lunedì 24 giugno 2013
Processo Ruby, condannato Silvio Berlusconi
Il tribunale di Milano ha condannato in primo grado a 7 anni e alla interdizione perpetua dai pubblici uffici Silvio Berlusconi per il reato di concussione per costrizione nell'ambito del cosiddetto "processo Ruby". Il tribunale, formato da giudici Orsola De Cristofaro, Carmela D'Elia e dal presidente Giulia Turri, ha deciso anche di rinviare al pm le carte per valutare l'eventuale falsa testimonianza di una lunga serie di testimoni che hanno sfilato davanti alla corte. Il Cavaliere è stato condannato anche per il reato di prostituzione minorile.
lunedì 17 giugno 2013
Cari grillini, cosa aspettate?
IL GRAFFIO – Mentre il governo Letta vara il Decreto del Fare e cerca di dare una scrollata a un Paese ingessato, i grillini neoeletti in Parlamento litigano. O meglio: continuano a litigare. Prima la diaria, adesso la senatrice ribelle e il voto (l’ennesimo) sull’espulsione di chi non si allinea ai dettami del MoVimento e – anzi – si azzarda a criticarne il leader. La ciliegina sul pasticcio è stato il gruppo di parlamentari a 5 stelle che hanno minacciato di staccarsi dall’M5S. E il motivo è molto semplice: con le sue sparate Grillo starebbe mettendo in ombra la buona volontà, le idee e le proposte avanzate da chi è entrato in Parlamento per fare.
E il problema del MoVimento sembra ormai essere diventato proprio il comico che l’ha fondato, almeno stando alle parole della senatrice Gambaro – la “ribelle” – che senza mezzi termini ha fatto capire come quanti con buona volontà e fiducia sono approdati in Parlamento, siano quotidianamente “danneggiati” dalle dichiarazioni del comico genovese: ”Stiamo pagando i toni e la comunicazione di Beppe Grillo – ha detto la Gambaro facendo infuriare il leader M5S – i suoi post minacciosi, soprattutto quelli contro il Parlamento. Mi chiedo come possa parlare male del Parlamento se qui non lo abbiamo mai visto. Lo invito a scrivere meno e osservare di più. Il problema del Movimento è Beppe Grillo”.
Al di là della critica, il senso dell’intervento della Gambaro è chiaro: adesso in Parlamento ci sono anche i 5Stelle, cittadini che hanno ormai deciso di mettere da parte i “Vaffanculo” per dimostrare all’Italia di cosa è capace la “brava gente”. Hanno solo bisogno di spazio, fiducia e della giusta eco. I “vaffa” e gli urlacci contro la politica ormai sono roba del passato, fateli lavorare. E voi – parlamentari a 5 stelle – cosa aspettate a far valere le vostre ragioni, le vostre idee e i vostri progetti anche davanti a Grillo? Forse tremate all’idea che il simbolo è stato depositato dal comico? Benissimo: gli eletti siete voi e la politica, al di là di un simbolo, si fa con i fatti. Questi ultimi restano, i simboli cambiano. Cosa aspettate?
Grillo, dal canto suo, dovrebbe smettere di urlare per dare invece aria e fare spazio all’operato dei suoi deputati che nella politica e nel ruolo fondamentale conquistato con tanto impegno credono davvero. Il comico li lasci lavorare, smetta di attaccare tutto e tutti mettendo in ombra il buono che i suoi sono capaci di fare e sia una potente cassa di risonanza. Al resto ci penseranno le azioni e il voto degli italiani. Altrimenti, cari grillini, cosa aspettate?
Fonte: Diritto di critica
E il problema del MoVimento sembra ormai essere diventato proprio il comico che l’ha fondato, almeno stando alle parole della senatrice Gambaro – la “ribelle” – che senza mezzi termini ha fatto capire come quanti con buona volontà e fiducia sono approdati in Parlamento, siano quotidianamente “danneggiati” dalle dichiarazioni del comico genovese: ”Stiamo pagando i toni e la comunicazione di Beppe Grillo – ha detto la Gambaro facendo infuriare il leader M5S – i suoi post minacciosi, soprattutto quelli contro il Parlamento. Mi chiedo come possa parlare male del Parlamento se qui non lo abbiamo mai visto. Lo invito a scrivere meno e osservare di più. Il problema del Movimento è Beppe Grillo”.
Al di là della critica, il senso dell’intervento della Gambaro è chiaro: adesso in Parlamento ci sono anche i 5Stelle, cittadini che hanno ormai deciso di mettere da parte i “Vaffanculo” per dimostrare all’Italia di cosa è capace la “brava gente”. Hanno solo bisogno di spazio, fiducia e della giusta eco. I “vaffa” e gli urlacci contro la politica ormai sono roba del passato, fateli lavorare. E voi – parlamentari a 5 stelle – cosa aspettate a far valere le vostre ragioni, le vostre idee e i vostri progetti anche davanti a Grillo? Forse tremate all’idea che il simbolo è stato depositato dal comico? Benissimo: gli eletti siete voi e la politica, al di là di un simbolo, si fa con i fatti. Questi ultimi restano, i simboli cambiano. Cosa aspettate?
Grillo, dal canto suo, dovrebbe smettere di urlare per dare invece aria e fare spazio all’operato dei suoi deputati che nella politica e nel ruolo fondamentale conquistato con tanto impegno credono davvero. Il comico li lasci lavorare, smetta di attaccare tutto e tutti mettendo in ombra il buono che i suoi sono capaci di fare e sia una potente cassa di risonanza. Al resto ci penseranno le azioni e il voto degli italiani. Altrimenti, cari grillini, cosa aspettate?
Fonte: Diritto di critica
mercoledì 12 giugno 2013
Italia - Haiti, doppia figuraccia
Ieri la nazionale italiana di calcio, che si trova in Brasile per preparare l'imminente Confederations Cup, ha disputato un amichevole contro Haiti (2-2 il risultato finale, una figuraccia). L'Italia si porta in vantaggio dopo meno di 20 secondi con Emanuele Giaccherini. E al momento di evidenziare il risultato, la Rai ha usato una grafica 'particolare' per indicare le nazionali in campo. Doppia figuraccia. Scherzo o gaffe clamorosa?
giovedì 6 giugno 2013
Stefano Cucchi, la divisa (ancora) non si processa
Il processo di primo grado si chiude con la condanna dei medici e l’assoluzione delle guardie carcerarie. Come dire: Cucchi è morto abbandonato e senza cure, ma non sappiamo se è stato pestato. Non ci sono prove sufficienti. Il ricovero in ritardo, le lesioni che due autopsie hanno riscontrato, le testimonianze di tre detenuti: per il tribunale, l’effetto è provato ma la causa no. Una sentenza destinata a non soddisfare nessuno.
Le indagini. La Procura di Roma, tra il 22 ottobre del 2009 e il 30 aprile del 2010, ricostruì una vicenda di violenza e abbandono. La prima autopsia riporta traumi alla gabbia toracica, la frattura di due vertebre lombari, ecchimosi diffuse sul viso, sulle gambe e sul tronco. Il fegato risulta danneggiato e la vescica, gonfia all’inverosimile (conteneva 1,4l al momento della morte, già penetrati nel resto dell’addome), era forata. La denutrizione evidente (Cucchi entrò in carcere con 43 chili addosso e ne uscì, cadavere, con 37 chili sulle ossa) avrebbe dato il colpo di grazia per ipoglicemia, arginabile anche solo con un cucchiaino di zucchero.
Le testimonianze. Durante le indagini, la Procura ha raccolto la testimonianza di un ghanese, che nella cella di Regina Coeli avrebbe sentito dire a Cucchi di esser stato picchiato (il suo stato fisico, secondo il testimone, corrispondeva). Il detenuto Marco Fabrizi chiese di esser messo in cella con Stefano, che era solo, e di aver ricevuto da un agente un rifiuto motivato da “un gesto di percosse“, come dire: “è occupato a prenderle, resti qui”. Silvana Cappuccio dichiara (anche al processo) di aver visto personalmente gli agenti della polizia penitenziaria indagati picchiare Cucchi con violenza. Per queste testimonianze e l’autopsia, la Procura ha chiesto da 4 a 6 anni di carcere per gli agenti Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici.
La perizia del tribunale. Nel 2012, i periti nominati dal tribunale non si sbilanciano. Stabiliscono la responsabilità netta dei medici nella morte di Stefano, per non aver curato adeguatamente il paziente la notte del ricovero alla sezione carceraria dell’ospedale Sandro Pertini. Ma sulle cause della morte, stendono un velo di dubbio. “Le lesioni riscontrate potrebbero essere causa di un pestaggio o di una caduta accidentale: non ci sono elementi che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra dinamica lesiva”. La scientifica non dà risposta e lascia ai giudici margine di manovra.
La sentenza. I 6 medici coinvolti sono stati condannati ieri in primo grado per omicidio colposo, da due anni a un anno e mezzo. Il tribunale ha deciso di assolvere le guardie penitenziarie: non ci sono, secondo i giudici, elementi sufficienti per condannarli. Le lesioni personali di cui sono accusati, l’abuso di autorità ad esso legato e raccontato dai testimoni, tutto questo non è successo: o quantomeno, il tribunale non ha ritenuto di doverlo riconoscere.
I dubbi ci sono, sono tanti e difficili da cancellare. Perché non sono stati considerati credibili i testimoni? Perché si è accertato l’effetto delle violenze e non la causa evidente? Una caduta, ancora una volta “accidentale” – come Pinelli quarant’anni fa – può davvero giustificare quelle lesioni e una morte in meno di 5 giorni? La famiglia Cucchi ha già annunciato che la lotta continua verso il processo d’appello. Ancora una volta sarà sola, come anche questa volta: lo Stato l’ha abbandonata fin da subito, quando il ministro Giovanardi liquidò Stefano come “un drogato, sicuramente sieropositivo, che è morto per quello che era”.
La giustizia di ieri è monca, volutamente monca, e lascia fuori - ancora una volta - la divisa. Che non si processa, mai. Ed è difficile dar torto alla sorella Ilaria, quando in lacrime fuori dall’aula grida la sua rabbia: “Giustizia ingiusta. Voi la sapete la verità, e questa giustizia non è la verità”. A che serve allora sentire l’agente carcerario Minichini (assolto per insufficienza di prove) gioire della “fine dell’incubo”? Per la famiglia, l’incubo continua ancora.
Fonte: Diritto di critica
Le indagini. La Procura di Roma, tra il 22 ottobre del 2009 e il 30 aprile del 2010, ricostruì una vicenda di violenza e abbandono. La prima autopsia riporta traumi alla gabbia toracica, la frattura di due vertebre lombari, ecchimosi diffuse sul viso, sulle gambe e sul tronco. Il fegato risulta danneggiato e la vescica, gonfia all’inverosimile (conteneva 1,4l al momento della morte, già penetrati nel resto dell’addome), era forata. La denutrizione evidente (Cucchi entrò in carcere con 43 chili addosso e ne uscì, cadavere, con 37 chili sulle ossa) avrebbe dato il colpo di grazia per ipoglicemia, arginabile anche solo con un cucchiaino di zucchero.
Le testimonianze. Durante le indagini, la Procura ha raccolto la testimonianza di un ghanese, che nella cella di Regina Coeli avrebbe sentito dire a Cucchi di esser stato picchiato (il suo stato fisico, secondo il testimone, corrispondeva). Il detenuto Marco Fabrizi chiese di esser messo in cella con Stefano, che era solo, e di aver ricevuto da un agente un rifiuto motivato da “un gesto di percosse“, come dire: “è occupato a prenderle, resti qui”. Silvana Cappuccio dichiara (anche al processo) di aver visto personalmente gli agenti della polizia penitenziaria indagati picchiare Cucchi con violenza. Per queste testimonianze e l’autopsia, la Procura ha chiesto da 4 a 6 anni di carcere per gli agenti Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici.
La perizia del tribunale. Nel 2012, i periti nominati dal tribunale non si sbilanciano. Stabiliscono la responsabilità netta dei medici nella morte di Stefano, per non aver curato adeguatamente il paziente la notte del ricovero alla sezione carceraria dell’ospedale Sandro Pertini. Ma sulle cause della morte, stendono un velo di dubbio. “Le lesioni riscontrate potrebbero essere causa di un pestaggio o di una caduta accidentale: non ci sono elementi che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra dinamica lesiva”. La scientifica non dà risposta e lascia ai giudici margine di manovra.
La sentenza. I 6 medici coinvolti sono stati condannati ieri in primo grado per omicidio colposo, da due anni a un anno e mezzo. Il tribunale ha deciso di assolvere le guardie penitenziarie: non ci sono, secondo i giudici, elementi sufficienti per condannarli. Le lesioni personali di cui sono accusati, l’abuso di autorità ad esso legato e raccontato dai testimoni, tutto questo non è successo: o quantomeno, il tribunale non ha ritenuto di doverlo riconoscere.
I dubbi ci sono, sono tanti e difficili da cancellare. Perché non sono stati considerati credibili i testimoni? Perché si è accertato l’effetto delle violenze e non la causa evidente? Una caduta, ancora una volta “accidentale” – come Pinelli quarant’anni fa – può davvero giustificare quelle lesioni e una morte in meno di 5 giorni? La famiglia Cucchi ha già annunciato che la lotta continua verso il processo d’appello. Ancora una volta sarà sola, come anche questa volta: lo Stato l’ha abbandonata fin da subito, quando il ministro Giovanardi liquidò Stefano come “un drogato, sicuramente sieropositivo, che è morto per quello che era”.
La giustizia di ieri è monca, volutamente monca, e lascia fuori - ancora una volta - la divisa. Che non si processa, mai. Ed è difficile dar torto alla sorella Ilaria, quando in lacrime fuori dall’aula grida la sua rabbia: “Giustizia ingiusta. Voi la sapete la verità, e questa giustizia non è la verità”. A che serve allora sentire l’agente carcerario Minichini (assolto per insufficienza di prove) gioire della “fine dell’incubo”? Per la famiglia, l’incubo continua ancora.
Fonte: Diritto di critica
martedì 4 giugno 2013
Crisi: le rinunce cambiano lo stile di vita degli italiani
Sei famiglie su dieci sono in seria difficoltà, il 70% taglia cure mediche e generi alimentari.
La cinghia ormai è stretta a tal punto da non trovare più appigli, oltre non si può andare e per sopravvivere gli italiani risparmiano sulla salute, eliminando visite mediche, analisi e radiografie, ma non solo.
In forte aumento (+9%) negli ultimi due anni sono coloro che si rivolgono al Supermarket "Low Cost", per acquistare i generi alimentari di prima necessità, riducendo di molto quantità e qualità dei prodotti.
In breve, la crisi non lascia scampo e la recessione continua a regnare sovrana nelle case del belpaese, cambiando radicalmente usi e abitudini, mutando in maniera tangibile un futuro diversamente roseo.
L'espressione più alta del disagio sociale ed economico risiede nel sud del paese col 73% delle famiglie che non riesce ad arrivare neanche alla seconda settimana del mese, rispetto al 62% del centro-nord, dove in termini incrementali, la variazione diminuisce di circa undici punti percentuali, nonostante lo stallo della produzione industriale.
Cambiano i giudizi e le attese sull'attuale situazione in cui versa il paese: le opinioni a livello nazionale mostrano un quadro sociale profondamente modificato, dove la spirale dei consumi si è ridotta ai minimi storici, nonostante l'attenuazione della dinamica inflazionistica, mentre per ciò che concerne l'elevato tasso di disoccupazione elemento diretto della componente congiunturale, non sembra esserci nessuna via d'uscita imminente.
Dalla fotografia del sistema paese, esce un altro quadro, profondamente preoccupante, inerente al mercato del risparmio e degli investimenti, ridotti al limite (peraltro i dati sono confermati dalla disponibilità di denaro sottratta al consumo), e sulla stessa scia le compravendite immobiliari, con un crollo pari al 22,4%, il peggior dato dal 1985, insomma la situazione è tutt'altro che sotto controllo.
Infine, bisogna analizzare il complesso dell'attività economica nazionale in termini di Pil (prodotto interno lordo), prevedendo una nuova contrazione dell'1,3% nell'anno in corso, che non riassorbirà la crescita futura per via dell'elevato tasso di disoccupazione, (sono oltre 3 milioni le persone in cerca di lavoro), e se non s'interviene sulla crescita strutturale della nazione, difficilmente si riuscirà a spezzare questo circolo improduttivo a elevato default sistemico.
Fonte: AgoraVox Italia
La cinghia ormai è stretta a tal punto da non trovare più appigli, oltre non si può andare e per sopravvivere gli italiani risparmiano sulla salute, eliminando visite mediche, analisi e radiografie, ma non solo.
In forte aumento (+9%) negli ultimi due anni sono coloro che si rivolgono al Supermarket "Low Cost", per acquistare i generi alimentari di prima necessità, riducendo di molto quantità e qualità dei prodotti.
In breve, la crisi non lascia scampo e la recessione continua a regnare sovrana nelle case del belpaese, cambiando radicalmente usi e abitudini, mutando in maniera tangibile un futuro diversamente roseo.
L'espressione più alta del disagio sociale ed economico risiede nel sud del paese col 73% delle famiglie che non riesce ad arrivare neanche alla seconda settimana del mese, rispetto al 62% del centro-nord, dove in termini incrementali, la variazione diminuisce di circa undici punti percentuali, nonostante lo stallo della produzione industriale.
Cambiano i giudizi e le attese sull'attuale situazione in cui versa il paese: le opinioni a livello nazionale mostrano un quadro sociale profondamente modificato, dove la spirale dei consumi si è ridotta ai minimi storici, nonostante l'attenuazione della dinamica inflazionistica, mentre per ciò che concerne l'elevato tasso di disoccupazione elemento diretto della componente congiunturale, non sembra esserci nessuna via d'uscita imminente.
Dalla fotografia del sistema paese, esce un altro quadro, profondamente preoccupante, inerente al mercato del risparmio e degli investimenti, ridotti al limite (peraltro i dati sono confermati dalla disponibilità di denaro sottratta al consumo), e sulla stessa scia le compravendite immobiliari, con un crollo pari al 22,4%, il peggior dato dal 1985, insomma la situazione è tutt'altro che sotto controllo.
Infine, bisogna analizzare il complesso dell'attività economica nazionale in termini di Pil (prodotto interno lordo), prevedendo una nuova contrazione dell'1,3% nell'anno in corso, che non riassorbirà la crescita futura per via dell'elevato tasso di disoccupazione, (sono oltre 3 milioni le persone in cerca di lavoro), e se non s'interviene sulla crescita strutturale della nazione, difficilmente si riuscirà a spezzare questo circolo improduttivo a elevato default sistemico.
Fonte: AgoraVox Italia
domenica 2 giugno 2013
Festa della Repubblica. Un 2 giugno sobrio, senza sprechi
ROMA - Anche quest'anno si è celebrato il 67mo anniversario della proclamazione della Repubblica Italiana. Una festa "sobria", senza sprechi, come aveva chiesto il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, per via della crisi economica. Quindi anche questo 2 giugno niente Frecce Tricolori e sfarzi delle forze militari.
Napolitano ha dato il via ufficiale alla celebrazione dall'Altare della Patria, dove assieme al presidente del Senato Pietro Grasso, la Presidente della Camera Laura Boldrini, il premier Enrico Letta, il ministro della Difesa Mario Mauro, il Capo stato maggiore della difesa Luigi Pinelli Mantelli, il Capo della Marina Militare Giuseppe de Giorgi, Il Capo dell'Aeronautica Pasquale Preziosa, il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Claudio Graziano, il generale dei Carabinieri Leonardo Gallitelli ha deposto la corona di alloro sulla tomba del Milite ignoto. Era presente anche il capo della polizia Alessandro Pansa alla sua prima uscita ufficiale.
Poi ha preso il via la sfilata a via dei Fori Imperiali aperta, come sempre, dalla banda dei carabinieri che si articola in sette settori: quello delle bandiere e degli stendardi delle nazioni amiche e alleate e degli organismi internazionali; il settore dell'Esercito, quelli della Marina, dell'Aeronautica, dell'Arma dei Carabinieri; il settore dei Corpi militari e ausiliari dello Stato (Gdf, Cri, Smom); quello dei Corpi armati e non dello Stato (Forestale, polizia di Stato, Polizia penitenziaria, Vigili del fuoco, Volontari del soccorso, Servizio civile nazionale, Polizia municipale). Gli onori iniziali vengono fatti dall'Arma. Il primo settore, dei Coi, è aperto dal comandante I. La banda dell'esercito cadenza la sfilata in prossimità della tribuna presidenziale.
Il messaggio di Napolitano
«In un contesto mondiale globalizzato, segnato da mutamenti profondi, da grandi progressi e insieme da nuove minacce nonchè dal permanere di antiche tensioni, le missioni di stabilizzazione intraprese dalle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte attiva costituiscono un contributo essenziale alla causa della pace, del progresso sociale e della collaborazione fra i popoli». Lo afferma il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio inviato al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli.
Nel celebrare il 67mo anniversario della Repubblica, aggiunge il presidente della Repubblica, «rivolgo il mio pensiero deferente alla memoria dei militari italiani che in ogni tempo e luogo hanno perso la vita al servizio della Patria: ieri, nel lungo e travagliato percorso che ha reso l'Italia una nazione libera e democratica; oggi, in paesi attraversati da conflitti e devastazioni, in aiuto a popolazioni sofferenti che nella presenza delle Forze armate italiane trovano motivo di speranza e di fiducia». «Il prestigio dell'Italia nel consesso delle nazioni - prosegue - dipende in misura rilevante dall'operato sul campo - al servizio della comunità internazionale - dei nostri militari, cui sono unanimemente riconosciuti professionalità, impegno, umanità. Alle grandi sfide emergenti le Forze armate italiane rispondono con concretezza e dinamismo, attraverso una radicale ed innovativa revisione dello strumento militare come quella di recente avviata, ispirata a criteri di qualificazione della spesa, razionalizzazione interforze e integrazione europea».
Quest'ultima, conclude, «può e deve concorrere all'auspicata unità politica del continente. Ai soldati, marinai, avieri, carabinieri e finanzieri, di ogni ordine e grado ed in modo speciale a quanti in questo giorno di festa sono impegnati nei teatri operativi, giungano la gratitudine del popolo italiano e un fervido augurio. Viva le Forze armate, viva la Repubblica, viva l'Italia!»
Il ministro Zanonato a Redipuglia, la guerra di oggi è quella del lavoro
«La guerra, se così si può definire, che siamo chiamati a combattere oggi è quella per il lavoro». Lo ha affermato stamani a Redipuglia (Gorizia), il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, intervenendo alla cerimonia per le celebrazioni del 2 giugno. «Come ha ricordato il Capo dello Stato - ha detto Zanonato - c'è una vera e propria questione sociale, che va messa al centro delle istituzioni per fornire soluzioni tempestive ed efficaci alle pressanti istanze dei cittadini». Per il ministro «l'emergenza principale che intendiamo affrontare è quella dei 2,5 milioni di giovani italiani che si trovano senza lavoro o che, sfiduciati, hanno smesso di cercarlo senza essere nel contempo coinvolti in percorsi formativi».
Fonte: Dazebao
sabato 1 giugno 2013
La primavera turca sboccia al Gezi park di Istanbul
Migliaia di persone stanno manifestando a Istanbul da venerdì 28 maggio per impedire la distruzione di uno dei parchi più importanti della città, il Taksim Gezi park, per fare posto a una caserma militare, un centro commerciale e una moschea secondo il piano voluto dal primo ministro Recep Tayyip Erdogan, ex sindaco di Istanbul, che vorrebbe trasformarla in una delle “capitali del mondo”. Nel piano, infatti, è prevista anche la costruzione del terzo ponte per collegare la parte europea a quella asiatica e la realizzazione di uno degli aeroporti più grandi del mondo.
La storia del Taksim Gezi park
Il Gezi park è un parco che si trova a fianco di piazza Taksim, nel distretto di Beyoglu. Ospita circa 600 alberi ed è una delle aree verdi storiche della città turca. Il parco, costruito sulla base del piano dell’architetto francese Henri Prost, è stato aperto al pubblico per la prima volta nel 1943 con il nome di Inonu park, in onore del secondo presidente turco Ismet Inonu che ha guidato il paese dal 1938 al 1950. La sua realizzazione, però, è stata voluta dal padre della Repubblica e primo presidente, Mustafa Kemal Ataturk, e ha comportato la demolizione di una caserma militare nel 1940, la stessa che ora vorrebbe essere ricostruita al posto del parco. Nel corso degli anni la sua estensione è stata ridotta più volte per fare spazio a diverse strutture alberghiere pur rimanendo uno dei luoghi più importanti e amati dai cittadini di Istanbul per rilassarsi e incontrarsi.
L'esplosione delle proteste
Le proteste si sono intensificate nella giornata di venerdì 31 maggio dopo che alla polizia è stato ordinato di usare la forza per sgomberare le tende dei manifestanti, per la maggior parte pacifici, e costringerli ad abbandonare il parco anche attraverso l’utilizzo di idranti, lacrimogeni e spray urticanti. I feriti causati dagli scontri sarebbero già più di un centinaio, alcuni in gravi condizioni. Tra questi ci sarebbero anche giornalisti, fotografi e due deputati dell’opposizione al governo guidato da Erdogan. Dopo le prime notizie arrivate da Istanbul, cortei di solidarietà si sono tenuti anche ad Ankara, capitale della Turchia, e in una decina di altre città. La lotta per la difesa di un parco si sta trasformando in qualcosa di più ampio.
Secondo il corrispondente dalla Turchia di Euronews, le proteste “sono iniziate contro un progetto di urbanizzazione, ma poi il carattere della mobilitazione è cambiato. Gran parte dei manifestanti non sono solo contrari al progetto ma protestano contro il comportamento del governo che non prende mai in considerazione il punto di vista dei cittadini”.
Erdogan, il cui atteggiamento è stato da sempre considerato troppo autoritario da parte dei partiti di opposizione, ha dichiarato di voler proseguire nella realizzazione del progetto di trasformazione di Istanbul a prescindere da cosa facciano i manifestanti. Inoltre ha affermato che le proteste sono di natura politica e non hanno nulla a che vedere con la distruzione del parco.
Fonte: bloginternazionale
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