venerdì 11 settembre 2015

L’immigrazione è l’unica via per salvare l’Europa

I flussi sono vitali, ma occorre che l’Europa si prepari ad affrontare l’arrivo di nuovi migranti, anche favorendo lo sviluppo nei loro Paesi

Arianna Sgammotta

Christopher Furlong / Getty Images News

Quasi 160mila rifugiati da distribuire tra 22 Paesi membri. La Commissione Ue ha quadruplicato le cifre rispetto a maggio. Segno che la questione migratoria e la politica di asilo europea hanno bisogno di essere riformate e indirizzate verso un cammino funzionale. Sembra averlo capito bene la Germania, finora tra i pochi Paesi ad aver accettato il rischio di abbracciare quelle che, fino a oggi, in molti – troppi – politici nazionali considerano scelte rischiose in termini elettorali. Per Federico Soda, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Berlino e Bruxelles agiscono certo nel nome della solidarietà, ma non soltanto. Sono oggi le uniche capitali ad aver capito che senza un’immigrazione controllata non soltanto l’Europa è destinata al fallimento, ma anche all’incapacità di far fronte a fenomeni di migrazione dai tratti ben più complessi di quelli attuali.

L’annuncio di Juncker del nuovo meccanismo di ridistribuzione dei rifugiati tra i Paesi membri, quelli almeno che non godono dell’opt out (Irlanda e Danimarca) in materia. Le cifre sono quadruplicate. L’Europa prosegue con misure di emergenza? O è il segnale di un cambio di rotta?
Se oggi esiste un’emergenza, è politica. E poi, sicuramente, quella di come queste persone sono costrette a spostarsi. Se si adottano le giuste politiche, i flussi cui assistiamo oggi non sono affatto ingestibili. Credo che l’intenzione della Commissione europea sia positiva. È il segnale che si sta cambiando rotta. Juncker sta cercando di arrivare al punto in cui i Paesi membri contribuiranno a dividersi la responsabilità. La questione migratoria riguarda tutti. Bruxelles è oggi alla ricerca di soluzioni durature. Credo che la proposta della Commissione sia ambiziosa, resta da vedere quale sarà la risposta dei Paesi la prossima settimana.

Si aspetta un blocco da parte dei Paesi dell’Est? O come da tradizione si arriverà a un compromesso?
Credo che si arriverà a una soluzione. Quello che, però, sorprende è quanto le persone in Europa abbiano la memoria corta. Non è passato così tanto tempo da quando milioni di cittadini europei hanno avuto bisogno e sono emigrati in altri Paesi. Sulle politiche migratorie bisogna avere coraggio e affrontare i problemi. E questo può essere fatto soltanto attraverso l’adozione di misure durature.

Nel dettaglio, quali, pensa siano le politiche che l’Europa dovrebbe adottare al fine di stabilizzare i flussi migratori?
Per prima cosa vanno creati canali legali per l’immigrazione. Nella maggior parte dei casi si tratta di politiche nazionali. Molto dipende dalla volontà degli esecutivi per veder cambiare velocemente, o meno, la situazione. Di modelli da copiare a livello mondiale ce ne sono tantissimi. Dobbiamo renderci conto che per l’Europa è una questione vitale essere pronta ad affrontare non tanto questi flussi migratori, ma quelli del futuro. E non parlo di guerre o catastrofi naturali, che sono difficilmente prevedibili, ma di dati demografici. Si stima che la popolazione africana triplicherà entro il 2050. Questo non vuol dire che tutti decideranno di partire per l’Europa. In particolare se si agisce in maniera tale da creare delle alternative. Ad esempio attraverso la cooperazione e lo sviluppo, e creando quindi in loco condizioni economiche in grado di permettere livelli accettabili di vita. Ma non soltanto. La creazione di reti di scambio tra università, potrebbero e permettono già in alcuni casi, di attivare progetti tra Paesi diversi aprendo a migrazioni di altro tipo.

A proposito di migranti economici, Juncker ha annunciato la creazione di una lista dei Paesi sicuri. È il segnale che i 28 Stati membri si stanno preparando anche a mettere in piedi misure oltre il caso dei rifugiati?
I flussi verso l’Europa in questo momento sono molto diversi. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, dalla Libia arrivano migranti di tipo molto diverso tra loro. Non si tratta soltanto di rifugiati. Nel nostro Paese sono arrivati appena 5000 cittadini siriani. Stessa cifra dei bengalesi, che normalmente, non sono identificati come rifugiati e quindi alla ricerca della protezione internazionale, ma piuttosto migranti economici. Il flusso economico rappresenta oggi la gran parte degli spostamenti verso il nostro Paese, ma anche verso gli altri nonostante il numero dei rifugiati arrivati in Grecia e Turchia sia più alto. Proprio per questo c’è bisogno che l’Ue sviluppi politiche migratorie che considerino non solo aspetti di protezione nazionale, ma anche di altro tipo.

C’è poi l’impatto economico degli arrivi. Punto sul quale alcuni dei governi di matrice populista al governo stanno facendo leva per giustificare blocchi alle frontiere e respingimenti, ma quanto è reale? Se come Juncker ha annunciato si procederà a rilasciare i permessi di lavoro a chi è in attesa dell’asilo, le migrazioni potrebbero trasformarsi in una marcia in più per il Pil nazionale? È possibile?
Sappiamo da diverse ricerche che i migranti se accolti in modo corretto, e quindi se messi in condizione di entrare a far pienamente parte del tessuto sociale contribusicono molto di più di quanto costano. Magari non immediatamente. Dobbiamo ricordare, però, che la diversità porta sempre innovazione. I migranti sono in genere grandi lavoratori, tendono a spostarsi di più dei locali. Il loro contributo alla crescita del Paese di arrivo può essere importante. Questo soprattutto laddove esistono sistemi che permettono agli immigrati l’arrivo in modo legale. Sistemi che siano funzionali anche dal punto di vista economico e fiscale quindi. Se osserviamo i Paesi che hanno alle spalle una lunga storia di immigrazione, dove esistono programmi efficienti per il mercato del lavoro, l’effetto è chiaro. La popolazione europea non soltanto sta invecchiando, ma diminuisce anche. L’immigrazione potrebbe rappresentare un fattore importante. Questa è l’ottica nella quale sta agendo in queste settimane la Germania.

L’accelerazione, non soltanto politica, ma anche della società civile davanti al dramma dei rifiugiati e più in generale delle migrazioni sembra essere dovuta alla pubblicazione della foto del piccolo Aylan. Non teme i risultati di un effetto oblio?
Onestamente non credo che si tornerà indietro troppo facilmente. Stiamo entrando in un periodo non facile. La commozione collettiva certo passerà, ma non sono preoccupato. Mi spiace, però, che servano foto come quella per dare attenzione al tema. La tragedia, la storia di Aylan, non è la sola. Chi da anni si occupa di immigrazione ha conosciuto da vicino troppo spesso storie simili.

Fonte: Linkiesta.it

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