Di Marco Surace
Una manifestazione di lavoratori in cassa integrazione, nel 2010. (LaPresse)
È entrato in vigore lo scorso 24 settembre 2015 il D.Lgs. 148/2015, cioè il quinto dei decreti applicativi che fanno parte del cosiddetto “Jobs Act”, la legge delega per la riforma del lavoro approvata dal Parlamento nel dicembre scorso. In particolare, il decreto riordina la normativa in materia di ammortizzatori sociali “in costanza di rapporto di lavoro”, abrogando oltre 15 leggi stratificatesi negli ultimi 70 anni, dal 1945 a oggi, con una sola norma che racchiude – quasi – tutto il settore.
Nel marzo scorso era entrato in vigore il decreto relativo invece alle misure volte a offrire sostegno economico ai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro.
Dove eravamo
Cominciamo dall’inizio: la cassa integrazione – tecnicamente Cassa Integrazione Guadagni (CIG) – è un sussidio erogato dallo Stato con criteri complessi a certe tipologie di imprese e lavoratori in difficoltà, e diverse forme. In generale, il sussidio viene erogato ai lavoratori di cui un’azienda chiede di fare a meno per un periodo di tempo limitato. Questo sussidio può essere parziale, quando i lavoratori subiscono una riduzione dell’orario di lavoro, oppure totale, la cosiddetta “cassa integrazione a zero ore”: ma la riforma riduce moltissimo la possibilità di accedere alla seconda possibilità. Per esempio, se i lavoratori di un’azienda vengono messi in cassa integrazione per quattro ore al giorno, su un orario lavorativo di 8 ore al giorno, l’azienda continuerà a pagargli metà dello stipendio, mentre la cassa integrazione pagherà circa l’80 per cento dello stipendio per le ore restanti.
Le forme di cassa integrazione fin qui erano tre – qui ne avevamo spiegato il funzionamento – ma da anni si discuteva di una riforma. Ora le forme di cassa integrazione sono diventate due – ordinaria e straordinaria – e questo sussidio è stato esteso a imprese e lavoratori che prima ne erano esclusi: sostiene il governo che complessivamente le misure includeranno circa 1.400.000 lavoratori e 150.000 imprese in più di prima.
La cassa integrazione, in generale
I destinatari di questi sussidi – tecnicamente, “trattamenti di integrazione salariale” – sono i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato e gli apprendisti, con almeno tre mesi di anzianità, ma non i dirigenti e i lavoratori a domicilio.
Di fatto nei casi in cui viene erogata la CIG, lo Stato subentra nel pagamento del salario del lavoratore: l’integrazione è pari all’80 per cento della retribuzione delle ore non lavorate, con un massimo di 971,17 euro per stipendi fino a 2102,24 euro e fino a 1167,91 euro per quelli sopra questo limite. La CIG non può durare più di 24 mesi negli ultimi 5 anni, tra ordinaria e straordinaria, estesi a 30 mesi solo per l’edilizia e il settore lapideo: prima il limite era 36 mesi per tutti. In caso di straordinaria legata a un contratto di solidarietà (tra poco ci arriviamo), allora si può arrivare a 36 mesi.
La cassa integrazione è un fondo che in linea di massima si autosostenta tramite un contributo ordinario sotto forma di tassazione della retribuzione, e un contributo addizionale che le aziende sono tenute a versare solo quando ne usufruiscono, pari al 9 per cento delle ore non retribuite per il primo anno di integrazione, 12 per cento per il secondo e 15 per cento oltre il secondo (sempre riferiti agli ultimi 5 anni). Prima era il 4 per cento fino a 50 dipendenti e l’8 sopra i 50. Il contributo addizionale è sempre nullo in caso di CIG dovuta a un evento considerato “oggettivamente non evitabile” (per esempio disastri ambientali, interruzioni di energia elettrica, e quindi a carico della fiscalità generale).
La CIG vale come anzianità per la pensione e viene pagata al lavoratore dall’azienda, che viene poi rimborsata dall’INPS tramite conguaglio con i contributi dovuti; se l’impresa dimostra “serie e documentate difficoltà finanziarie” – cioè se non ha proprio i soldi per pagare gli stipendi – allora può chiedere che la CIG sia erogata direttamente dall’INPS.
Una novità riguarda il divieto di autorizzare l’integrazione salariale per tutte le ore lavorabili da tutti i lavoratori per tutto il periodo disponibile. In sostanza viene introdotto il divieto della cassa integrazione a zero ore per tutto il personale per tutto il periodo disponibile: non si potrà più tenere un’impresa formalmente aperta ma senza che nessun dipendente lavori mai e pesi interamente o quasi sulle casse dello Stato. Questo divieto non si applica però per la cassa integrazione straordinaria per i primi 24 mesi dall’entrata in vigore del decreto.
La CIGO, la cassa integrazione ordinaria
La Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria vale invece per i dipendenti di tutte le imprese industriali, edili e del settore lapideo (indipendentemente dal numero dei dipendenti, mentre prima valeva solo per quelle oltre i 15), che siano sospesi dal lavoro o abbiano un orario ridotto per:
– situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali (un caso tipico: la cassa integrazione per brutto tempo nel settore dell’edilizia);
– situazioni temporanee di mercato.
Sparisce “l’integrazione salariale per contrazione o sospensione dell’attività produttiva”, cioè in particolare se l’azienda chiude. L’erogazione può durare al massimo 52 settimane (concesse a pacchetti da 13 settimane alla volta) negli ultimi 2 anni, e comunque non oltre un terzo delle ore complessivamente lavorate nell’unità produttiva nell’ultimo biennio.
Il contributo ordinario, pagato ogni mese sotto forma di tassazione a prescindere dall’utilizzo o meno della CIGO, è così individuato:
– per le imprese industriali e per impiegati e dirigenti dei settori edile e lapideo, 1,7 per cento della retribuzione dei lavoratori (prima era 1,9) fino a 50 dipendenti, 2 per cento sopra i 50 (prima era 2,2);
– per gli operai delle imprese edili, 4,7 per cento della retribuzione dei lavoratori (prima era 5,2) e 3,3 per cento per il settore lapideo (prima era 3,7).
Il numero dei dipendenti non è calcolato al momento della domanda, ma sulla base della media dell’anno solare precedente. Vengono mantenuti i tempi e i modi di consultazione sindacale in caso di richiesta di CIGO, ma il criterio di scelta dei dipendenti per cui viene chiesta non è più oggetto di confronto o informativa. La domanda viene inoltrata all’INPS in via telematica, entro 15 giorni dalla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa: in caso di ritardo l’azienda deve comunque pagare il lavoratore, ma l’INPS rimborsa solo fino a una settimana precedente la domanda.
La CIGS, la cassa integrazione straordinaria
La Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria è ammessa:
– per imprese di industria e edilizia, imprese artigiane, mensa e ristorazione, servizi di pulizia, servizio ferroviario, prodotti agricoli e vigilanza, con organico medio oltre i 15 dipendenti (riferito al semestre precedente la domanda di sussidio);
– per imprese di commercio e logistica, agenzie di viaggi e operatori turistici, con organico medio oltre i 50 dipendenti;
– per imprese del trasporto aereo e gestione aeroportuale, per partiti e movimenti politici, per i giornalisti (questi ultimi in forza di una precedente norma che il decreto non abolisce), a prescindere dal numero dei dipendenti.
Per finanziare la CIGS, tutti le imprese e i lavoratori interessati dal provvedimento pagano ogni mese un contributo ordinario, pari allo 0,9 per cento della retribuzione, di cui 0,6 a carico dell’impresa e 0,3 a carico del lavoratore.
Si può chiedere la CIGS in caso di riorganizzazione aziendale (che includa un piano di interventi chiaro, con indicazione degli investimenti e dei cambiamenti e volto al mantenimento occupazionale), crisi aziendale (a esclusione, dal 1 gennaio 2016, dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un suo ramo: se l’azienda chiude, si passa nel campo degli ammortizzatori per chi non ha più lavoro) in cui sia comunque indicato il piano di risanamento, gli interventi correttivi e gli obiettivi per mantenere l’attività aziendale e salvaguardare l’occupazione, o contratto di solidarietà.
Sono stanziati tuttavia 50 milioni di euro l’anno di CIGS per i prossimi 3 anni anche per le imprese che chiudono ma che hanno “concrete prospettive di rapida cessione dell’azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale”.
I piani di intervento o risanamento sono esaminati presso i competenti uffici della Regione interessata, insieme con i rappresentanti di impresa e lavoratori, e entro 7 giorni dal termine dell’esame l’impresa presenta la domanda di CIGS: trascorsi 30 giorni l’impresa ha diritto all’integrazione salariale straordinaria.
La CIGS può durare fino a 24 mesi negli ultimi 5 anni per riorganizzazione aziendale, fino a 12 mesi per crisi aziendale, fino a 36 mesi se la causale è il contratto di solidarietà.
Contratti di solidarietà
Il contratto di solidarietà è un contratto collettivo aziendale in cui si stabilisce una riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare la riduzione del numero di lavoratori: lavorare meno – venendo pagati meno – per lavorare tutti. La riduzione media oraria non può essere superiore al 60 per cento per i lavoratori interessati, e al 70 per cento per il singolo lavoratore.
E chi non ha diritto al alcun tipo di CIG?
Per tutti i settori non interessati a CIGO e CIGS, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali più rappresentative a livello nazionale devono stipulare appositi “fondi di solidarietà”, che di fatto sostituiscono gli istituti di integrazione salariale, per tutte le imprese con più di 5 dipendenti (erano già presenti per alcuni settori, ora sono obbligatori per tutti), scegliendo criteri e modalità contributive, sulla falsa riga di quelli della cassa integrazione.
Con le nuove norme sparisce la Cassa Integrazione in deroga, che era in pratica l’integrazione salariale per tutti quelli che non rientravano nella CIGO o nella CIGS o che avevano raggiunto la durata massima di utilizzo: una scappatoia che era stata negli anni molto criticata – veniva pagata dallo Stato ma decisa dalle regioni – e aveva problemi di finanziamento (era infatti totalmente a carico della fiscalità generale, a differenza delle altre, e quindi di anno in anno veniva dimensionata in maniera differente nelle varie manovre fiscali).
Infine, con questo decreto diventa strutturale il finanziamento per gli ammortizzatori sociali a favore di chi ha perso il lavoro (NASpI e ASDI) e per le spese relative ai congedi per i genitori che lavorano, che nei decreti varati nei mesi scorsi erano istituiti in via sperimentale e con risorse limitate.
Fonte: Il Post