Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci a partire da venerdì 1 agosto non sarà più in edicola. Lo comunica Nuova iniziativa editoriale spa in liquidazione, società editrice del quotidiano. La decisione, dovuta alle grave situazione economica, arriva poco dopo le celebrazioni del 90esimo anniversario della nascita. Ecco il comunicato sul sito del quotidiano.
HANNO UCCISO L'UNITA'
I liquidatori di Nuova iniziativa editoriale spa in liquidazione, società editrice de l'Unità, a seguito dell'assemblea dei soci comunicano che il giornale sospenderà le pubblicazioni a far data dal 1 agosto 2014.
EMANUELE D'INNELLA
FRANCO CARLO PAPA
IL COMUNICATO DEL CDR: “FINE DELLA CORSA”
Fine della corsa. Dopo tre mesi di lotta, ci sono riusciti: hanno ucciso l'Unità. I lavoratori sono rimasti soli a difendere una testata storica. Gli azionisti non hanno trovato l'intesa su diversi percorsi che avrebbero comunque salvato il giornale, e che i due liquidatori avevano chiesto di approvare. Un fatto di gravità inaudita, che mette a rischio la sopravvivenza di una voce libera e autorevole dell’editoria italiana, oltre che un’ottantina di posti di lavoro in un momento di grave crisi del settore dell’informazione.
LA PRIMA PAGINA DELL'UNITA ' DI OGGI
Nonostante tutto i dipendenti de l’Unità non si sentono soli. Anzi. Appena si è diffusa la notizia molti lettori ci hanno espresso la loro solidarietà, e questo per i giornalisti è un fatto molto importante. Il senso di comunità che questa redazione ha sempre mantenuto è emerso anche in questa occasione, come tutte le altre dolorose occasioni che purtroppo hanno accompagnato la vita del giornale negli ultimi anni. Il cdr rivendica di aver mantenuta alta la bandiera del giornale, anche quando il suo destino sembrava impantanarsi nelle sabbie mobili di una gestione scellerata, che ha aperto le porte del capitale ad azionisti incompatibili con la storia del giornale. Proprio quegli azionisti che ieri hanno contribuito ad affossare la testata. Non abbiamo perso la nostra bussola neanche quando tra le diverse offerte per rilevare la testata è spuntata quella dell’onorevole Santanchè. Anche a lei abbiamo detto: no, grazie. Sapevamo che altre ipotesi erano percorribili, e anche che il Pd si stava occupando della vicenda. Lo sapevamo e lo speravamo. Evidentemente ci siamo sbagliati. E a pagare oggi siamo innanzitutto noi.
I lavoratori agiranno in tutte le sedi per difendere i propri diritti. Al tempo stesso, con la rabbia e il dolore che oggi sentiamo, diciamo che questa storia non finisce qui. Avevamo chiesto senso di responsabilità e trasparenza a tutti i soggetti, imprenditoriali e politici. Abbiamo ricevuto irresponsabilità e opacità. Questo lo grideremo con tutta la nostra forza. Oggi è un giorno di lutto per la comunità dell'Unità, per i militanti delle feste, per i nostri lettori, per la democrazia. Noi continueremo a combattere, a chiedere a chi ci promette un futuro di darci certezze oggi. Di assicurare solidità patrimoniale. E a chi promette invece sostegno politico, diciamo che oggi è tardi per esprimere solidarietà. Chi in questi giorni visiterà le nostre feste, non troverà il giornale. Ci sembra inaccettabile.
IL COMUNICATO DELLA FNSI: VICINI AI COLLEGHI
La notizia che non avremmo voluto ricevere è purtroppo arrivata: l'Unità dal primo agosto sospende le pubblicazioni e tutti i lavoratori - giornalisti, amministrativi e poligrafici - saranno posti in Cassa integrazione a zero ore. I collaboratori perderanno il lavoro. Una svolta drammatica, purtroppo temuta e quasi annunciata in questi mesi di continui rinvii e di rimpallo di responsabilità tra azienda e politica. Ora tutti gli sforzi debbono essere posti nello sforzo per tentare il ritorno in edicola e per salvaguardare i diritti dei lavoratori dipendenti, che da tre mesi non ricevono gli stipendi, e dei collaboratori. Il Sindacato nazionale dei giornalisti, assieme al le Associazioni regionali, esprime solidarietà a tutti i lavoratori del giornale e conferma che intende affiancare i colleghi de l'Unità nelle azioni che si renderanno necessarie per tutelarne i diritti.
GIOVANNI ROSSI, PRESIDENTE FNSI
Fonte: l'Unità
mercoledì 30 luglio 2014
martedì 29 luglio 2014
Chi è Carlo Tavecchio, candidato alla presidenza della FIGC
Carlo Tavecchio, candidato alla presidenza della FIGC, è stato processato e condannato cinque volte. È stato condannato a 4 mesi di reclusione nel 1970 per falsità in titolo di credito continuato in concorso, a 2 mesi e 28 giorni di reclusione nel 1994 per evasione fiscale e dell’Iva, a 3 mesi di reclusione nel 1996 per omissione di versamento di ritenute previdenziali e assicurative, a 3 mesi di reclusione nel 1998 per omissione o falsità in denunce obbligatorie, a 3 mesi di reclusione nel 1998 per abuso d'ufficio per violazione delle norme anti-inquinamento, più multe complessive per oltre 7.000 euro. Quest'uomo potrebbe diventare Presidente della FIGC. Evviva il calcio italiano.
Pochi giorni fa lo stesso Tavecchio pronunciò, durante l'assemblea estiva della Lega Dilettanti, questa frase che ha scatenato tante polemiche: "L'Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi invece diciamo che Opti Poba (nome di fantasia n.d.r.) è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree".
Il 28 luglio la FIFA ha chiesto alla FIGC di aprire un'indagine sul caso, ricordando alla Federcalcio come la lotta contro il razzismo sia obiettivo di massima priorità ed affermando di aver allertato Jeffrey Webb, presidente della Task Force internazionale contro il razzismo e la discriminazione.
mercoledì 23 luglio 2014
Allarme arsenico nell’acqua Ferrarelle, l’azienda si difende: ‘Valore nella norma’
Vi riporto un articolo che ho scritto ieri per 'La Gazzetta di Caserta', il quotidiano con cui collaboro. E' un articolo sulla vicenda arsenico nell'acqua Ferrarelle, la cui sorgente si trova a Riardo (CE), nella mia zona, a pochi chilometri dal mio paese, Pietramelara. Negli ultimi giorni sono apparsi alcuni articoli sul web che affermano che la Ferrarelle è una delle acque minerali italiane che contiene il valore più alto di arsenico, una sostanza molto pericolosa per la salute, se ingerita in valori superiori al consentito. Questi articoli, però, a mio avviso, sono scritti in modo tale da far apparire la Ferrarelle come un'acqua contaminata e pericolosa, con lo scopo di incrementare visite a determinati siti. Così facendo si crea un allarme ingiustificato tra i consumatori e la gente. Mi sono messo in contatto telefonico con l'Ufficio Stampa dell'azienda e con Giuseppe Dadà, Direttore Qualità Ferrarelle SpA, per approfondire il caso. Ho raccolto delle dichiarazioni importanti, che contengono informazioni scientifiche dettagliate. L'azienda afferma che il valore è assolutamente nella norma e che l'acqua è di qualità e soprattutto sicura. Credo che fare una corretta informazione sia giusto.
La Ferrarelle, secondo uno studio pubblicato sul sito news.klikkapromo.it e riportato anche da alcuni siti di informazione, è una delle acque minerali italiane che contiene il valore più alto di arsenico, una sostanza molto pericolosa per la salute, se ingerita in valori superiori al consentito. Quello dell’arsenico nelle acque potabili italiane è stato un tema molto caldo, a causa anche degli sforamenti dei limiti in molte città italiane. L’Unione Europea ha imposto un limite di 10 microgrammi per litro sotto il quale l’acqua può considerarsi sicura. L’arsenico è classificato dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro come elemento cancerogeno certo di classe 1, e posto in diretta correlazione con molte patologie oncologiche, e in particolare con il tumore del polmone, della vescica, del rene e della cute. L’assunzione cronica di arsenico, soprattutto attraverso acqua contaminata, è indicata, da una rilevante documentazione scientifica, anche quale responsabile di patologie cardiovascolari, neurologiche, diabete, lesioni cutanee, disturbi respiratori, disturbi della sfera riproduttiva e malattie ematologiche. Una indagine realizzata nell’ambito del progetto Atlante Europeo dell’EuroGeoSurveys Geochemistry Expert Group ha permesso di conoscere tutti i dati relativi alla composizione delle acque minerali europee. Nel caso di quelle italiane è stato quindi possibile conoscere tra gli altri, anche il valore per litro del tanto discusso arsenico. Per quanto riguarda la Ferrarelle, questa presenta un valore di 6,8 microgrammi di arsenico per litro. La Ferrarelle risulta una delle acque più ricche di arsenico, ma non è stato riscontrato un valore superiore ai 10 microgrammi per litro. Dunque, può considerarsi sicura, come ci ha confermato telefonicamente Alba Abbinante, Ufficio Stampa dell’azienda. “Dai controlli effettuati quotidianamente dai laboratori interni (615 al giorno) e periodicamente dagli enti ufficiali, il valore dell’arsenico contenuto nella nostra acqua è sempre inferiore sia ai limiti normativi europei di riferimento sulle acque minerali sia al valore raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (10 microgrammi/L). Questa piccola quantità presente in Ferrarelle è acquisita, come tutte le acque minerali di origine vulcanica, durante il suo percorso sotterraneo di formazione attraverso le rocce vulcaniche e non costituisce quindi indicatore di inquinamento o pericolo, essendo dovuta ad un fenomeno assolutamente naturale. Inoltre l’arsenico così come alcuni metalli come selenio, cromo, manganese, presenti in molte acque minerali, ovviamente pericolosi se a livelli sopra la legge, sono essenziali per la fisiologia dell’organismo perché deputati in alcuni importanti processi metabolici. Comparare la presenza nell’acqua di elementi di origine naturale con valori inferiori a quelli fissati come limiti di sicurezza per il consumo non ha alcun significato dal punto di vista igienico-sanitario ed è assolutamente inutile per definire un giudizio di qualità”. Questa è, invece, la dichiarazione di Giuseppe Dadà, Direttore Qualità Ferrarelle SpA.
Ecco l'articolo sul quotidiano 'La Gazzetta di Caserta' di ieri:
La Ferrarelle, secondo uno studio pubblicato sul sito news.klikkapromo.it e riportato anche da alcuni siti di informazione, è una delle acque minerali italiane che contiene il valore più alto di arsenico, una sostanza molto pericolosa per la salute, se ingerita in valori superiori al consentito. Quello dell’arsenico nelle acque potabili italiane è stato un tema molto caldo, a causa anche degli sforamenti dei limiti in molte città italiane. L’Unione Europea ha imposto un limite di 10 microgrammi per litro sotto il quale l’acqua può considerarsi sicura. L’arsenico è classificato dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro come elemento cancerogeno certo di classe 1, e posto in diretta correlazione con molte patologie oncologiche, e in particolare con il tumore del polmone, della vescica, del rene e della cute. L’assunzione cronica di arsenico, soprattutto attraverso acqua contaminata, è indicata, da una rilevante documentazione scientifica, anche quale responsabile di patologie cardiovascolari, neurologiche, diabete, lesioni cutanee, disturbi respiratori, disturbi della sfera riproduttiva e malattie ematologiche. Una indagine realizzata nell’ambito del progetto Atlante Europeo dell’EuroGeoSurveys Geochemistry Expert Group ha permesso di conoscere tutti i dati relativi alla composizione delle acque minerali europee. Nel caso di quelle italiane è stato quindi possibile conoscere tra gli altri, anche il valore per litro del tanto discusso arsenico. Per quanto riguarda la Ferrarelle, questa presenta un valore di 6,8 microgrammi di arsenico per litro. La Ferrarelle risulta una delle acque più ricche di arsenico, ma non è stato riscontrato un valore superiore ai 10 microgrammi per litro. Dunque, può considerarsi sicura, come ci ha confermato telefonicamente Alba Abbinante, Ufficio Stampa dell’azienda. “Dai controlli effettuati quotidianamente dai laboratori interni (615 al giorno) e periodicamente dagli enti ufficiali, il valore dell’arsenico contenuto nella nostra acqua è sempre inferiore sia ai limiti normativi europei di riferimento sulle acque minerali sia al valore raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (10 microgrammi/L). Questa piccola quantità presente in Ferrarelle è acquisita, come tutte le acque minerali di origine vulcanica, durante il suo percorso sotterraneo di formazione attraverso le rocce vulcaniche e non costituisce quindi indicatore di inquinamento o pericolo, essendo dovuta ad un fenomeno assolutamente naturale. Inoltre l’arsenico così come alcuni metalli come selenio, cromo, manganese, presenti in molte acque minerali, ovviamente pericolosi se a livelli sopra la legge, sono essenziali per la fisiologia dell’organismo perché deputati in alcuni importanti processi metabolici. Comparare la presenza nell’acqua di elementi di origine naturale con valori inferiori a quelli fissati come limiti di sicurezza per il consumo non ha alcun significato dal punto di vista igienico-sanitario ed è assolutamente inutile per definire un giudizio di qualità”. Questa è, invece, la dichiarazione di Giuseppe Dadà, Direttore Qualità Ferrarelle SpA.
Ecco l'articolo sul quotidiano 'La Gazzetta di Caserta' di ieri:
Clicca per ingrandire
martedì 22 luglio 2014
Chi ci guadagna dal conflitto israelo-palestinese?
Di Salvatore Santoru
In questi giorni il conflitto israelo-palestinese è tornato a infuocare lo scacchiere mediorientale.
Sul versante dell'informazione come sempre si assiste ai continui battibecchi tra una parte (filopalestinese) e l'altra (filoisraeliana), con relativi utilizzi di propaganda da ambo le parti.
Sono molto pochi quelli che cercano di andare al di là di ciò, per inquadrare e vedere meglio la situazione da un punto di vista più ampio.
Credo che per comprendere meglio gli eventi attuali bisogna un minimo conoscere anche le radici storiche di essi, e capire quali siano gli interessi in gioco di entrambi gli schieramenti o di chi li sostiene.
Sostanzialmente, lo stato ebraico può contare su un fortissimo appoggio da parte degli Stati Uniti D'America e della NATO, mentre Hamas e altre fazioni dell'islamismo palestinese sui paesi arabi, come le monarchie del Golfo.
Interessante su questo punto è il fatto che molti degli stessi paesi che finanziano e sostengono Hamas, sono in ottimi rapporti d'affari con gli stessi USA, che sono l'alleato più importante e influente di Israele.
Senza queste interferenze esterne sicuramente la situazione sarebbe diversa e migliore, e il raggiungimento della pace risulterebbe molto più semplice.
In fin dei conti, da questo conflitto ci perdono entrambi i popoli, mentre chi ci guadagna sono ovviamente i grandi fabbricanti di armi ( sopratutto statunitensi ), e le grandi lobby di potere.
Esemplare è il caso della cosiddetta "lobby sionista" negli States, la quale ha avuto una considerevole influenza nell'orientare la recente politica estera statunitense nel Medio Oriente e tutt'ora ha una notevole influenza nel paese.
Con questa lobby si fa riferimento a organizzazioni come l'AIPAC, il Washington Institute for Near East Policy o i famigerati neocons, le cui priorità sono la difesa e il sostegno incondizionato a Israele prima di tutto.
Dall'altra parte ci sono, come già detto, i vari paesi arabi che finanziano l'islamismo politico ( Hamas e altri gruppi), che negli ultimi tempi sta raccogliendo sempre più consensi, grazie anche all'impotenza e alla corruzione dell'ANP.
Su Hamas bisogna dire che secondo alcuni storici, tra cui gli israeliani Avner Cohen e Zeev Sternhell, la stessa organizzazione islamista sarebbe stata foraggiata e fondata dai servizi segreti israeliani (Mossad) per destabilizzare il movimento di dissidenza palestinese e spingerlo verso l'islamismo radicale.
In un articolo del Wall Street Journal del 2009, dove tra l'altro si citano le tesi di Cohen, è anche scritto che "invece di frenare gli islamisti Israele per anni li ha tollerati e in alcuni casi sostenuti come contrappeso ai nazionalisti laici ".
Guardando meglio la situazione verrebbe da dire che è in atto la solita strategia del "dividi et impera" : mentre palestinesi e israeliani si odiano e si fronteggiano a vicenda, c'è chi ci lucra sopra.
I palestinesi vengono privati della terra e diventano bersagli della politica espansionista e guerrafondaia del governo israeliano, ed inoltre vengono strumentalizzati dalle fazioni dell'islamismo radicale che si perpetuano e acquistano sempre più consenso in suddette situazioni.
Gli israeliani subiscono attentati e vengono strumentalizzati dalla propaganda più oltranzista sionista che li incita a pretendere sempre più terre.
Inoltre per giustificare anche le politiche più dure del governo israeliano, viene fatto, come affermato più volte dallo scrittore statunitense di origine ebraica Norman Finkelstein, ampio ricorso strumentale al ricordo della Shoah, usato per tenere gli israeliani e gli ebrei in uno stato di continua paura e tensione, e in questo modo anche per legittimare moralmente azioni che difficilmente sarebbero giustificate.
Si può dire che i due popoli, in diverso modo, siano entrambi vittime della situazione.
Facendo delle considerazioni storiche, bisogna ricordare che la costruzione di Israele era stata praticamente già "pianificata" nel 1917 grazie alla "dichiarazione Balfour", con cui il ministro degli esteri inglese Arthour Balthur rassicurava al referente del movimento sionista Lord Rothschild che la Gran Bretagna era pronta a sostenere la creazione di uno stato ebraico in Palestina.
Bisogna anche ricordare che il principale finanziatore del movimento sionista ottocentesco fu Edmond James de Rothschild, e che furono ancora gli stessi Rothschild e altri potenti magnati dell'alta finanza e della grande industria che diedero il via all'acquisto di molti terreni in Palestina.
D'altronde il capostipite della stessa influente e potente dinastia finanziaria di origine ebraica, Mayer Amschel, è noto per aver detto che : "La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa ottenere guadagni territoriali. Le guerre devono essere dirette in modo tale che le Nazioni, coinvolte in entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre di più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere".
Inoltre inizialmente lo stesso movimento sionista era eterogeneo, e non sempre aveva quell'anelito espansionista che contraddistingue il "sionismo reale", e a tal proposito si potrebbe ipotizzare che la diffusione del sionismo più estremista e lo stesso caos mediorientale e israelo-palestinese facciano comodo ai potentati finanziari,industriali e militari internazionali, i quali hanno tutto da guadagnarci.
Essendo inoltre la nostra società basata sul potere del denaro, è chiaro che ad avvantaggiarsi di tutto questo siano maggiormente i banchieri o i più potenti industriali.
Non a caso sempre Mayer Amschel Rothschild disse : "Permettetemi di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi importa chi fa le sue leggi".
Avanzando un'ipotesi "complottista", si potrebbe credere che l'attuale situazione faccia comodo a certe potenti élite di potere che spingono verso la costruzione del nuovo ordine mondiale.
Inoltre si potrebbe pensare che questa situazione, insieme a quella siriana, potrebbe facilmente degenerare in una nuova guerra su scala mondiale.
Da tempo nell'informazione alternativa si parla di un carteggio avvenuto nel 1871 tra Albert Pike , un generale e avvocato statunitense nonchè gran maestro massone di grado 33º del Rito Scozzese Antico ed Accettato e Giuseppe Mazzini , il rivoluzionario italiano appartenente alla società segreta " Carboneria ", dove si parla della pianificazione di tre guerre mondiali , utili per l'instaurazione del " Nuovo Ordine Mondiale " , e dove la III guerra mondiale è descritta così:
"La Terza Guerra Mondiale dovrà essere fomentata approfittando delle divergenze suscitate dagli agenti degli Illuminati fra sionismo politico e dirigenti del mondo islamico. La guerra dovrà essere orientata in modo che Islam (mondo arabo e quello musulmano) e sionismo politico (incluso lo Stato d'Israele) si distruggano a vicenda, mentre nello stesso tempo le nazioni rimanenti, una volta di più divise e contrapposte fra loro, saranno in tal frangente forzate a combattersi fra loro fino al completo esaurimento fisico, mentale, spirituale ed economico ".
Comunque sia, l'unica cosa che sembra certa è che a perderci in questo conflitto sono entrambi i popoli a vantaggio degli interessi delle grandi potenze e di certi gruppi di potere mondiali e non.
Fonte: Informazione Consapevole
Vuoi collaborare con Informare è un dovere? Puoi mandare le tue segnalazioni e/o inviare i tuoi articoli all'indirizzo e-mail andreadl86@yahoo.it
Pubblicato da
Andrea De Luca
Nessun commento:
Etichette
Controinformazione,
Cronaca,
Diritti umani,
Economia,
Finanza,
Guerre,
I vostri articoli,
Informazione,
Mondo,
Opinioni,
Pace,
Politica,
Storia,
Violenze
sabato 19 luglio 2014
In ricordo di Paolo Borsellino
Il 19 luglio del 1992, alle ore 16.55, una Fiat 126 con circa 100 kg di tritolo esplose fragorosamente in Via D'Amelio, assassinando il Giudice Paolo Borsellino e gli angeli della sua scorta.
'Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola' (Paolo Borsellino)
'Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola' (Paolo Borsellino)
lunedì 14 luglio 2014
La Germania è campione del mondo
La Germania è campione del mondo per la quarta volta nella sua storia. Ci sono voluti i tempi supplementari agli uomini di Loew per avere la meglio dell'Argentina di Messi (deludente il suo torneo) dopo lo 0-0 dei novanta minuti di gioco regolamentari. Ha vinto la squadra più forte, più quadrata e che ha giocato il calcio migliore. I tedeschi nel 2006 (dopo la bruciante sconfitta con l'Italia in casa loro) si sono rialzati, hanno iniziato a progettare una squadra competitiva e in 8 anni sono arrivati a vincere il Mondiale. Per giunta in Sud America, dove nessuna europea si era mai imposta. Forse non c'eravamo noi, la loro bestia nera, ma battute a parte, la Germania ha meritato ampiamente di vincere il Mondiale.
Israele-Palestina, la convivenza è possibile?
Da ormai 67 anni esiste uno stato artificiale creato ad hoc per una fazione appartenente a un credo religioso; come si evince dal titolo dell’articolo sto parlando di Israele. Israele è sorta nel protettorato britannico di Palestina nato a sua volta poco prima del termine della prima guerra mondiale (1917) dopo che il territorio era stato tolto all’impero ottomano dai ribelli arabi alleati degli inglesi.
Contemporaneamente alla nascita dello stato israeliano nacque anche lo stato di Palestina la risoluzione delle Nazioni Unite n°181 ripartiva il territorio palestinese tra questi due stati riconoscendo l’esistenza di entrambi.
GLI ANNI DEL TERRORISMO SIONISTA
Nel mandato britannico di Palestina, tra gli anni trenta e quaranta, agirono due gruppi terroristi sionisti il cui obiettivo, oltre alla cacciata dell’esercito britannico, era la nascita di uno stato ebraico-sionista; l’IRGUN e il LEHI.
L’IRGUN o Etzel fu fondato nel 1931 dalla scissione di alcuni appartenenti all’Haganah (altra organizzazione sionista) accusata di adottare una politica troppo socialista, l’Haganah fu il partito di Ben Gurion che decise di combattere l’asse a fianco degli alleati (invece di scegliere l’alleanza con i nazisti come il LEHI). Sostanzialmente l’IRGUN si prefigurava come una milizia ultranazionalista anti britannica e anti araba (come il Likud e l’estrema destra oggi). Dal ’36 al ’39 si assistette ad una rivolta araba dovuta soprattutto all’aumento della popolazione ebraica nel Mandato (dagli 80.000 del 1918 ai 400.000 del 1936), durante questa rivolta molti ebrei vennero uccisi, la conseguenza di questa rivolta fu il rafforzamento dei movimenti sionisti tra cui l’IRGUN che poté garantire ai propri affiliati l’alleanza di parte delle autorità inglesi che arruolarono molti sionisti nelle milizie locali (le special night squad). Durante la seconda guerra mondiale gli uomini dell’IGRUM furono attivi sia all’interno delle forze britanniche sia nella divisione ebraica che combatté in Italia. Non era ancora finita la seconda guerra mondiale che l’IRGUN tornò al suo vecchio amore, il terrorismo contro l’autorità britannica; guidati dal futuro primo ministro Begin i terroristi sionisti si resero colpevoli di rapimenti e attentati come quello del King David hotel dove perirono 91 persone o la strage di Deir Yassin dove vennero trucidati 107 palestinesi (l’azione venne condannata dall’Haganah). L’IRGUN si rese responsabile di azioni anche in Europa dove, tra l’altro, attaccò l’ambasciata britannica a Roma.
Il LEHI venne fondato nel 1940 da Avraham Stern, appartenente all’ala più estremista dell’IRGUN, che però concentrò i suoi attacchi solo su obiettivi britannici lasciando, almeno inizialmente, in pace gli arabi. Il LEHI, durante la seconda guerra mondiale, si accostò all’asse inviando a Naftali Lubenchik a Beirut per incontrare il funzionario tedesco Von Hentik per trovare un accordo sulla nascita di uno stato ultranazionalista ebraico di stampo fascista, l’affare non andò in porto a causa dell’inefficienza dell’ambasciata tedesca ad Ankara dove venne inviata la bozza di un accordo. Finita la guerra il Lehi si rese colpevole, al pari dell’IRGUN, di attentati in Europa e in Palestina dove partecipò anche al massacro di Deir Yassin, inoltre il Lehi assassinò il mediatore dell’ ONU, il conte Folke Bernadotte. Entrambi i gruppi si sciolsero ma per la destra israeliana, che critica il terrorismo di hamas, questi uomini sono eroi.
LA RISOLUZIONE DELLE NAZIONI UNITE N° 181
Dopo la fine del mandato britannico in Palestina, i gruppi nazionalisti delle due parti (Lehi e IRGUN da una parte, nazionalisti arabi ex alleati dell’asse dall’altra) diedero inizio a scontri e massacri, soprattutto questi massacri ebbero vittime palestinesi. L’assemblea delle Nazioni Unite, per porre fine a questa strage, il 29 novembre 1947 approvò la risoluzione n°181 che divideva il territorio dell’ex mandato britannico tra arabi ed ebrei. Durante le votazioni hanno votato a favore: Stati Uniti d’America, Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Bielorussia, Canada, Costa Rica, Danimarca, Repubblica dominicana, Ecuador, Francia, Guatemala, Haiti, Islanda, Liberia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Panamá, Paraguay, Perù, Filippine, Polonia, Svezia, Cecoslovacchia, Ucraina, Unione Sudafricana, URSS, Uruguay e Venezuela; contro: Afghanistan, Arabia Saudita, Cuba, Egitto, Grecia, India, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Siria, Turchia e Yemen. e sono astenuti: Argentina, Cile, Cina, Colombia, El Salvador, Etiopia, Honduras, Messico, Regno Unito, Jugoslavia.
L’URSS votò a favore poiché sperava che il nuovo stato ebraico potesse essere uno stato comunista, che si poggiasse sul sionismo libertario e quindi vicino ad ideali socialisti e comunisti; la speranza era avvalorata dai Kibbutz e Moshav, terre acquistate grazie a donazioni elargite sia da operai che dai Rotshild al governo britannico. Inutile dire che tale desiderio venne disatteso da Ben Gurion che, come racconta nel suo saggio sulla politica sovietica in Palestina Arnold Kramer, scrisse a Truman palesando le sue intenzioni anti socialiste.
Come possiamo vedere da questa mappa, gli insediamenti ebraici si concentrano prevalentemente a nord della Palestina britannica mentre attorno a Gerusalemme non vi è che una manciata di villaggi così come intorno a Betsabea. Il parametro delle Nazioni Unite fu lo stesso di quello utilizzato dalla società delle nazioni nel 1918 quando si trattò di ridisegnare i confini delle nazioni e dei territori appartenenti all’impero Ottomano, quello della nazionalità; come possiamo vedere nella mappa sotto però tale principio non venne seguito alla lettera in quanto il deserto del Negev, e il conseguente sbocco sul Mar Rosso, dove non vi erano insediamenti ebraici, venne assegnato ad Israele. Nel territorio che sarebbe dovuto essere la Palestina la proporzione arabi/ebrei era 99/1 (725.000 arabi contro 10.000 ebrei) mentre il territorio israeliano vedeva una maggioranza ebraica di 55/45 (407.000 contro 498.000). nella zona a controllo internazionale il numero di abitanti era quasi pari (51/49 a favore degli arabi. Nonostante la maggioranza del territorio fosse abitato da arabi, la comunità internazionale decise di concedere la maggior parte del territorio al futuro stato di Israele forse presagendo la forte immigrazione ebraica, anche se molti ebrei, ad esempio Primo Levi, decisero di rimanere nei Paesi di nascita. Le reazioni non furono univoche. Iniziamo con i futuri israeliani; inutile parlare delle posizioni deliranti della destra (l’IRGUN in un manifesto indicava anche la Giordania come futuro Israele) sulla grande Israele che ricorda la grande Germania, soffermiamoci invece sugli ebrei palestinesi e sul partito comunista; gli ebrei palestinesi accolsero positivamente la nascita di due stati in quanto non interessati al progetto grande Israele mentre il Mapam (partito unificato degli operai) – seppur più favorevole a un solo stato giudeo-arabo –si pronuncia a favore della nascita dei due stati, fino agli anni ’60 il Mapam sarà il primo partito d’opposizione.
Nel campo arabo in generale e palestinese in particolare, la nascita di uno stato ebraico è accolta soprattutto con scetticismo e ostilità, il partito comunista palestinese invece fu tra quelli che sostennero il progetto di due Paesi due popoli. Cosa sarebbe successo se invece dei due nazionalismi avessero trionfato i due partiti comunisti?
Alberto Forlini
Fonte: Il Malpaese
Contemporaneamente alla nascita dello stato israeliano nacque anche lo stato di Palestina la risoluzione delle Nazioni Unite n°181 ripartiva il territorio palestinese tra questi due stati riconoscendo l’esistenza di entrambi.
GLI ANNI DEL TERRORISMO SIONISTA
Nel mandato britannico di Palestina, tra gli anni trenta e quaranta, agirono due gruppi terroristi sionisti il cui obiettivo, oltre alla cacciata dell’esercito britannico, era la nascita di uno stato ebraico-sionista; l’IRGUN e il LEHI.
L’IRGUN o Etzel fu fondato nel 1931 dalla scissione di alcuni appartenenti all’Haganah (altra organizzazione sionista) accusata di adottare una politica troppo socialista, l’Haganah fu il partito di Ben Gurion che decise di combattere l’asse a fianco degli alleati (invece di scegliere l’alleanza con i nazisti come il LEHI). Sostanzialmente l’IRGUN si prefigurava come una milizia ultranazionalista anti britannica e anti araba (come il Likud e l’estrema destra oggi). Dal ’36 al ’39 si assistette ad una rivolta araba dovuta soprattutto all’aumento della popolazione ebraica nel Mandato (dagli 80.000 del 1918 ai 400.000 del 1936), durante questa rivolta molti ebrei vennero uccisi, la conseguenza di questa rivolta fu il rafforzamento dei movimenti sionisti tra cui l’IRGUN che poté garantire ai propri affiliati l’alleanza di parte delle autorità inglesi che arruolarono molti sionisti nelle milizie locali (le special night squad). Durante la seconda guerra mondiale gli uomini dell’IGRUM furono attivi sia all’interno delle forze britanniche sia nella divisione ebraica che combatté in Italia. Non era ancora finita la seconda guerra mondiale che l’IRGUN tornò al suo vecchio amore, il terrorismo contro l’autorità britannica; guidati dal futuro primo ministro Begin i terroristi sionisti si resero colpevoli di rapimenti e attentati come quello del King David hotel dove perirono 91 persone o la strage di Deir Yassin dove vennero trucidati 107 palestinesi (l’azione venne condannata dall’Haganah). L’IRGUN si rese responsabile di azioni anche in Europa dove, tra l’altro, attaccò l’ambasciata britannica a Roma.
Il LEHI venne fondato nel 1940 da Avraham Stern, appartenente all’ala più estremista dell’IRGUN, che però concentrò i suoi attacchi solo su obiettivi britannici lasciando, almeno inizialmente, in pace gli arabi. Il LEHI, durante la seconda guerra mondiale, si accostò all’asse inviando a Naftali Lubenchik a Beirut per incontrare il funzionario tedesco Von Hentik per trovare un accordo sulla nascita di uno stato ultranazionalista ebraico di stampo fascista, l’affare non andò in porto a causa dell’inefficienza dell’ambasciata tedesca ad Ankara dove venne inviata la bozza di un accordo. Finita la guerra il Lehi si rese colpevole, al pari dell’IRGUN, di attentati in Europa e in Palestina dove partecipò anche al massacro di Deir Yassin, inoltre il Lehi assassinò il mediatore dell’ ONU, il conte Folke Bernadotte. Entrambi i gruppi si sciolsero ma per la destra israeliana, che critica il terrorismo di hamas, questi uomini sono eroi.
LA RISOLUZIONE DELLE NAZIONI UNITE N° 181
Dopo la fine del mandato britannico in Palestina, i gruppi nazionalisti delle due parti (Lehi e IRGUN da una parte, nazionalisti arabi ex alleati dell’asse dall’altra) diedero inizio a scontri e massacri, soprattutto questi massacri ebbero vittime palestinesi. L’assemblea delle Nazioni Unite, per porre fine a questa strage, il 29 novembre 1947 approvò la risoluzione n°181 che divideva il territorio dell’ex mandato britannico tra arabi ed ebrei. Durante le votazioni hanno votato a favore: Stati Uniti d’America, Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Bielorussia, Canada, Costa Rica, Danimarca, Repubblica dominicana, Ecuador, Francia, Guatemala, Haiti, Islanda, Liberia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Panamá, Paraguay, Perù, Filippine, Polonia, Svezia, Cecoslovacchia, Ucraina, Unione Sudafricana, URSS, Uruguay e Venezuela; contro: Afghanistan, Arabia Saudita, Cuba, Egitto, Grecia, India, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Siria, Turchia e Yemen. e sono astenuti: Argentina, Cile, Cina, Colombia, El Salvador, Etiopia, Honduras, Messico, Regno Unito, Jugoslavia.
L’URSS votò a favore poiché sperava che il nuovo stato ebraico potesse essere uno stato comunista, che si poggiasse sul sionismo libertario e quindi vicino ad ideali socialisti e comunisti; la speranza era avvalorata dai Kibbutz e Moshav, terre acquistate grazie a donazioni elargite sia da operai che dai Rotshild al governo britannico. Inutile dire che tale desiderio venne disatteso da Ben Gurion che, come racconta nel suo saggio sulla politica sovietica in Palestina Arnold Kramer, scrisse a Truman palesando le sue intenzioni anti socialiste.
Come possiamo vedere da questa mappa, gli insediamenti ebraici si concentrano prevalentemente a nord della Palestina britannica mentre attorno a Gerusalemme non vi è che una manciata di villaggi così come intorno a Betsabea. Il parametro delle Nazioni Unite fu lo stesso di quello utilizzato dalla società delle nazioni nel 1918 quando si trattò di ridisegnare i confini delle nazioni e dei territori appartenenti all’impero Ottomano, quello della nazionalità; come possiamo vedere nella mappa sotto però tale principio non venne seguito alla lettera in quanto il deserto del Negev, e il conseguente sbocco sul Mar Rosso, dove non vi erano insediamenti ebraici, venne assegnato ad Israele. Nel territorio che sarebbe dovuto essere la Palestina la proporzione arabi/ebrei era 99/1 (725.000 arabi contro 10.000 ebrei) mentre il territorio israeliano vedeva una maggioranza ebraica di 55/45 (407.000 contro 498.000). nella zona a controllo internazionale il numero di abitanti era quasi pari (51/49 a favore degli arabi. Nonostante la maggioranza del territorio fosse abitato da arabi, la comunità internazionale decise di concedere la maggior parte del territorio al futuro stato di Israele forse presagendo la forte immigrazione ebraica, anche se molti ebrei, ad esempio Primo Levi, decisero di rimanere nei Paesi di nascita. Le reazioni non furono univoche. Iniziamo con i futuri israeliani; inutile parlare delle posizioni deliranti della destra (l’IRGUN in un manifesto indicava anche la Giordania come futuro Israele) sulla grande Israele che ricorda la grande Germania, soffermiamoci invece sugli ebrei palestinesi e sul partito comunista; gli ebrei palestinesi accolsero positivamente la nascita di due stati in quanto non interessati al progetto grande Israele mentre il Mapam (partito unificato degli operai) – seppur più favorevole a un solo stato giudeo-arabo –si pronuncia a favore della nascita dei due stati, fino agli anni ’60 il Mapam sarà il primo partito d’opposizione.
Nel campo arabo in generale e palestinese in particolare, la nascita di uno stato ebraico è accolta soprattutto con scetticismo e ostilità, il partito comunista palestinese invece fu tra quelli che sostennero il progetto di due Paesi due popoli. Cosa sarebbe successo se invece dei due nazionalismi avessero trionfato i due partiti comunisti?
Alberto Forlini
Fonte: Il Malpaese
martedì 8 luglio 2014
È morto l’ex calciatore Alfredo Di Stéfano
Alfredo Di Stéfano a Roehampton, nel Regno Unito, il 25 ottobre 1960. (Terry Disney, Central Press/Getty Images)
L’ex calciatore argentino naturalizzato spagnolo Alfredo Di Stéfano è morto all’età di 88 anni. Aveva avuto un attacco di cuore il 5 luglio ed era in coma all’ospedale Gregorio Marañón di Madrid.
Di Stéfano ha giocato nel River Plate, nel Real Madrid, nell’Espanyol e in altre squadre. Ha vestito la maglia di due diverse nazionali, Argentina e Spagna, ma non ha mai disputato i Mondiali. Aveva vinto due palloni d’oro, nel 1957 e nel 1959. È considerato ancora oggi uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi.
Alfredo Di Stéfano aveva dato un contributo fondamentale alla vittoria del Real Madrid in cinque Coppe dei campioni consecutive, tra il 1956 e il 1960, segnando in tutte le finali. Lasciò il Real nel 1964, all’età di 38 anni, dopo aver segnato più di trecento gol.
Dopo essersi ritirato dal calcio giocato, aveva cominciato una carriera da allenatore e fu chiamato a guidare i club argentini Boca Juniors e River Plate. Nel 1980 vinse il campionato spagnolo e la Coppa delle coppe con il Valencia. Ha allenato anche il Real Madrid, senza vincere alcun trofeo. Nel 2000 era stato nominato presidente onorario del club spagnolo.
Fonte: Internazionale
Dati Istat, giù la spesa: sempre più famiglie mangiano peggio
Continua la flessione dei consumi delle famiglie italiane. A rivelarlo sono gli ultimi dati diffusi (stamane) dall’Istat. Secondo l’Istituto nazionale di statistica alla fine del 2013 la spesa media mensile per famiglia è risultata pari a 2.359 euro, in calo del 2,5% rispetto ai dodici mesi precedenti. Ma soprattutto continuano ad aumentare le famiglie che hanno ridotto la qualità o la quantità del cibo acquistato. Esse avrebbero raggiunto il 65% del totale nel 2013, dal 62,3% del 2012.
(Foto da archivio LaPresse)
HARD DISCOUNT PER NECESSITÀ – La spesa alimentare resta sostanzialmente stabile (passando da 468 euro a 461), nonostante la «diminuzione significativa» di quella relativa alla carne (-3,2%). Secondo l’Istat aumenta la quota della spesa destinata a cibo e bevande dal 19,4% del 2012 al 19,5% del 2013 a causa della diminuzione dei consumi non alimentari. E sono sempre di più le famiglie che scelgono l’hard discount per l’acquisto di generi alimentari (che passano dal 10,5% del 2011 al 12,3% del 2012 fino al 14,4% nel 2013), a scapito prevalentemente di supermercati, ipermercati e negozi tradizionali.
LA SPESA IN TERMINI REALI SCENDE AI LIVELLI DEL 2004 – L’Istat rivela che i consumi complessivi (-2,5% su scala annua) sono diminuiti anche in termini reali (perché l’inflazione lo scorso anno era all’1,2%) ai livelli più bassi da dieci anni. Nel 2004 la spesa media era di 2.381 euro. Dalla crisi sembrano penalizzate soprattutto le famiglie operaie e quelle in coppia con due figli. È calata secondo l’istituto di statistica anche il valore mediano della spesa mensile per famiglia, ovvero la cifra che divide in due la popolazione. Esso risulta pari a 1.989 euro, con una diminuzione del 4,3% tra 2013 e 2012.
LA SICILIA È FANALINO DI CODA – Per quanto riguarda inoltre la spesa per beni e servizi non alimentari, si registra una diminuzione del 2,7%, attestandosi al 1.898 euro mensili. Continuano a diminuire le spese per abbigliamento e calzature (-8,9%), per tempo libero e cultura (-5,6%) e quelle per comunicazioni (-3,5). Nel confronto regionale, infine, si piazza al primo posto il Trentino Alto Adige con una spesa media mensile di 2.968 euro, seguita dalla Lombardia con 2.774 euro. All’ultimo posto c’è la Sicilia con 1.580 euro.
(Foto copertina da archivio LaPresse. Credit: Roberto Monaldo)
Fonte: Giornalettismo
giovedì 3 luglio 2014
Immigrazione: i veri numeri, la presunta emergenza e le tante bufale
Quella di Pozzallo è solo l’ultima di quelle che ormai sono definite le “tragedie del mare”, con una lunga scia di sangue che accompagna in maniera drammatica gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane. Altri 45 cadaveri che si aggiungono ad un elenco lungo e certamente lacunoso, dal momento che non è possibile stimare il numero complessivo dei migranti che hanno perso la vita in mare negli ultimi anni (l’Oim ad esempio parla di oltre ventimila morti in venti anni, precisando che si tratta di stime per difetto). Ma soprattutto numeri che vanno inquadrati nel complesso dei flussi migratori, che in quest’ultimo anno hanno subito un notevole incremento. Fino al 2013, le cifre erano quelle comunicate dal Governo nel tradizionale rapporto di Ferragosto, con la puntuale precisazione del ministro Alfano su “flussi assolutamente gestibili“, ovvero:
Per il calcolo su base annuale si possono invece considerare le elaborazioni grafiche del ministero dell’Interno:
Dai primi mesi del 2014 però, si è evidenziata una costante crescita del numero di migranti sbarcati sulle nostre coste e lo stesso ministro dell’Interno, nell’ultima audizione al Comitato Schengen, ha stimato in oltre 40mila gli immigrati sbarcati nei primi 6 mesi dell’anno (cifra ritoccata qualche giorno fa fino a 47mila), per una proiezione annuale che supera le 80mila unità. Si tratterebbe cioè, del record storico, determinato dalla “maggior instabilità politica del Nord Africa, dalla situazione di frammentarietà in Libia” e dalle tensioni in Siria e Palestina.
Che cosa sta facendo il Governo
Il 18 ottobre 2013 è diventata pienamente operativa l’operazione “Mare Nostrum”, nata sulla scia della tragedia di Lampedusa nella quale persero la vita 366 migranti. Da un punto di vista strettamente tecnico si tratta del “potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi migratori già attivo nell’ambito della missione Constant Vigilance (con la Marina Militare che dal 2004 impiega navi e aeromobili da pattugliamento nello stretto di Sicilia), tramite il coinvolgimento del personale e dei messi navali ed aerei della “Marina Militare, dell’Aeronautica Militare, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Capitaneria di Porto, personale del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana nonché del Ministero dell’Interno – Polizia di Stato imbarcato sulle unità della M.M. e di tutti i Corpi dello Stato che, a vario titolo, concorrono al controllo dei flussi migratori via mare”. L’obiettivo è quello di garantire la salvaguardia della vita in mare dei migranti e di “assicurare alla giustizia” i trafficanti di morte: non si tratta, dunque, di una operazione “difensiva” o di semplice pattugliamento, quanto di una operazione più articolata e solo apparentemente determinata dall’aumento del numero dei migranti in transito.
Solo per quel che concerne la Marina Militare, il dispiegamento di forze è imponente:
Nemmeno questa però è una operazione trasversalmente condivisa: anzi, nelle ultime settimane la polemica nei confronti di Mare Nostrum è ripresa con estrema violenza. Sotto accusa lo “spreco” di risorse (l’operazione costerebbe intorno ai 10 milioni di euro al mese), nonché alcuni “effetti collaterali”, riassunti sul Tempo dall’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano: “Finora Mare Nostrum, e cioè l’avanzamento della linea delle nostre unità navali nel Mediterraneo, per raccogliere i migranti in prossimità delle acque territoriali della Libia, al di là delle intenzioni, ha prodotto questi effetti: per salire su una imbarcazione, visto il minor numero di miglia marine da percorrere, si paga di meno, circa a 800 euro a testa […] il ticket ridotto, la distanza inferiore da coprire e l’affidamento sulle navi italiane fanno sì che le barche degli scafisti siano ancora più precarie, e ciò aumenta la possibilità di affondamenti: i morti in mare non sono diminuiti, e sarebbe onesto stimarne l’entità dall’avvio dell’operazione; la maggiore facilità di arrivo in Italia ha moltiplicato gli affari dei trafficanti”.
Cosa fare dunque? La risposta “a destra” è sempre la stessa: accordi bilaterali (con chi e a che prezzo in termini di “diritti umani”, non sembra interessare più di tanto) e richiesta di intervento dell’Europa.
Cosa vogliamo dall’Europa e che cosa (non) fa Frontex
Ciclicamente torna la polemica sul ruolo e sul peso che ha Frontex, l’istituzione della Ue che dovrebbe coordinare il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri della Ue, nonché portare avanti i rapporti diplomatici con i Paesi confinanti per quel che concerne i meccanismi di ingresso e rimpatrio degli extracomunitari. L’organismo ha a disposizione un budget, cosa che rappresenta un primo oggetto di polemica: all’Italia sono andati in questi mesi poco più di 12 milioni di euro (7 annuali, più altri 5 per le operazioni speciali fino ad aprile), Mare Nostrum, come detto, costa quasi 10 milioni al mese. La sede centrale di Frontex è poi in Polonia, scelta avversata dall’Italia (che chiede “almeno” lo sdoppiamento della sede). Tornando al pattugliamento delle coste, il problema è che Mare Nostrum non è sotto l’egida Frontex, bensì opera “in sinergia e congiuntamente” con i programmi dell’organismo Ue (tra l’altro anche con Eurosur, il sistema di sorveglianza che prevede l’uso di droni, del quale si sono smarrite le tracce begli ultimi mesi…).
Finora sono naufragati i tentativi italiani di “fare in modo che Frontex assuma la regia ed il coordinamento non solo delle attività di pattugliamento del Mediterraneo, ma anche delle attività di cooperazione operativa con i Paesi di origine e di transito dei flussi” (che poi era l’intenzione espressa alla Camera da Alfano solo qualche settimana fa). Alla prima risposta che suonava come un beffardo “l’Italia ci dica cosa vuole da noi”, è seguito un invito ben più articolato e riassumibile intorno a 3 punti: la Ue si faccia carico dei costi di gestione di Mare Nostrum, amplii e rafforzi il ruolo di Frontex e si impegni direttamente nelle operazioni gestite dall’agenzia europea per il controllo della frontiera marittima italiana, snellisca e velocizzi ‘esame della decisione delle istanze di protezione internazionale. Questioni tutte sul tappeto, che saranno riprese, si spera, nel semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea. (Solo per inciso, vale la pena di ribadire che quella dell’Europa “che non ci aiuta” resta comunque una favoletta, dal momento che è in piena attuazione il “Programma Generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori”, che si sostanzia di 4 fondi: per Rifugiati, per rimpatri, per l’integrazione e, appunto, per le frontiere esterne).
L’emergenza sanitaria (che non c’è)
Non contenti della speculazione politica su tali aspetti della questione immigrazione, “noi italiani” abbiamo sentito il bisogno di rilanciare l’allarme sanitario, prefigurando agli occhi dell’opinione pubblica l’arrivo di calamità ed epidemie. Così un ammalato di varicella era diventato “untore del vaiolo” e si è provato a speculare anche alcuni migranti affetti da scabbia (determinata dalle condizioni igieniche in cui avevano vissuto nelle ultime settimane) o su un improbabile “allarme ebola”. Ecco, come confermato più e più volte da fonti ufficiali, vale la pena di ribadire che non c’è alcun allarme sanitario all’orizzonte. E questa è solo l’ennesima bufala. Come quella dell’invasione / aggressione, di cui parliamo qui.
Fonte: fanpage.it
- 2008 – 2009 = 29.076
- 2009 – 2010 = 3.499
- 2010 – 2011 = 48.032
- 2011 – 2012 = 17.365
- 2012 – 2013 = 24.277
Per il calcolo su base annuale si possono invece considerare le elaborazioni grafiche del ministero dell’Interno:
Dai primi mesi del 2014 però, si è evidenziata una costante crescita del numero di migranti sbarcati sulle nostre coste e lo stesso ministro dell’Interno, nell’ultima audizione al Comitato Schengen, ha stimato in oltre 40mila gli immigrati sbarcati nei primi 6 mesi dell’anno (cifra ritoccata qualche giorno fa fino a 47mila), per una proiezione annuale che supera le 80mila unità. Si tratterebbe cioè, del record storico, determinato dalla “maggior instabilità politica del Nord Africa, dalla situazione di frammentarietà in Libia” e dalle tensioni in Siria e Palestina.
Che cosa sta facendo il Governo
Il 18 ottobre 2013 è diventata pienamente operativa l’operazione “Mare Nostrum”, nata sulla scia della tragedia di Lampedusa nella quale persero la vita 366 migranti. Da un punto di vista strettamente tecnico si tratta del “potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi migratori già attivo nell’ambito della missione Constant Vigilance (con la Marina Militare che dal 2004 impiega navi e aeromobili da pattugliamento nello stretto di Sicilia), tramite il coinvolgimento del personale e dei messi navali ed aerei della “Marina Militare, dell’Aeronautica Militare, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Capitaneria di Porto, personale del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana nonché del Ministero dell’Interno – Polizia di Stato imbarcato sulle unità della M.M. e di tutti i Corpi dello Stato che, a vario titolo, concorrono al controllo dei flussi migratori via mare”. L’obiettivo è quello di garantire la salvaguardia della vita in mare dei migranti e di “assicurare alla giustizia” i trafficanti di morte: non si tratta, dunque, di una operazione “difensiva” o di semplice pattugliamento, quanto di una operazione più articolata e solo apparentemente determinata dall’aumento del numero dei migranti in transito.
Solo per quel che concerne la Marina Militare, il dispiegamento di forze è imponente:
- 920 militari;
- 1 Nave Anfibia tipo LPD con funzione di Comando e Controllo dell’intero dispositivo. L’Unità è dotata di spinte capacità sanitarie di primo intervento con disponibilità di mezzi da sbarco e gommoni a chiglia rigida.
- 2 fregate Classe Maestrale, ciascuna con un elicottero AB-212 imbarcato;
- 2 pattugliatori, Classe Costellazioni/Comandanti, con la possibilità di imbarcare un elicottero AB-212, ovvero Cl. MINERVA, di cui una con missione primaria di Vigilanza Pesca;
- 2 elicotteri pesanti tipo EH-101 (MPH) imbarcati sulla Nave Anfibia, ovvero rischierati a terra su Lampedusa/Pantelleria/Catania come necessario;
- 1velivolo P180, munito di dispositivi ottici ad infrarosso;
- 1 LRMP Breguet Atlantic;
- rete radar costiera della M.M. con capacità di ricezione dei Sistemi Automatici di Identificazioni della Navi Mercantili
Nemmeno questa però è una operazione trasversalmente condivisa: anzi, nelle ultime settimane la polemica nei confronti di Mare Nostrum è ripresa con estrema violenza. Sotto accusa lo “spreco” di risorse (l’operazione costerebbe intorno ai 10 milioni di euro al mese), nonché alcuni “effetti collaterali”, riassunti sul Tempo dall’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano: “Finora Mare Nostrum, e cioè l’avanzamento della linea delle nostre unità navali nel Mediterraneo, per raccogliere i migranti in prossimità delle acque territoriali della Libia, al di là delle intenzioni, ha prodotto questi effetti: per salire su una imbarcazione, visto il minor numero di miglia marine da percorrere, si paga di meno, circa a 800 euro a testa […] il ticket ridotto, la distanza inferiore da coprire e l’affidamento sulle navi italiane fanno sì che le barche degli scafisti siano ancora più precarie, e ciò aumenta la possibilità di affondamenti: i morti in mare non sono diminuiti, e sarebbe onesto stimarne l’entità dall’avvio dell’operazione; la maggiore facilità di arrivo in Italia ha moltiplicato gli affari dei trafficanti”.
Cosa fare dunque? La risposta “a destra” è sempre la stessa: accordi bilaterali (con chi e a che prezzo in termini di “diritti umani”, non sembra interessare più di tanto) e richiesta di intervento dell’Europa.
Cosa vogliamo dall’Europa e che cosa (non) fa Frontex
Ciclicamente torna la polemica sul ruolo e sul peso che ha Frontex, l’istituzione della Ue che dovrebbe coordinare il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri della Ue, nonché portare avanti i rapporti diplomatici con i Paesi confinanti per quel che concerne i meccanismi di ingresso e rimpatrio degli extracomunitari. L’organismo ha a disposizione un budget, cosa che rappresenta un primo oggetto di polemica: all’Italia sono andati in questi mesi poco più di 12 milioni di euro (7 annuali, più altri 5 per le operazioni speciali fino ad aprile), Mare Nostrum, come detto, costa quasi 10 milioni al mese. La sede centrale di Frontex è poi in Polonia, scelta avversata dall’Italia (che chiede “almeno” lo sdoppiamento della sede). Tornando al pattugliamento delle coste, il problema è che Mare Nostrum non è sotto l’egida Frontex, bensì opera “in sinergia e congiuntamente” con i programmi dell’organismo Ue (tra l’altro anche con Eurosur, il sistema di sorveglianza che prevede l’uso di droni, del quale si sono smarrite le tracce begli ultimi mesi…).
Finora sono naufragati i tentativi italiani di “fare in modo che Frontex assuma la regia ed il coordinamento non solo delle attività di pattugliamento del Mediterraneo, ma anche delle attività di cooperazione operativa con i Paesi di origine e di transito dei flussi” (che poi era l’intenzione espressa alla Camera da Alfano solo qualche settimana fa). Alla prima risposta che suonava come un beffardo “l’Italia ci dica cosa vuole da noi”, è seguito un invito ben più articolato e riassumibile intorno a 3 punti: la Ue si faccia carico dei costi di gestione di Mare Nostrum, amplii e rafforzi il ruolo di Frontex e si impegni direttamente nelle operazioni gestite dall’agenzia europea per il controllo della frontiera marittima italiana, snellisca e velocizzi ‘esame della decisione delle istanze di protezione internazionale. Questioni tutte sul tappeto, che saranno riprese, si spera, nel semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea. (Solo per inciso, vale la pena di ribadire che quella dell’Europa “che non ci aiuta” resta comunque una favoletta, dal momento che è in piena attuazione il “Programma Generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori”, che si sostanzia di 4 fondi: per Rifugiati, per rimpatri, per l’integrazione e, appunto, per le frontiere esterne).
L’emergenza sanitaria (che non c’è)
Non contenti della speculazione politica su tali aspetti della questione immigrazione, “noi italiani” abbiamo sentito il bisogno di rilanciare l’allarme sanitario, prefigurando agli occhi dell’opinione pubblica l’arrivo di calamità ed epidemie. Così un ammalato di varicella era diventato “untore del vaiolo” e si è provato a speculare anche alcuni migranti affetti da scabbia (determinata dalle condizioni igieniche in cui avevano vissuto nelle ultime settimane) o su un improbabile “allarme ebola”. Ecco, come confermato più e più volte da fonti ufficiali, vale la pena di ribadire che non c’è alcun allarme sanitario all’orizzonte. E questa è solo l’ennesima bufala. Come quella dell’invasione / aggressione, di cui parliamo qui.
Fonte: fanpage.it
Iscriviti a:
Post (Atom)