Francesco Cancellato
Alexander Koerner/Getty Images
Non la tocca piano, Federico Fubini sul Corriere della Sera, quando parla del Dieselgate. Secondo la penna economica del Corriere, la frode sui test delle emissioni dei suoi motori rischia di fare della Volkswagen la Lehman Brothers europea. Un crac inaspettato, figlio di pratiche sistemiche, di commistioni tra politica ed economia e proprio per questo potenzialmente in grado di far collassare tutto attorno a sé.
Il tempo dirà se la fosca profezia di Fubini sia destinata ad avverarsi. Quel che possiamo già sottoscrivere, di tale lettura, è la dimensione europea del problema. No, non circoscritta alla sola Germania e nemmeno alla sola industria dell’automobile, con buona pace degli anti-tedeschi in servizio permanente di casa nostra.
I motivi sono molteplici. Il primo, in fondo, è il più banale. Volkswagen dà lavoro a 600mila persone direttamente e a milioni di persone indirettamente, ed esporta veicoli per 300 miliardi di euro all’anno. Se le difficoltà del gigante di Wolfsburg perdureranno, diverse imprese rimarranno senza commesse e diversi lavoratori rimarranno a casa. Non ci vuole Keynes per capire come tutto questo impatterà sui consumi, sugli investimenti tedeschi e sulle economie che dipendono dalla domanda tedesca. Domanda: indovinate qual è il nostro primo mercato di sbocco? Esatto.
Probabilmente, quindi, invece di esultare perché per una volta a finire dietro la lavagna è stato il primo della classe, dovremmo temere il contraccolpo di questa decisione e sperare che la Germania decida di salvare la Volkswagen, too big to fail esattamente come le grandi banche d’affari americane. Accadesse, come scrive ancora Fubini, sarebbe un salvataggio talmente macroscopico che demolirebbe in un colpo solo tutta la normativa europea sugli aiuti di Stato. In un momento in cui l’Unione è fragile come un vaso ming, non esattamente la migliore delle notizie.
Non bastasse, il Dieselgate potrebbe ripercuotersi pure sulla gestione dei profughi. No, Babbo Natale non esiste e la Germania non ha aperto le porte ai profughi siriani perché la Merkel è rimasta scossa dal pianto della bambina palestinese e dalla morte del piccolo Aylan sulla spiaggia di Bodrum. La Germania ha bisogno come il pane di lavoratori scolarizzati e a basso costo, e tali sono i profughi iracheni e siriani. Un crollo della produzione potrebbe modificare radicalmente le priorità di Berlino. E a quel punto non sarebbe solo Orban a maledire frau Angela.
A sua volta, non è difficile immaginare chi sia il bersaglio del risentimento della Merkel, in queste ore. Il caso Volkswagen, oltre a generare tutti i problemi di cui si è detto, sta mettendo a rischio pure la tenuta del suo governo. E la pugnalata, per quanto sinora appaia del tutto legittima e motivata, arriva dall’alleato americano e dall’amministrazione Obama.
C’è chi risale la catena del rancore, arrivando a cogliere i reciproci dispetti sulla vicenda delle sanzioni alla Russia e sul taglio al debito greco (Usa favorevole, Germania contraria, in entrambi i casi). C’è chi dice che dopo la guerra delle valute a colpi di svalutazioni, si stia passando alla guerra commerciale. C’è chi vede dietro la manovra americana un favore a Apple e Google, che stanno entrando nel mercato automobilistico. C’è chi preconizza che i negoziati euro-atlantici per ampliare l’area di libero scambio attraverso il cosiddetto Ttip subiranno un brusco stop. C’è chi pensa che dai controlli sulle emissioni nei 28 paesi europei, le case automobilistiche americane avranno pan per focaccia.
Forse alla fine l’aria sarà più pulita, dopo che tutte le tessere del domino saranno cadute. Il rischio, tuttavia, è che ci ritroveremo a respirare a pieni polmoni la polvere delle macerie.
Fonte: Linkiesta.it
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