione di riqualificare la casta Jat come una classe inferiore, inserendola nelle Other Backward Class (Obc) che riuniscono le caste svantaggiate, dando loro l’opportunità di usufruire delle quote di lavoro messe a disposizione dal governo.

Ma nel 2015 la Corte suprema indiana si rifiutò di “declassare” i Jat, impedendo loro di accedere agli ausili governativi.

Il governo di Haryana ha annunciato di voler presentare una proposta di legge per accogliere le richieste della casta Jat.

Fonte: The Post Internazionale