Oggi parliamo di petrolio e del Cilento. E parliamo anche di cittadini che si ribellano. Si ribellano alla decisione della Royal Dutch Shell, regina dell'oro nero, la quale vuole cercare il greggio proprio in Campania.
Dopo aver inoltrato la richiesta e dopo aver ricevuto risposta positiva dal Ministero dello Sviluppo Economico, l'azienda ha cominciato l'esplorazione – per la verifica di eventuali giacimenti - della zona tra i monti della Maddalena, al limite tra la Campania e la Basilicata, lungo il confine con il Parco Nazionale del Cilento e Vallo del Diano. L’area che vorrebbero trivellare, è di ben 211 km quadrati.
I vertici aziendali rassicurano, affermando che, per adesso, il progetto di esplorazione (denominato “Monte Cavallo”) sarà solo “teorico”, analizzando dati di archivio e rielaborandoli per cercare di ottenere delle informazioni preziose sulla presenza o meno del greggio.
Come ci fa notare un articolo comparso sul periodico on line Green Style, però: “l’istanza di ricerca di permesso in terra ferma si chiama ‘Monte Cavallo’ ed è stata presentata al Ministero nel 2005. Quello che né Voser (amministratore delegato della Shell, ndr.) né l’Agi dicono, però, è che l’istanza ‘Monte Cavallo’ è letteralmente confinante con il Parco nazionale del Cilento e Valle di Diano. Basta sovrapporre la mappa del parco con quella del permesso di ricerca depositata all’Ufficio Nazionale Idrocarburi e Miniere, per vedere che la zona dove Shell vorrebbe fare i pozzi esplorativi e poi, in caso trovi il petrolio o il gas, i pozzi di estrazione veri e propri è incredibilmente vicina. Voser afferma di non sapere se il Ministero abbia già dato l’ok al progetto petrolifero a due passi dal parco nazionale”.
In tutto questo ci dimenticavamo dei protagonisti principali di questa storia: i cittadini, le persone che stanno lottando per non avere questi lavori nel loro ‘cortile di casa’. Spalleggiati dal Presidente del Parco Nazionale del Cilento e Vallo del Diano, Amilcare Troiano, e dal Comitato No al Petrolio, i sindaci dei comuni interessati continuano ad opporsi. I loro principali argomenti si basano sui rischi ambientali delle zone interessate (frane, falde acquifere, diversi torrenti) e sugli incidenti che si sono già verificati in passato, come quello più recente del 10 marzo 2012 avvenuto all’oleodotto Eni Viggiano-Taranto, che ha provocato la contaminazione di 10.000 metri quadri di terreno.
La Shell, si chiederanno in molti a questo punto, li avrà ascoltati? Neanche per sogno, come ci racconta Debora Billi dalle pagine di Blogosfere. Poche settimane fa, infatti, i sindaci ‘No-Shell’: "Decidono di andare a farsi sentire alla Commissione Ambiente della Regione Campania, per decidere il da farsi. E cosa fa la Shell? Li convoca graziosamente al suo cospetto. Lo stesso giorno. Da un'altra parte. Si sa, la Shell è impegnatissima e ha trovato due minuti solo quel giorno lì, cosicché i sindaci se vogliono essere ascoltati dovranno presentarsi puntuali col cappello in mano e soprattutto rinunciando all'audizione in Regione nonché al pronunciamento preventivo dei propri consigli comunali, che ritengono fondamentale".
Da sottolineare, però, come il Cilento non sia nuovo a questi progetti di trivellazione, visto che la Texaco, società petrolifera americana, quindici anni fa presentò un progetto simile a quello della Shell, che prevedeva la costruzione del pozzo nel Vallone Bersaglio, nel comune di Sala Consilina, con profondità 4.000 metri. Davanti alle remore dei numerosi esperti del settore - che manifestavano evidenti dubbi sulla fattibilità dell'opera per uno dei motivi già elencati, ossia quello di possibili piene (essendo una valle torrentizia) - la Texaco caldeggiò una proposta di sistemazione idraulica che avrebbe deviato il corso dell’eventuale esondazione nel caso di eventi piovosi straordinari. Fu cacciata a pedate da sindaci, cittadini e comitati civici. Secondo alcuni l'urlo che risuonò all'epoca fu lo stesso di quello dei valsusini: “Non toccate la nostra valle”.
Fonte: il Cambiamento
sabato 31 marzo 2012
martedì 27 marzo 2012
Cile, neonazisti torturano a morte un ragazzo di 24 anni, Daniel, perché gay
Il Cile è sotto choc. Daniel Zamudio, un ragazzo di 24 anni, è stato torturato a morte perché gay. Il ragazzo era andato il 3 marzo al concerto di Ricky Martin, al termine della serata si era addormentato su una panchina di un parco prima di essere aggredito e torturato per ore. Sono durate circa sei ore le torture, è stato colpito da pietre e sfregiato con un collo di una bottiglia rotta, i quattro criminali, di un’età compresa tra i 25 e i 19 anni, hanno disegnato una svastica sul petto. Si è visto staccare un pezzo di orecchio, ha riportato gravi ustioni ad una gamba. Per Daniel, che da circa un mese era in coma, è stata dichiarata la morte cerebrale, ma «Sta diventando un simbolo», come annunciano le associazioni contro le discriminazioni sessuali in Cile e in America Latina, dove l’omofobia purtroppo è molto diffusa. La polizia ha fermato tre dei quattro sospettati: Alejandro Axel Angulo Tapia di 26 anni, Raúl Alfonso López Fuentes di 25 anni, Patricio Iván Ahumada Garay di 25 anni e Fabián Alexis Mora Mora di 19. Rischiano fino a 40 anni di carcere.
Fonte: The Monitor
Ringrazio Ali Moda per la segnalazione
Fonte: The Monitor
Ringrazio Ali Moda per la segnalazione
domenica 25 marzo 2012
Cosa finanziamo quando facciamo benzina
Guardate la tabella:
Questo per via delle accise (imposta sulla fabbricazione e vendita di prodotti di consumo) istituite nel corso degli anni allo scopo di finanziare diverse emergenze. Ma come mai dobbiamo finanziare emergenze di tanti decenni fa?
Questo per via delle accise (imposta sulla fabbricazione e vendita di prodotti di consumo) istituite nel corso degli anni allo scopo di finanziare diverse emergenze. Ma come mai dobbiamo finanziare emergenze di tanti decenni fa?
venerdì 23 marzo 2012
L'Italia è ancora una repubblica fondata sul lavoro?
Lo sciopero indetto dalla Fiom lo scorso 9 marzo si fondava sull'ammonimento che il lavoro è un bene comune, da rivendicare con intransigenza, perchè particolarmente maltrattato in questa contingenza storica. Non si può non essere d'accordo, il lavoro è un bene comune, ma non è un bene esistente in natura, come l'acqua, è un bene comune in quanto istituito dalla Costituzione come supremo bene pubblico repubblicano.
Il principio lavorista, generato dall'art. 1 della Costituzione (l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro) costituisce uno dei cinque principi fondamentali che reggono l'edificio delle Costituzione (gli altri – secondo la nota definizione di Costantino Mortati - sono il principio democratico (art. 1), il principio personalista (art. 2 e 3), il principio pluralista (art.2), il principio internazionalista o supernazionale (artt. 10 e 11).
Il lavoro è posto a fondamento della Repubblica. Non si tratta di una espressione lieve o banale. Basti pensare quanto essa appare polemica, oggi, rispetto ad un modello economico-sociale in cui tutti gli indici di riferimento sono fondati sul mercato e sulla proprietà privata. Né si tratta di una scelta di classe a favore dei lavoratori dipendenti, quale avrebbe potuto essere adombrata nell’espressione “Repubblica democratica di lavoratori” proposta dai partiti di sinistra nell’Assemblea costituente. In realtà la dignità del lavoro è strettamente collegata ai diritti della persona. Di qui l’affermazione del diritto-dovere al lavoro, riconosciuto a tutti i cittadini, e del dovere della Repubblica di renderne effettivo l’esercizio (art. 4). Di qui il principio, contenuto nell’art. 35, secondo cui “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme.”
Il bene comune lavoro richiede che le persone siano occupate in modo qualitativamente accettabile e coerente con il pieno rispetto dei diritti costituzionali. Il lavoro come bene comune comporta la tutela di questo bene sia nei confronti del capitale privato (proprietà), sia nei confronti del sistema politico (governo) che del capitale privato sempre più frequentemente è succube. E' stato osservato, che: “il fine precipuo della difesa del lavoro come bene comune è quello di consentire ai lavoratori l'accesso ad una esistenza libera e dignitosa nell'ambito di una produzione ecologicamente sostenibile” (Mattei, 2011).
Non v'è dubbio che da lungo tempo il bene comune lavoro è sottoposto ad un attacco durissimo da una politica assoggettata ai dictat del potere privato che vuole smantellare i presidi che la legge a posto a tutela della dignità del lavoro. L' aggressione al bene della dignità del lavoro è avvenuta attraverso la precarizzazione crescente dei rapporti di lavoro e la demolizione delle garanzie e delle tutele giurisdizionali, fino ad arrivare all'art.8 del decreto legge della manovra dell’ agosto 2011 (D.L. 13/8/2011 n. 138 conv. convertito con la L. 14/9/2011 n. 148), con il quale la tutela della dignità del lavoro e dei lavoratori è stata sottratta all'impero della legge e consegnata alla dinamica dei rapporti di forza, consentendo a soggetti privati la facoltà di dettare regole, in deroga a quelle leggi dello Stato, attraverso le quali si è incarnato il principio lavorista.
Adesso con la riforma Monti-Fornero l'aggressione al bene della dignità del lavoro fa un ulteriore passo avanti e raggiunge quegli obiettivi che il Governo Berlusconi aveva perseguito invano, trovando uno sbarramento insuperabile nello sciopero generale indetto dalla CGIL il 23 marzo 2002. La sostanziale abrogazione dell'art. 18, annunziata nel piano del governo sul lavoro, al di là delle chiacchiere sulla tutela dei lavoratori da comportamenti discriminatori, si risolve nello smantellamento, puro e semplice della tutela pubblica contro il licenziamento illegittimo, in violazione della costituzione e della stessa Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, che esige (art. 30) la tutela dei lavoratori contro ogni licenziamento ingiustificato.
Il problema non è che possono aumentare i licenziamenti, come paventano alcuni, in una situazione già difficile per l'occupazione, il problema è che cambia la natura del rapporto di lavoro. L'art. 18 è una norma di chiusura, rappresenta la sanzione che tiene in piedi l'intero edificio dei diritti dei lavoratori. Se si toglie la sanzione, l'edificio crolla e lo Statuto dei lavoratori che definisce i diritti dei lavoratori ed i limiti del potere privato diviene un pezzo di carta. Quando fu varato lo Statuto dei lavoratori, il commento unanime fu che finalmente la Costituzione entrava in fabbrica. Che finalmente anche i lavoratori acquistavano la libertà di esprimere le proprie opinioni, di iscriversi al sindacato da loro scelto, di non essere sottoposti alle vessazioni di polizie private, di non essere controllati nelle loro opinioni politiche, etc. Tutto questo è destinato a sparire, la dignità del lavoratore ed il rispetto dei suoi diritti costituzionali, diventeranno merce di scambio da inserire nella contabilità dei costi e ricavi. La cancellazione dell'art. 18 (cioè della sanzione contro i comportamenti illegittimi del potere privato) espelle la Costituzione dai territori che sono dominio del potere privato e trasforma il lavoratore in un non-cittadino, realizzando la profezia nera di Marchionne, che aveva annunziato l'avvento di una nuova era.
Siamo proprio sicuri che è di questo che l'Italia ha bisogno?
Fonte: Articolo 21.info
Il principio lavorista, generato dall'art. 1 della Costituzione (l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro) costituisce uno dei cinque principi fondamentali che reggono l'edificio delle Costituzione (gli altri – secondo la nota definizione di Costantino Mortati - sono il principio democratico (art. 1), il principio personalista (art. 2 e 3), il principio pluralista (art.2), il principio internazionalista o supernazionale (artt. 10 e 11).
Il lavoro è posto a fondamento della Repubblica. Non si tratta di una espressione lieve o banale. Basti pensare quanto essa appare polemica, oggi, rispetto ad un modello economico-sociale in cui tutti gli indici di riferimento sono fondati sul mercato e sulla proprietà privata. Né si tratta di una scelta di classe a favore dei lavoratori dipendenti, quale avrebbe potuto essere adombrata nell’espressione “Repubblica democratica di lavoratori” proposta dai partiti di sinistra nell’Assemblea costituente. In realtà la dignità del lavoro è strettamente collegata ai diritti della persona. Di qui l’affermazione del diritto-dovere al lavoro, riconosciuto a tutti i cittadini, e del dovere della Repubblica di renderne effettivo l’esercizio (art. 4). Di qui il principio, contenuto nell’art. 35, secondo cui “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme.”
Il bene comune lavoro richiede che le persone siano occupate in modo qualitativamente accettabile e coerente con il pieno rispetto dei diritti costituzionali. Il lavoro come bene comune comporta la tutela di questo bene sia nei confronti del capitale privato (proprietà), sia nei confronti del sistema politico (governo) che del capitale privato sempre più frequentemente è succube. E' stato osservato, che: “il fine precipuo della difesa del lavoro come bene comune è quello di consentire ai lavoratori l'accesso ad una esistenza libera e dignitosa nell'ambito di una produzione ecologicamente sostenibile” (Mattei, 2011).
Non v'è dubbio che da lungo tempo il bene comune lavoro è sottoposto ad un attacco durissimo da una politica assoggettata ai dictat del potere privato che vuole smantellare i presidi che la legge a posto a tutela della dignità del lavoro. L' aggressione al bene della dignità del lavoro è avvenuta attraverso la precarizzazione crescente dei rapporti di lavoro e la demolizione delle garanzie e delle tutele giurisdizionali, fino ad arrivare all'art.8 del decreto legge della manovra dell’ agosto 2011 (D.L. 13/8/2011 n. 138 conv. convertito con la L. 14/9/2011 n. 148), con il quale la tutela della dignità del lavoro e dei lavoratori è stata sottratta all'impero della legge e consegnata alla dinamica dei rapporti di forza, consentendo a soggetti privati la facoltà di dettare regole, in deroga a quelle leggi dello Stato, attraverso le quali si è incarnato il principio lavorista.
Adesso con la riforma Monti-Fornero l'aggressione al bene della dignità del lavoro fa un ulteriore passo avanti e raggiunge quegli obiettivi che il Governo Berlusconi aveva perseguito invano, trovando uno sbarramento insuperabile nello sciopero generale indetto dalla CGIL il 23 marzo 2002. La sostanziale abrogazione dell'art. 18, annunziata nel piano del governo sul lavoro, al di là delle chiacchiere sulla tutela dei lavoratori da comportamenti discriminatori, si risolve nello smantellamento, puro e semplice della tutela pubblica contro il licenziamento illegittimo, in violazione della costituzione e della stessa Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, che esige (art. 30) la tutela dei lavoratori contro ogni licenziamento ingiustificato.
Il problema non è che possono aumentare i licenziamenti, come paventano alcuni, in una situazione già difficile per l'occupazione, il problema è che cambia la natura del rapporto di lavoro. L'art. 18 è una norma di chiusura, rappresenta la sanzione che tiene in piedi l'intero edificio dei diritti dei lavoratori. Se si toglie la sanzione, l'edificio crolla e lo Statuto dei lavoratori che definisce i diritti dei lavoratori ed i limiti del potere privato diviene un pezzo di carta. Quando fu varato lo Statuto dei lavoratori, il commento unanime fu che finalmente la Costituzione entrava in fabbrica. Che finalmente anche i lavoratori acquistavano la libertà di esprimere le proprie opinioni, di iscriversi al sindacato da loro scelto, di non essere sottoposti alle vessazioni di polizie private, di non essere controllati nelle loro opinioni politiche, etc. Tutto questo è destinato a sparire, la dignità del lavoratore ed il rispetto dei suoi diritti costituzionali, diventeranno merce di scambio da inserire nella contabilità dei costi e ricavi. La cancellazione dell'art. 18 (cioè della sanzione contro i comportamenti illegittimi del potere privato) espelle la Costituzione dai territori che sono dominio del potere privato e trasforma il lavoratore in un non-cittadino, realizzando la profezia nera di Marchionne, che aveva annunziato l'avvento di una nuova era.
Siamo proprio sicuri che è di questo che l'Italia ha bisogno?
Fonte: Articolo 21.info
giovedì 22 marzo 2012
Venezia continua a sprofondare
L’acqua che gira tra i famosi canali di Venezia diventa ogni anno più alta e non solo a causa dell’innalzamento dei mari.
Una nuova ricerca infatti, che contraddice precedenti lavori, ha stabilito che la storica città sta lentamente affossandosi e addirittura si sta inclinando verso est.
In 20 anni 8 centimetri
“Venezia sta continuamente subsidendo ad una velocità di 2 mm all’anno”, ha detto Yehuda Bock, un geodetico della Scripps Institution of Oceanography alla University of California a San Diego e autore della ricerca. Per i geologi il termine “subsidenza” indica un abbassamento del suolo legato a fattori diversi. Se, ad esempio, si estrae troppa acqua da terreni di cui ne sono ricchi i sedimenti che contengono il liquido si compattano e quindi vi è un abbassamento del terreno.
Ma le cause della subsidenza possono essere molteplici. “L’effetto che sta interessando Venezia è molto piccolo –ha spiegato il ricercatore-, ma è comunque importante”. Dato che il livello del mare si sta innalzando ad un tasso di 2 mm all’anno, il fenomeno dell’innalzamento dell’acqua marina viene praticamente raddoppiato dalla subsidenza. “In 20 anni l’acqua salirà di circa 8 cm, un valore che non è di poco conto”, ha sottolineato Bock.
La città si inclina
Le ricerche di Bock sono state condotte con la collaborazione del sistema “Tele-Rilevamento Europa”, una società italiana che misura con estrema precisione le deformazioni del suolo utilizzando dati GPS e dati provenienti da Radar spaziali che per questo lavoro seguivano da vicino la laguna di Venezia. Il primi strumenti definiscono con estrema precisione la quota di un punto, mentre i secondi tengono sotto controllo la quota di certi punti rispetto ad altri. La ricerca è stata condotta dal 2000 al 2011. Essa ha permesso non solo di evidenziare un abbassamento della laguna, ma anche un movimento più accelerato a sud rispetto a nord. L’elaborazione completa delle informazioni raccolte ha comunque permesso di capire che la laguna nel suo insieme si sta inclinando verso est.
Una riflessione è d’obbligo
Una situazione, quella descritta da Bock, che deve richiamare fortemente l’attenzione sulla città, in quanto dopo le ricerche condotte negli anni Novanta che dicevano che la subsidenza si era fermata, si era un po’ affievolita. Se prima di allora la subsidenza fu imputata al forte emungimento delle acque dalle falde sotterranee e quindi si cercò di limitarne l’uso, la subsidenza attuale deve essere legata a fenomeni naturali, quali lo scontro tra la placca adriatica con gli Appennini, che fa comunque abbassare la città.
Poiché negli ultimi anni l’acqua è arrivata sempre più alta e con sempre maggior frequenza nel cuore della città, questi dati devono assolutamente far riflettere.
Fonte: Focus.it
In 20 anni 8 centimetri
“Venezia sta continuamente subsidendo ad una velocità di 2 mm all’anno”, ha detto Yehuda Bock, un geodetico della Scripps Institution of Oceanography alla University of California a San Diego e autore della ricerca. Per i geologi il termine “subsidenza” indica un abbassamento del suolo legato a fattori diversi. Se, ad esempio, si estrae troppa acqua da terreni di cui ne sono ricchi i sedimenti che contengono il liquido si compattano e quindi vi è un abbassamento del terreno.
Ma le cause della subsidenza possono essere molteplici. “L’effetto che sta interessando Venezia è molto piccolo –ha spiegato il ricercatore-, ma è comunque importante”. Dato che il livello del mare si sta innalzando ad un tasso di 2 mm all’anno, il fenomeno dell’innalzamento dell’acqua marina viene praticamente raddoppiato dalla subsidenza. “In 20 anni l’acqua salirà di circa 8 cm, un valore che non è di poco conto”, ha sottolineato Bock.
La città si inclina
Le ricerche di Bock sono state condotte con la collaborazione del sistema “Tele-Rilevamento Europa”, una società italiana che misura con estrema precisione le deformazioni del suolo utilizzando dati GPS e dati provenienti da Radar spaziali che per questo lavoro seguivano da vicino la laguna di Venezia. Il primi strumenti definiscono con estrema precisione la quota di un punto, mentre i secondi tengono sotto controllo la quota di certi punti rispetto ad altri. La ricerca è stata condotta dal 2000 al 2011. Essa ha permesso non solo di evidenziare un abbassamento della laguna, ma anche un movimento più accelerato a sud rispetto a nord. L’elaborazione completa delle informazioni raccolte ha comunque permesso di capire che la laguna nel suo insieme si sta inclinando verso est.
Una riflessione è d’obbligo
Una situazione, quella descritta da Bock, che deve richiamare fortemente l’attenzione sulla città, in quanto dopo le ricerche condotte negli anni Novanta che dicevano che la subsidenza si era fermata, si era un po’ affievolita. Se prima di allora la subsidenza fu imputata al forte emungimento delle acque dalle falde sotterranee e quindi si cercò di limitarne l’uso, la subsidenza attuale deve essere legata a fenomeni naturali, quali lo scontro tra la placca adriatica con gli Appennini, che fa comunque abbassare la città.
Poiché negli ultimi anni l’acqua è arrivata sempre più alta e con sempre maggior frequenza nel cuore della città, questi dati devono assolutamente far riflettere.
Fonte: Focus.it
mercoledì 21 marzo 2012
Il 41 bis e il possibile ritorno alle carceri di Pianosa e dell’Asinara
Riaprire le carceri di Pianosa e dell’Asinara. E’ un affondo non proprio a sorpresa quello che ha lanciato il Ministro della Giustizia Paola Severino, durante l’audizione in commissione parlamentare antimafia, circa il collocamento dei detenuti sottoposti a regime stretto previsto dall’articolo 41 bis: le due carceri insulari tornerebbero così ad essere le strutture di massima sicurezza che erano diventate nel ’92.
E se l’ipotesi di una loro possibile riapertura per i detenuti al 41 bis si era già affacciata periodicamente negli ultimi anni, ora il Guardasigilli rilancia l’idea. «Occorre compiere una approfondita riflessione sull’opportunità di riaprire, previa idonea ristrutturazione, gli istituti presenti nelle isole di Asinara e soprattutto Pianosa – ha infatti affermato il ministro – che per sua dimensione e configurazione strutturale si presta al contempo ad accogliere un elevato numero di ristretti e a garantire tra gli stessi la massima separazione, nel rispetto rigoroso dei diritti alla socialità». Unico vincolo alla riapertura potrebbero essere gli elevati costi di ristrutturazione della struttura, sui quali «il governo ha avviato una approfondita riflessione».
Ma il muro di opposizione che ha incontrato la proposta è stato subito compatto, soprattutto da parte di chi ha visto nella riapertura delle due carceri di Pianosa e dell’Asinara un impedimento allo sviluppo intrapreso rispettivamente dalle Regioni Toscana e Sardegna. Il presidente della regione Sardegna Cappellacci ha infatti definito la proposta “irricevibile”, sottolineando come la regione si stia muovendo attualmente in una direzione del tutto diversa, «quella di uno sviluppo turistico basato su progetti sostenibili e compatibili con l’ambiente: vogliamo che l’Asinara diventi l’emblema di uno sviluppo che porti non solo benessere economico ma anche un miglioramento della qualità della vita nel rispetto dei valori della società sarda. Non accetteremo che tali attività siano messe in discussione in nome di proposte anacronistiche». Un parere condiviso anche da Maria Grazia Caligaris, ex consigliere regionale e presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, secondo cui la proposta «danneggia la Sardegna riconfigurandola come isola-carcere» e spinge ad un «uso del territorio che favorisce lo spopolamento». «La guardasigilli non sembra nemmeno sfiorata dal fatto che Pianosa sia un Parco nazionale – aggiunge invece in una nota Umberto Mazzantini, responsabile Isole minori di Legambiente -, tutelata da zone di protezione speciale dell’Ue e che il governo abbia deciso di chiudere il carcere perché considerato già allora anti-economico e non più sicuro per il 41 bis di carceri più moderni sul continente. A Pianosa – continua ancora la nota di Legambiente – non ci sono fognature, il Parco ha bonificato decine di discariche, le catacombe romane erano invase dai liquami del vecchio carcere che aveva inquinato anche le falde idriche, le costruzioni e il ‘muro difensivo’ cadono a pezzi».
Scelte alla fine degli anni Settanta perché vi venissero rinchiusi i terroristi, alle carceri di Pianosa e dell’Asinara nel ’92 – con un provvedimento d’urgenza poche ore dopo la strage di via d’Amelio – vennero assegnati i boss mafiosi in regime di massima sicurezza: le due strutture vennero poi chiuse nel 1998. Chiuse, ha ricordato oggi il presidente dell’associazione Antigone Onlus Patrizio Gonnella che si batte per i diritti nelle carceri « per evidenti violazioni dei diritti umani. La corte europea dei diritti umani di Strasburgo condannò per la prima volta l’Italia per trattamento inumano e degradante nei confronti di un detenuto proprio in seguito a due casi di reclusi a Pianosa». Secondo Gonnella, «in luoghi così lontani dagli sguardi è più facile che ci siano tentazioni di soprusi».
Fonte: Diritto di critica
E se l’ipotesi di una loro possibile riapertura per i detenuti al 41 bis si era già affacciata periodicamente negli ultimi anni, ora il Guardasigilli rilancia l’idea. «Occorre compiere una approfondita riflessione sull’opportunità di riaprire, previa idonea ristrutturazione, gli istituti presenti nelle isole di Asinara e soprattutto Pianosa – ha infatti affermato il ministro – che per sua dimensione e configurazione strutturale si presta al contempo ad accogliere un elevato numero di ristretti e a garantire tra gli stessi la massima separazione, nel rispetto rigoroso dei diritti alla socialità». Unico vincolo alla riapertura potrebbero essere gli elevati costi di ristrutturazione della struttura, sui quali «il governo ha avviato una approfondita riflessione».
Ma il muro di opposizione che ha incontrato la proposta è stato subito compatto, soprattutto da parte di chi ha visto nella riapertura delle due carceri di Pianosa e dell’Asinara un impedimento allo sviluppo intrapreso rispettivamente dalle Regioni Toscana e Sardegna. Il presidente della regione Sardegna Cappellacci ha infatti definito la proposta “irricevibile”, sottolineando come la regione si stia muovendo attualmente in una direzione del tutto diversa, «quella di uno sviluppo turistico basato su progetti sostenibili e compatibili con l’ambiente: vogliamo che l’Asinara diventi l’emblema di uno sviluppo che porti non solo benessere economico ma anche un miglioramento della qualità della vita nel rispetto dei valori della società sarda. Non accetteremo che tali attività siano messe in discussione in nome di proposte anacronistiche». Un parere condiviso anche da Maria Grazia Caligaris, ex consigliere regionale e presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, secondo cui la proposta «danneggia la Sardegna riconfigurandola come isola-carcere» e spinge ad un «uso del territorio che favorisce lo spopolamento». «La guardasigilli non sembra nemmeno sfiorata dal fatto che Pianosa sia un Parco nazionale – aggiunge invece in una nota Umberto Mazzantini, responsabile Isole minori di Legambiente -, tutelata da zone di protezione speciale dell’Ue e che il governo abbia deciso di chiudere il carcere perché considerato già allora anti-economico e non più sicuro per il 41 bis di carceri più moderni sul continente. A Pianosa – continua ancora la nota di Legambiente – non ci sono fognature, il Parco ha bonificato decine di discariche, le catacombe romane erano invase dai liquami del vecchio carcere che aveva inquinato anche le falde idriche, le costruzioni e il ‘muro difensivo’ cadono a pezzi».
Scelte alla fine degli anni Settanta perché vi venissero rinchiusi i terroristi, alle carceri di Pianosa e dell’Asinara nel ’92 – con un provvedimento d’urgenza poche ore dopo la strage di via d’Amelio – vennero assegnati i boss mafiosi in regime di massima sicurezza: le due strutture vennero poi chiuse nel 1998. Chiuse, ha ricordato oggi il presidente dell’associazione Antigone Onlus Patrizio Gonnella che si batte per i diritti nelle carceri « per evidenti violazioni dei diritti umani. La corte europea dei diritti umani di Strasburgo condannò per la prima volta l’Italia per trattamento inumano e degradante nei confronti di un detenuto proprio in seguito a due casi di reclusi a Pianosa». Secondo Gonnella, «in luoghi così lontani dagli sguardi è più facile che ci siano tentazioni di soprusi».
Fonte: Diritto di critica
martedì 20 marzo 2012
Gloria, condannata a morire
Ho il terrore che mi rimandino in Nigeria. Non potrei curarmi. Mi lascerebbero morire, in fretta. Ma anche in questo posto non resisto: ho l’Aids e un fibroma, sono obesa e anemica, la tiroide non funziona bene.
Così aveva detto Gloria ad una giornalista entrata in febbraio nel lager bolognese di via Mattei.
E’ stata deportata, con l’inganno, qualche giorno fa…
Fonte: noinonsiamocomplici
Così aveva detto Gloria ad una giornalista entrata in febbraio nel lager bolognese di via Mattei.
E’ stata deportata, con l’inganno, qualche giorno fa…
Fonte: noinonsiamocomplici
I blog italiani della piattaforma Blogger sono stati reindirizzati ad un dominio .it
Non so se avete notato, ma da qualche giorno migliaia di blog italiani della piattaforma Blogger (compreso Informare è un dovere) sono stati reindirizzati al dominio "blogspot.it". Questi fino a pochi giorni fa avevano il dominio internazionale ".com". Tutto questo per permettere "una maggiore flessibilità nell'adeguamento di RICHIESTE DI RIMOZIONE VALIDE CONFORMI ALLE LEGGI LOCALI".
Questa modifica mi puzza fortemente di censura. Quanto accaduto apre ufficialmente le porte al controllo dei contenuti dei blog italiani.
Visto su Niente Barriere
Visto su Niente Barriere
lunedì 19 marzo 2012
Ricordiamo don Peppe Diana
Sono trascorsi 18 anni dall'uccisione di don Peppe Diana, il parroco assassinato per mano della camorra. Era il 19 marzo del 1994. Don Peppe aveva deciso di rimanere a Casal di Principe, dove portava avanti una lotta ai clan fatta di emancipazione culturale e risveglio delle coscienze.
Gli spararono in faccia. Fu la camorra a ucciderlo. Sognava una Casal di Principe non più in ginocchio davanti alla camorra, in un posto dove anche certi sogni sono proibiti.
'Per amore del mio popolo non tacerò' (don Peppe Diana)
'Per amore del mio popolo non tacerò' (don Peppe Diana)
domenica 18 marzo 2012
Africa. Ecco dove finiscono i nostri rifiuti elettronici
In barba a tutti i divieti, l'esportazione illegale di rifiuti elettronici pericolosi procede, anzi è in aumento. La destinazione privilegiata di questi traffici sono i paesi dell'Africa occidentale, in particolare Benin, Costa d'Avorio, Ghana, Liberia e Nigeria, mentre la fonte è sopratutto il Vecchio Continente.
All'Europa - alle prese proprio in questi mesi con la revisione della Direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, nel tentativo di migliorare il recupero dei componenti di elettrodomestici, cellulari e computer e di contrastare i traffici illegali - si deve infatti l'85% dei container che arrivano in Ghana contro il 4% di provenienza asiatica.
Più in generale, dai paesi europei, attraverso i porti italiani e del nord Europa, sono approdate in quelli africani circa 220mila tonnellate di prodotti elettrici ed elettronici solo nel 2009, secondo un recente studio del Programma Ambiente delle Nazioni Unite dal titolo Where are WEee in Africa?
Circa un terzo di questa merce è diretta al recupero e al riciclaggio, ma la maggior parte, dopo aver viaggiato tra i materiali legittimi per sfuggire ai controlli doganali, finisce in discariche non controllate, miniere abbandonate e cave di ghiaia. Non senza prima aver garantito profitti a chi gestisce illegalmente viaggi e smaltimento e a chi, in Europa, riesce ad eludere in questo modo i costi delle normative ambientali.
A pagarne le spese, i territori e chi li abita. Per arrivare a recuperare il rame da avviare al riciclaggio, gli oggetti vengono bruciati, rilasciando tossine e sostanze inquinanti che vanno a contaminare il suolo, l'aria e l'acqua, oltre a danneggiare la salute di chi in quelle discariche lavora. Bambini in molti casi, alcuni di appena cinque anni, secondo il rapporto Onu, che maneggiano per ore rottami contenenti piombo, mercurio e sostanze nocive per il sistema endocrino.
Su questo tema è in corso fino ad oggi, 16 marzo, a Nairobi, in Kenya, il Forum pan-africano sull'E-Waste. Il tentativo è quello di riunire governi dell'Africa, organizzazioni internazionali, mondo accademico e settore privato per individuare soluzioni possibili ai traffici illegali e un quadro di gestione del problema applicabile nel contesto africano. Da una parte, quindi, interventi per rafforzare la collaborazione nazionale, regionale e internazionale, così da impedire l'importazione di rifiuti elettronici pericolosi e non destinati al recupero e al riciclaggio, dall'altra strategie di raccolta, trattamento e smaltimento.
Un percorso che deve però incontrarsi con uno sforzo analogo da parte di chi quegli scarti li produce. Il Parlamento europeo ha già approvato in Plenaria la proposta di revisione della direttiva RAEE (rifiuti di apparecchi elettrici ed elettronici) che alza l'asticella per gli obiettivi di raccolta di ogni stato membro: entro il 2016 i paesi Ue dovranno riuscire a raccogliere, ogni anno, 45 tonnellate di rifiuti di prodotti elettronici per ogni 100 tonnellate di beni messi sul mercato nel triennio precedente, così da aumentare le percentuali di recupero e riciclaggio.
Ma è soprattutto a monte che dovremmo guardare, cioè prima che un apparecchio venga classificato come un insieme di materiali di scarto. Il che significa anche non cedere alla continua sostituzione di "modello nuovo per modello nuovissimo" e recuperare l'abitudine del riparare quando si può. In fondo i rifiuti gestiti meglio sono quelli che non produciamo.
Fonte: il Cambiamento
All'Europa - alle prese proprio in questi mesi con la revisione della Direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, nel tentativo di migliorare il recupero dei componenti di elettrodomestici, cellulari e computer e di contrastare i traffici illegali - si deve infatti l'85% dei container che arrivano in Ghana contro il 4% di provenienza asiatica.
Più in generale, dai paesi europei, attraverso i porti italiani e del nord Europa, sono approdate in quelli africani circa 220mila tonnellate di prodotti elettrici ed elettronici solo nel 2009, secondo un recente studio del Programma Ambiente delle Nazioni Unite dal titolo Where are WEee in Africa?
Circa un terzo di questa merce è diretta al recupero e al riciclaggio, ma la maggior parte, dopo aver viaggiato tra i materiali legittimi per sfuggire ai controlli doganali, finisce in discariche non controllate, miniere abbandonate e cave di ghiaia. Non senza prima aver garantito profitti a chi gestisce illegalmente viaggi e smaltimento e a chi, in Europa, riesce ad eludere in questo modo i costi delle normative ambientali.
A pagarne le spese, i territori e chi li abita. Per arrivare a recuperare il rame da avviare al riciclaggio, gli oggetti vengono bruciati, rilasciando tossine e sostanze inquinanti che vanno a contaminare il suolo, l'aria e l'acqua, oltre a danneggiare la salute di chi in quelle discariche lavora. Bambini in molti casi, alcuni di appena cinque anni, secondo il rapporto Onu, che maneggiano per ore rottami contenenti piombo, mercurio e sostanze nocive per il sistema endocrino.
Su questo tema è in corso fino ad oggi, 16 marzo, a Nairobi, in Kenya, il Forum pan-africano sull'E-Waste. Il tentativo è quello di riunire governi dell'Africa, organizzazioni internazionali, mondo accademico e settore privato per individuare soluzioni possibili ai traffici illegali e un quadro di gestione del problema applicabile nel contesto africano. Da una parte, quindi, interventi per rafforzare la collaborazione nazionale, regionale e internazionale, così da impedire l'importazione di rifiuti elettronici pericolosi e non destinati al recupero e al riciclaggio, dall'altra strategie di raccolta, trattamento e smaltimento.
Un percorso che deve però incontrarsi con uno sforzo analogo da parte di chi quegli scarti li produce. Il Parlamento europeo ha già approvato in Plenaria la proposta di revisione della direttiva RAEE (rifiuti di apparecchi elettrici ed elettronici) che alza l'asticella per gli obiettivi di raccolta di ogni stato membro: entro il 2016 i paesi Ue dovranno riuscire a raccogliere, ogni anno, 45 tonnellate di rifiuti di prodotti elettronici per ogni 100 tonnellate di beni messi sul mercato nel triennio precedente, così da aumentare le percentuali di recupero e riciclaggio.
Ma è soprattutto a monte che dovremmo guardare, cioè prima che un apparecchio venga classificato come un insieme di materiali di scarto. Il che significa anche non cedere alla continua sostituzione di "modello nuovo per modello nuovissimo" e recuperare l'abitudine del riparare quando si può. In fondo i rifiuti gestiti meglio sono quelli che non produciamo.
Fonte: il Cambiamento
sabato 17 marzo 2012
17 marzo, io non festeggio
Il 17 marzo dell'anno scorso scrissi questo post sui 150 anni dell'Unità d'Italia. Rileggetelo. Da quel fatidico 17 marzo 1861 l'Italia si è divisa. Dietro agli eroi risorgimentali, dietro al pretesto dell'unificazione c'è dell'altro. C'è una verità che è stata sempre omessa e nascosta. Anche ora sono convinto di quello che scrissi un anno fa. Con oggi sono trascorsi 151 anni dall'Unità d'Italia, ma io non ho alcun motivo per festeggiare...Leggi anche: Festeggiare l'unità d'Italia, ma festeggiare cosa?
Scilipoti: "Ho il dna di Benito Mussolini"
L'Onorevole Domenico Scilipoti - parlamentare PT, ospite della web-tv berlusconiana "Movimentando" - dopo aver argomentato di olismo, formiche amazzoniche, spogliarelli di Sara Tommasi e corretto utilizzo degli orifizi maschili - "i rapporti anali tra uomini sono animaleschi" - ha commentato la foto che vedete qui sopra, con serietà:
Rivedendo quella foto dico che forse nel mio codice genetico c'è qualcosa che riporta a Mussolini ... le scelte giuste fatte da Mussolini sono state moltissime, nell'interesse del Paese e nell'interesse dell'Italia ... riforme, strutture ... e ancora oggi ne vediamo i risultati ...
Fonte: Non leggere questo Blog!
Niente crisi per il ballo
Mentre in Italia si fa sentire sempre di più la crisi (la benzina nel frattempo ha toccato i 2 € al litro), Bruno Vespa dedica una puntata di Porta a Porta alla crisi del ballo, con in studio i ballerini di Ballando con le stelle. Questo si che è giornalismo d'inchiesta.
venerdì 16 marzo 2012
Falciano del Massico, il paese dove è vietato morire
A Falciano del Massico, in provincia di Caserta, il sindaco Giulio Cesare Fava ha emanato pochi giorni fa una ordinanza che ha dell'incredibile: «è fatto divieto, per quanto nelle possibilità di ciascuno, ai cittadini residenti o comunque di passaggio di oltrepassare il confine della vita terrena per andare nell'aldilà». In parole povere, a Falciano del Massico è vietato morire. Il motivo? Nel paese manca il cimitero e per le tumulazioni i falcianesi usano quello del comune accanto, Carinola. Tutto nasce quando Falciano del Massico si 'stacca' da Carinola nel 1964, diventando comune autonomo. Questo problema c'è, quindi, da quasi 50 anni. Recentemente è stato deciso l'ampliamento del cimitero di Carinola, ma il comune non fa sapere niente in merito. E dunque si sta valutando di uscire dal consorzio col comune limitrofo e costruire un proprio cimitero. L'ordinanza, paradossale e bizzarra, ha portato allegria in paese, ma nel frattempo due persone anziane hanno disobbedito...
giovedì 15 marzo 2012
Xenofobia? Ci abbiamo marciato per aumentare consensi (cit.)
martedì 13 marzo 2012
Rai, Minzo non torna
Niente reintegro dell'ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Il giudice del lavoro del tribunale di Roma ha rigettato la richiesta del giornalista (rimosso a dicembre 2011 dopo il rinvio a giudizio con l'accusa di peculato per la vicenda delle carte di credito usate per scopi personali) che attraverso i suoi legali Nicola Petracca e Federico Tedeschini ha chiesto la sospensione della sua rimozione e il reintegro alla guida della testata di RaiUno.
A dare la notizia della decisione del giudice, sono stati gli stessi avvocati di Minzolini che hanno spiegato di voler fare ulteriori valutazioni dopo l'analisi delle motivazioni contenute nell'ordinanza. Al Tg1 resta Alberto Maccari scelto dal consiglio d'amministrazione per sostituire l'ex direttore.
NESSUN MOTIVO PER IL LICENZIAMENTO. Subito dopo la decisione del giudice, Minzolini è stato intercettato da Servizio Pubblico. «Non ho decisio io di andarmene dal Tg1», ha detto il giornalista all'inviato della trasmissione di Michele Santoro, «l'azienda non aveva alcun motivo di licenziarmi».
Interrogato sui 68 mila euro prelevati con la carta di credito, Minzolini ha risposto che si tratta di una «vicenda da dimostrare», perché sarebbe sbagliata «la procedura». L'ex direttore del Tg1 si è poi infuriato quando gli è stato chiesto dei weekend a Capri, Dubai e Marocco, sostenendo che «non c'è nulla di tutto questo».
L'Usigrai soddisfatto: il Tg1 cambi subito pagina
Tra i primi a commentare la decisione del giudice di Roma, il segretario Usigrai, Carlo Verna. «Dopo il rigetto del ricorso d'urgenza di Minzolini, il Tg1 volti davvero pagina, la sua più brutta pagina. Attendiamo al più presto il piano editoriale di Maccari per valutarne gli elementi di discontinuità, sperando che ci siano», ha scritto in una nota il segretario Usigrai. «Discontinuità», ha sottolineato Verna, «non solo di linea, ma anche nel segno dell'inclusività: senza il recupero dei colleghi emarginati dalla precedente gestione il sindacato non darà tregua».
MILANA (API): CHIUSO UN BRUTTO RICORDO. Anche Riccardo Milana, membro della commissione di Vigilanza Rai e senatore dell'Alleanza per l'Italia spera che «con il pronunciamento del giudice» la vicenza Tg1-Minzolini possa essere «chiusa per sempre». «Accogliamo con favore l'istanza di rigetto», ha detto Milana, «contestualmente ci auguriamo che l'esperienza di Minzolini al Tg1 resti soltanto un brutto ricordo, considerando il suo fallimento su tutti i fronti alla guida del primo telegiornale della Rai. Un Tg1 che, dopo l'allontanamento del giornalista, sta pian piano ritrovando quel prestigio e quell'autorevolezza che lo hanno sempre contraddistinto negli anni».
VITA (PD): RIDARE CREDIBILITÀ ALLA RAI. Per la commissione vigilanza Rai è intervenuto anche Vincenzo Vita, a Viale Mazzini in quota Partito democratico: «La decisione del giudice è la conferma di una situazione gravissima che ha investito la principale testata del servizio pubblico. Ora, si abbia il coraggio di cambiare davvero prendendo atto che una stagione della Rai è proprio tramontata». Vita ha anche evidenziato come sia ora «doveroso ridare credibilità e autorevolezza a un'azienda che l'attuale vertice ha portato ai minimi termini».
REINTEGRARE I GIORNALISTI EPURATI. In una nota, scritta insieme con Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, il membro della commissione vigilanza Rai del Pd ha espresso la richiesta alla Rai per «l'immediato reintegro di quanti furono allontanati o costretti alle dimissioni». Si tratta, secondo Giulietti e Vita di «Maria Luisa Busi, Tiziana Ferrario, Eliza Anzaldo, Raffaele Genha, Paolo di Giannantonio, Massimo De Strobell, Bruno Luverà e Piero Damosso». «Naturalmente», è scritto nella nota, «restiamo in attesa che la nuova direzione voglia procedere anche al reintegro di quei temi, di quelle notizie di quei soggetti politici e sociali che al Tg1 non hanno più avuto diritto di cittadinanza perché sgraditi al 'Signore e padrone' del conflitto di interessi».
PARDI (IDV): BUONA NOTIZIA PER GLI ABBONATI. Soddisfazione anche per Pancho Pardi, capogruppo dell'Italia dei valori in commissione di Vigilanza Rai. «Finalmente una buona notizia per Viale Mazzini, per gli abbonati che pagano il canone e per l'informazione pubblica italiana in generale». «La decisione del giudice del lavoro», ha aggiunto il senatore, «conferma la gravità della posizione in cui si trova l'ormai ex direttorissimo. Il Tg1 sotto la sua guida si è contraddistinto solo per l'indecente faziosità, per le notizie false e per il crollo degli ascolti ai minimi storici. La speranza è che un capitolo nero del servizio pubblico radiotelevisivo si sia definitivamente chiuso». Ora Pardi si è augurato che si possa avviare «quanto prima una seria riforma della Rai che la liberi dall'assedio asfissiante dei partiti e la metta al sicuro dalle mire di controllo mai sopite dell'ex presidente del Consiglio».
Fonte: Lettera 43
lunedì 12 marzo 2012
Crolla la spesa delle famiglie
L’ipocrisia della stampa mainstream traspare impietosamente nei titoloni che oggi campeggiano grottescamente sulle prime pagine di quasi tutti i giornali.
“Crolla la spesa delle famiglie, l’Italia è tornata a 30 anni fa” titola angosciata La Repubblica, aggiungendo “Istat l’Italia in recessione tecnica”. “Famiglie, la spesa ritorna agli anni 80, bollette e trasporti bruciano i redditi”, campeggia sul Corriere della Sera. “Crollo dei consumi (come 30 anni fa) nuovi record per benzina e diesel, aprono angosciosamente Il Messaggero e Il Mattino di Napoli.
Tutti visibilmente turbati, sconvolti e stupiti per il calo dei consumi, anche alimentari, di un punto e mezzo percentuale, rilevato nel recente rapporto di Intesa San Paolo. Tutti a domandarsi come sia possibile una simile iattura, quasi si trattasse di una calamità naturale sfuggita al satellite e al metereologo.
Ma dov’era tutta la pletora di pennivendoli e camerieri che compone la fauna del circo mediatico e oggi si finge “preoccupata”, quando negli ultimi mesi l'usuraio che senza averne diritto siede al governo costruiva le premesse di questa situazione e di quelle ben più gravi che sperimenteremo nel prossimo futuro?...
Non si trovavano in viaggio premio su Marte, né a fare i cronisti di guerra sulle lune di Orione, ma insozzavano le stesse pagine dei loro giornalacci, con lodi sperticate nei confronti del governo Monti, rappresentando lo stesso come un impavido timoniere che tramite il decreto “salva Italia” avrebbe traghettato il paese fuori dalle sabbie mobili della crisi e della recessione. Plaudivano agli aumenti indiscriminati delle tasse. Sorridevano all’incremento delle accise sulla benzina, sostenevano l’eutanasia del posto fisso e solo un paio di giorni fa condividevano con "lacrima" Fornero la preoccupazione che le famiglie italiane, qualora sostenute economicamente, potessero sedersi a mangiare pastasciutta, da congreghe di fannulloni quali sono.
Perché mai stupirsi delle (prime) conseguenze di una serie di manovre economiche di carattere esclusivamente recessivo, attraverso le quali l’usuraio ha dato il via ad una profonda operazione di trasferimento di ricchezza dalle tasche delle famiglie ai forzieri delle banche di proprietà dei suoi padroni? Come si può stupirsi del fatto che le famiglie, con il potere d’acquisto dei salari sempre più basso, le prospettive di lavoro sempre più precarie, i prezzi dei generi di consumo sempre più alti, la benzina alle stelle e l’IVA che fra qualche mese raggiungerà il 23%, inizino a consumare di meno?
Giornalisti, economisti ed imbratta carta che danno vita ai media mainstream erano forse dell’opinione che i “consumatori” italiani avrebbero iniziato a stampare euro nel buio delle proprie cantine, per continuare a consumare a più non posso, nonostante i salassi ed il futuro plumbeo che incombe sulle loro teste? O si sarebbero precipitati in stato di trance all’interno degli ipermercati, per dare vita ad un’ultima cena a base di caviale e champagne, prima di fuggire sotto a un ponte, dove perfino Equitalia non potrebbe pignorare loro nulla?
Gli italiani staranno anche seduti (come dice lacrima Fornero), perché sulla sedia si risparmiano calorie, ma non possono fare altro che mangiare meno pastasciutta e rendere visita più raramente alla pompa di benzina.
A meno che vadano in giro a rubare o vengano stipendiati dai banchieri, come i tecnici ed i giornalisti, non potrebbero oggettivamente fare altrimenti, perché allora tanto ipocrita stupore, dispensato a pioggia su giornali e TV?
Fonte: IL CORROSIVO di marco cedolin
“Crolla la spesa delle famiglie, l’Italia è tornata a 30 anni fa” titola angosciata La Repubblica, aggiungendo “Istat l’Italia in recessione tecnica”. “Famiglie, la spesa ritorna agli anni 80, bollette e trasporti bruciano i redditi”, campeggia sul Corriere della Sera. “Crollo dei consumi (come 30 anni fa) nuovi record per benzina e diesel, aprono angosciosamente Il Messaggero e Il Mattino di Napoli.
Tutti visibilmente turbati, sconvolti e stupiti per il calo dei consumi, anche alimentari, di un punto e mezzo percentuale, rilevato nel recente rapporto di Intesa San Paolo. Tutti a domandarsi come sia possibile una simile iattura, quasi si trattasse di una calamità naturale sfuggita al satellite e al metereologo.
Ma dov’era tutta la pletora di pennivendoli e camerieri che compone la fauna del circo mediatico e oggi si finge “preoccupata”, quando negli ultimi mesi l'usuraio che senza averne diritto siede al governo costruiva le premesse di questa situazione e di quelle ben più gravi che sperimenteremo nel prossimo futuro?...
Non si trovavano in viaggio premio su Marte, né a fare i cronisti di guerra sulle lune di Orione, ma insozzavano le stesse pagine dei loro giornalacci, con lodi sperticate nei confronti del governo Monti, rappresentando lo stesso come un impavido timoniere che tramite il decreto “salva Italia” avrebbe traghettato il paese fuori dalle sabbie mobili della crisi e della recessione. Plaudivano agli aumenti indiscriminati delle tasse. Sorridevano all’incremento delle accise sulla benzina, sostenevano l’eutanasia del posto fisso e solo un paio di giorni fa condividevano con "lacrima" Fornero la preoccupazione che le famiglie italiane, qualora sostenute economicamente, potessero sedersi a mangiare pastasciutta, da congreghe di fannulloni quali sono.
Perché mai stupirsi delle (prime) conseguenze di una serie di manovre economiche di carattere esclusivamente recessivo, attraverso le quali l’usuraio ha dato il via ad una profonda operazione di trasferimento di ricchezza dalle tasche delle famiglie ai forzieri delle banche di proprietà dei suoi padroni? Come si può stupirsi del fatto che le famiglie, con il potere d’acquisto dei salari sempre più basso, le prospettive di lavoro sempre più precarie, i prezzi dei generi di consumo sempre più alti, la benzina alle stelle e l’IVA che fra qualche mese raggiungerà il 23%, inizino a consumare di meno?
Giornalisti, economisti ed imbratta carta che danno vita ai media mainstream erano forse dell’opinione che i “consumatori” italiani avrebbero iniziato a stampare euro nel buio delle proprie cantine, per continuare a consumare a più non posso, nonostante i salassi ed il futuro plumbeo che incombe sulle loro teste? O si sarebbero precipitati in stato di trance all’interno degli ipermercati, per dare vita ad un’ultima cena a base di caviale e champagne, prima di fuggire sotto a un ponte, dove perfino Equitalia non potrebbe pignorare loro nulla?
Gli italiani staranno anche seduti (come dice lacrima Fornero), perché sulla sedia si risparmiano calorie, ma non possono fare altro che mangiare meno pastasciutta e rendere visita più raramente alla pompa di benzina.
A meno che vadano in giro a rubare o vengano stipendiati dai banchieri, come i tecnici ed i giornalisti, non potrebbero oggettivamente fare altrimenti, perché allora tanto ipocrita stupore, dispensato a pioggia su giornali e TV?
Fonte: IL CORROSIVO di marco cedolin
domenica 11 marzo 2012
Un anno fa la tragedia di Fukushima
Esattamente un anno fa, l'11 marzo 2011, avvenne un disastroso terremoto che devastò la città giapponese di Fukushima (seguita dalla crisi nucleare che tutt'ora persiste). Le vittime furono 15.854, a cui vanno aggiunti 3.155 dispersi, 26.992 feriti, 343.935 sfollati, 129.107 case totalmente distrutte, 254.139 edifici danneggiati
sabato 10 marzo 2012
L’Italia che specula sul cibo
Anche l’Italia fa la sua parte, piccola ma rilevante, nella speculazione sui generi alimentari. Land grabs e investimenti speculativi nei mercati delle materie prime sono due cause all’origine di numerosi conflitti ambientali che percorrono il sud del mondo e che, non di rado purtroppo, si trasformano anche in gravi conflitti alimentari. Infatti, anche se non tutti i conflitti ambientali si trasformano in conflitti alimentari, è generalmente vero il contrario: e cioè che ogni crisi alimentare nasce con la compartecipazione di un conflitto ambientale.
I due ambiti sono strettamente interconnessi: ad esempio, la tendenza all’accaparramento di larghi appezzamenti di terra, il land grabbing, da parte di imprese o Paesi stranieri come sta avvenendo in Africa senza regolamentazione alcuna, genera immediati conflitti ambientali con le popolazioni che ne usufruivano e scatena, sul medio termine, crisi alimentari.
Perché più terra cade nelle mani degli stranieri e meno cibo rimane per il consumo interno; più materie prime si trasformano in biocarburanti, più è difficile reperire gli alimenti locali; più aumentano i prezzi, più si specula sui mercati finanziari degli alimenti. Finché non si verificano le emergenze alimentari, che non sono affatto meno gravi che nel passato, nonostante sarebbe possibile nutrire meglio quel miliardo di persone che nel mondo soffre la fame.
Anche se l’Italia non compare nelle prime file dell’elenco dei responsabili, sempre più numerose sono le notizie circa il diffuso coinvolgimento anche delle aziende italiane nella speculazione sul cibo tramite l’acquisizione di terre fertili nel sud del mondo e la speculazione finanziaria sui mercati delle materie prime alimentari. Giulia Franchi della Campagna per una riforma della Banca Mondiale ha dichiarato al quotidiano Italia Oggi di stimare in 1,5 milioni gli ettari comprati da aziende italiane negli ultimi anni nel sud del mondo. Il fenomeno del land grabbing riguarda, infatti, anche grandi gruppi privati italiani come Eni e Benetton, Agroils e Green power attivi nel grande giro d’affari dei combustibili alternativi a quelli di origine fossile, in genere attratti dalla produzione a basso costo di agrocarburanti nel continente africano.
Secondo un rapporto pubblicato da "Action Aid" sui biocarburanti, nel 2010, il settore si è espanso rapidamente negli ultimi dieci anni anche per via degli obiettivi posti dall’Ue, e ad oggi l’Italia ne produce 2 milioni e 257 mila tonnellate l’anno. Definitivamente osteggiati dagli ambientalisti e non solo, i biocarburanti sono verdi nelle intenzioni e per nulla sostenibili nella pratica.
Secondo la ricerca “Coltivare denaro, come le banche europee e la finanza privata guadagnano dalla speculazione sul cibo e dall’accaparramento di terre”, presentata da Friends of the Earth e da altre Ong europee, come da Campagna per una riforma della Banca Mondiale, anche due grandi banche italiane come Intesa Sanpaolo e Unicredit sono attivamente coinvolte nelle speculazioni sul cibo.
Si legge nel documento che Eurizon Capital Sgr, facente capo al gruppo Intesa Sanpaolo, gestisce ben 73 diversi fondi, molti dei quali investono in materie prime alimentari quotate in borsa. Così come Fonditalia, parte di Banca Fideuram, a sua volta in parte partecipata dal gruppo Intesa-Sanpaolo, gestisce numerosi investimenti in materie prime alimentari.
Sempre secondo il rapporto di Friends of the Earth, Unicredit investe direttamente o promuove investimenti in materie prime alimentari e accordi sulle terre, attraverso il gruppo Pioneer Investments e finanzia direttamente o indirettamente aziende che operano nel settore dell’agrobusiness nei mercati emergenti. Nel Novembre 2011, il documento riporta che Unicredit stessa ha dichiarato che la dimensione del loro coinvolgimento nei mercati dei derivati delle materie prime “coltivate” si aggira su un valore netto di 91 milioni di dollari in Pioneer S.F. - EUR Commodities e di 153 milioni in Pioneer Funds - Commodity Alpha.
C’è da stupirsi? Ovviamente no, visto che le banche e i fondi d’investimento di tutto il mondo partecipano alla speculazione sul cibo che già da qualche anno si è rivelata estremamente redditizia ed è ad oggi, non solo perfettamente legale, ma anzi completamente integrata in quell’approccio liberista all’agricoltura che ancora gode di grande influenza, nonostante i gravi danni provocati. Queste operazioni sono infatti avvenute negli anni con la sostanziale connivenza di una larga fetta di quegli operatori internazionali come la Banca Mondiale o la FAO che avrebbero dovuto difendere, e a volte addirittura creare, la sovranità alimentare dei paesi più poveri senza riuscirci.
I conflitti ambientali e alimentari generati dall’acquisto di terre in paesi stranieri si assomigliano tutti tra di loro: questo genere di massicci investimenti esteri non dimostrano attenzione per le comunità locali e le loro necessità. Di recente, l’associazione Crocevia impegnata sul tema del land grabbing ha raccontato la storia di un’azienda a partecipazione italiana, la Senathol Abe Italia, che è finita nel bel mezzo di aspre polemiche e proteste in Senegal per via della concessione da parte del consiglio rurale di 20.000 ettari di terre fertili per la coltivazione della jatropha su appezzamenti che prima erano terre comunitarie, utilizzate da tutti per i pascoli e per le attività agricole.
Attualmente, e anche per via della morte di una persona durante gli scontri, il progetto è stato sospeso, probabilmente solo per essere riproposto tra breve. Ciò non toglie che le comunità rurali necessitano di un quadro di riferimento normativo, al di là dei loro governanti, a cui appellarsi per difendere il loro utilizzo delle terre pubbliche anche quando non esistono leggi in patria. Ed è compito della comunità internazionale fornire queste indicazioni.
di Sara Seganti
Fonte: altrenotizie
I due ambiti sono strettamente interconnessi: ad esempio, la tendenza all’accaparramento di larghi appezzamenti di terra, il land grabbing, da parte di imprese o Paesi stranieri come sta avvenendo in Africa senza regolamentazione alcuna, genera immediati conflitti ambientali con le popolazioni che ne usufruivano e scatena, sul medio termine, crisi alimentari.
Perché più terra cade nelle mani degli stranieri e meno cibo rimane per il consumo interno; più materie prime si trasformano in biocarburanti, più è difficile reperire gli alimenti locali; più aumentano i prezzi, più si specula sui mercati finanziari degli alimenti. Finché non si verificano le emergenze alimentari, che non sono affatto meno gravi che nel passato, nonostante sarebbe possibile nutrire meglio quel miliardo di persone che nel mondo soffre la fame.
Anche se l’Italia non compare nelle prime file dell’elenco dei responsabili, sempre più numerose sono le notizie circa il diffuso coinvolgimento anche delle aziende italiane nella speculazione sul cibo tramite l’acquisizione di terre fertili nel sud del mondo e la speculazione finanziaria sui mercati delle materie prime alimentari. Giulia Franchi della Campagna per una riforma della Banca Mondiale ha dichiarato al quotidiano Italia Oggi di stimare in 1,5 milioni gli ettari comprati da aziende italiane negli ultimi anni nel sud del mondo. Il fenomeno del land grabbing riguarda, infatti, anche grandi gruppi privati italiani come Eni e Benetton, Agroils e Green power attivi nel grande giro d’affari dei combustibili alternativi a quelli di origine fossile, in genere attratti dalla produzione a basso costo di agrocarburanti nel continente africano.
Secondo un rapporto pubblicato da "Action Aid" sui biocarburanti, nel 2010, il settore si è espanso rapidamente negli ultimi dieci anni anche per via degli obiettivi posti dall’Ue, e ad oggi l’Italia ne produce 2 milioni e 257 mila tonnellate l’anno. Definitivamente osteggiati dagli ambientalisti e non solo, i biocarburanti sono verdi nelle intenzioni e per nulla sostenibili nella pratica.
Secondo la ricerca “Coltivare denaro, come le banche europee e la finanza privata guadagnano dalla speculazione sul cibo e dall’accaparramento di terre”, presentata da Friends of the Earth e da altre Ong europee, come da Campagna per una riforma della Banca Mondiale, anche due grandi banche italiane come Intesa Sanpaolo e Unicredit sono attivamente coinvolte nelle speculazioni sul cibo.
Si legge nel documento che Eurizon Capital Sgr, facente capo al gruppo Intesa Sanpaolo, gestisce ben 73 diversi fondi, molti dei quali investono in materie prime alimentari quotate in borsa. Così come Fonditalia, parte di Banca Fideuram, a sua volta in parte partecipata dal gruppo Intesa-Sanpaolo, gestisce numerosi investimenti in materie prime alimentari.
Sempre secondo il rapporto di Friends of the Earth, Unicredit investe direttamente o promuove investimenti in materie prime alimentari e accordi sulle terre, attraverso il gruppo Pioneer Investments e finanzia direttamente o indirettamente aziende che operano nel settore dell’agrobusiness nei mercati emergenti. Nel Novembre 2011, il documento riporta che Unicredit stessa ha dichiarato che la dimensione del loro coinvolgimento nei mercati dei derivati delle materie prime “coltivate” si aggira su un valore netto di 91 milioni di dollari in Pioneer S.F. - EUR Commodities e di 153 milioni in Pioneer Funds - Commodity Alpha.
C’è da stupirsi? Ovviamente no, visto che le banche e i fondi d’investimento di tutto il mondo partecipano alla speculazione sul cibo che già da qualche anno si è rivelata estremamente redditizia ed è ad oggi, non solo perfettamente legale, ma anzi completamente integrata in quell’approccio liberista all’agricoltura che ancora gode di grande influenza, nonostante i gravi danni provocati. Queste operazioni sono infatti avvenute negli anni con la sostanziale connivenza di una larga fetta di quegli operatori internazionali come la Banca Mondiale o la FAO che avrebbero dovuto difendere, e a volte addirittura creare, la sovranità alimentare dei paesi più poveri senza riuscirci.
I conflitti ambientali e alimentari generati dall’acquisto di terre in paesi stranieri si assomigliano tutti tra di loro: questo genere di massicci investimenti esteri non dimostrano attenzione per le comunità locali e le loro necessità. Di recente, l’associazione Crocevia impegnata sul tema del land grabbing ha raccontato la storia di un’azienda a partecipazione italiana, la Senathol Abe Italia, che è finita nel bel mezzo di aspre polemiche e proteste in Senegal per via della concessione da parte del consiglio rurale di 20.000 ettari di terre fertili per la coltivazione della jatropha su appezzamenti che prima erano terre comunitarie, utilizzate da tutti per i pascoli e per le attività agricole.
Attualmente, e anche per via della morte di una persona durante gli scontri, il progetto è stato sospeso, probabilmente solo per essere riproposto tra breve. Ciò non toglie che le comunità rurali necessitano di un quadro di riferimento normativo, al di là dei loro governanti, a cui appellarsi per difendere il loro utilizzo delle terre pubbliche anche quando non esistono leggi in patria. Ed è compito della comunità internazionale fornire queste indicazioni.
di Sara Seganti
Fonte: altrenotizie
venerdì 9 marzo 2012
Costa Concordia: il cofanetto dvd di Tgcom a 12,90 euro...un affare!!
Giusto per non speculare ulteriormente sulla tragedia, non bastassero i video bufale circolati, i viaggi della pseudo Colella Travel adesso ci si mettono anche con i cofanetti dvd. A soli 12,90 euro.
Il tutto ad inchiesta ancora in corso, con i video principali, le telefonate e le interviste che attualmente sono liberamente disponibili su internet.
Insomma, un modo, per carità lecito e legittimo, ma quanto meno inopportuno per capitalizzare su una tragedia nel falso nome del diritto di cronaca. Un modo come un altro per sfruttare ancora quel po' di scia mediatica prima che l'effetto finisca del tutto.
Senza tralasciare, peraltro, che dal lato del consumatore è qualcosa di antieconomico. Cito difatti testualmente dalla descrizione:
... approfondimenti e i servizi sul disastro della Concordia da parte dei giornalisti di TGCom 24, la rete all news di Mediaset che più di ogni altra ha seguito gli eventi in tempo reale.
E' lecito aspettarsi, quindi, un collage dei servizi che hanno già mandato in onda e che cercando un po' on line troverete.
Le immagini inedite e che hanno fatto il giro del mondo, comprese quelle della plancia di comando trasmesse dal Tg5, le telefonate shock, le interviste esclusive e la ricostruzione in 3D del percorso della nave, la grande paura dei sopravvissuti e il dolore per chi non ce l’ha fatta.
Conferma che per lo più ci saranno cose già viste, hanno fatto il giro del mondo, senza contare la speculazione nel vendere ... la grande paura dei sopravvissuti e il dolore per chi non ce l'ha fatta
Insomma, possibile mai che una tragedia di quelle dimensioni debba essere motivo ulteriore di speculazione economica? Se mi avessero detto che ci sono video mai mandati in onda, quindi veri e propri inediti, non gli inediti che fanno il giro del mondo; se mi avessero detto di un documentario in cui si raccontavano scoperte entusiasmanti; se mi avessero riproposto scenari spettacolari estremamente rari ... ecco avrei capito.
Ma sinceramente, a titolo strettamente personale, eviterei di farmi spillar soldi per un materiale molto probabilmente per lo più trito e ritrito (e che ho già rivisto 8 miliardi di volte) e per lo più eviterei di farmi spillar soldi da una televisione che per anni ha utilizzato una frequenza che non gli spettava e che ci comporta una multa plurimilionaria (soldi che comunque pagheremo noi); da una televisione che adesso se Monti non interviene, se le riprende a gratis grazie al beauty contest (minacciando altrimenti licenziamenti), che infarcisce di pubblicità anche il meteo (rigorosamente presentato dal marchio di turno).
Fonte: Pensare è gratis
Il tutto ad inchiesta ancora in corso, con i video principali, le telefonate e le interviste che attualmente sono liberamente disponibili su internet.
Insomma, un modo, per carità lecito e legittimo, ma quanto meno inopportuno per capitalizzare su una tragedia nel falso nome del diritto di cronaca. Un modo come un altro per sfruttare ancora quel po' di scia mediatica prima che l'effetto finisca del tutto.
Senza tralasciare, peraltro, che dal lato del consumatore è qualcosa di antieconomico. Cito difatti testualmente dalla descrizione:
... approfondimenti e i servizi sul disastro della Concordia da parte dei giornalisti di TGCom 24, la rete all news di Mediaset che più di ogni altra ha seguito gli eventi in tempo reale.
E' lecito aspettarsi, quindi, un collage dei servizi che hanno già mandato in onda e che cercando un po' on line troverete.
Le immagini inedite e che hanno fatto il giro del mondo, comprese quelle della plancia di comando trasmesse dal Tg5, le telefonate shock, le interviste esclusive e la ricostruzione in 3D del percorso della nave, la grande paura dei sopravvissuti e il dolore per chi non ce l’ha fatta.
Conferma che per lo più ci saranno cose già viste, hanno fatto il giro del mondo, senza contare la speculazione nel vendere ... la grande paura dei sopravvissuti e il dolore per chi non ce l'ha fatta
Insomma, possibile mai che una tragedia di quelle dimensioni debba essere motivo ulteriore di speculazione economica? Se mi avessero detto che ci sono video mai mandati in onda, quindi veri e propri inediti, non gli inediti che fanno il giro del mondo; se mi avessero detto di un documentario in cui si raccontavano scoperte entusiasmanti; se mi avessero riproposto scenari spettacolari estremamente rari ... ecco avrei capito.
Ma sinceramente, a titolo strettamente personale, eviterei di farmi spillar soldi per un materiale molto probabilmente per lo più trito e ritrito (e che ho già rivisto 8 miliardi di volte) e per lo più eviterei di farmi spillar soldi da una televisione che per anni ha utilizzato una frequenza che non gli spettava e che ci comporta una multa plurimilionaria (soldi che comunque pagheremo noi); da una televisione che adesso se Monti non interviene, se le riprende a gratis grazie al beauty contest (minacciando altrimenti licenziamenti), che infarcisce di pubblicità anche il meteo (rigorosamente presentato dal marchio di turno).
Fonte: Pensare è gratis
mercoledì 7 marzo 2012
“Io non voglio emigrare”, la storia di un disoccupato con la laurea
Emigrare. Sempre più spesso è la soluzione scelta dai giovani laureati che non trovano lavoro. Ma Luca, laureato in lettere e in cerca già da tempo di un’occupazione, di emigrare non ne vuole sapere: “chiamatemi pigro, ma io non me ne voglio andare. Odio l’idea che lo Stato mi imponga di partire perché non è in grado di creare posti di lavoro”.
A volte emigrare è più facile da dire che da fare. I laureati in lettere, giornalismo e tutti coloro che si distinguono per la loro capacità di gestire la lingua italiana, all’estero possono fare ben poco. Lo stesso vale per gli avvocati. I laureati in giurisprudenza esperti di leggi italiane, nei paesi stranieri posso interessare relativamente poco. I titoli di studio italiani a volte non sono neanche riconosciuti. Ma soprattutto, lasciare il proprio paese, significa lasciare parenti, amici, fidanzate e fidanzati, significa allontanarsi da genitori che magari hanno bisogno di assistenza. Lasciare tutto quel poco che è stato costruito con tanta fatica negli ultimi anni.
Ma Luca non ci sta: “Io non voglio emigrare. Non voglio andarmene a causa dello Stato. Ho investito per anni nella formazione universitaria perché mi era stato promesso un futuro sicuro. I miei genitori volevano che continuassi gli studi perché era fondamentale per ottenere un buon lavoro. Invece mi ritrovo a dovermi destreggiare solo tra proposte lavorative che vanno dal venditore a porta a porta ed il procacciatore di contratti”, spiega. “È davvero scoraggiante vedere come i carcerati oggi in Italia abbiano molte più possibilità dei ragazzi che hanno sempre creduto nel futuro. I carcerati possono accedere a corsi di formazione professionale, hanno la possibilità di partecipare a concorsi artistici grazie alle sovvenzioni statali. Alcuni riescono persino a trovare un buon lavoro, con contratto regolare, un ottimo stipendio quando sul CV balza agli occhi il numero di anni di galera scontati. Bisogna diventare criminali per avere qualche attenzione da parte dello Stato?”.
Luca è consapevole che, per il momento, non c’è molta speranza per il futuro, soprattutto con una laurea in lettere. Sa che rimanere in Italia è una sfida ed una probabile condanna della sua carriera lavorativa. È tanto coraggioso decidere di emigrare quanto decidere di restare.
Fonte: Diritto di critica
A volte emigrare è più facile da dire che da fare. I laureati in lettere, giornalismo e tutti coloro che si distinguono per la loro capacità di gestire la lingua italiana, all’estero possono fare ben poco. Lo stesso vale per gli avvocati. I laureati in giurisprudenza esperti di leggi italiane, nei paesi stranieri posso interessare relativamente poco. I titoli di studio italiani a volte non sono neanche riconosciuti. Ma soprattutto, lasciare il proprio paese, significa lasciare parenti, amici, fidanzate e fidanzati, significa allontanarsi da genitori che magari hanno bisogno di assistenza. Lasciare tutto quel poco che è stato costruito con tanta fatica negli ultimi anni.
Ma Luca non ci sta: “Io non voglio emigrare. Non voglio andarmene a causa dello Stato. Ho investito per anni nella formazione universitaria perché mi era stato promesso un futuro sicuro. I miei genitori volevano che continuassi gli studi perché era fondamentale per ottenere un buon lavoro. Invece mi ritrovo a dovermi destreggiare solo tra proposte lavorative che vanno dal venditore a porta a porta ed il procacciatore di contratti”, spiega. “È davvero scoraggiante vedere come i carcerati oggi in Italia abbiano molte più possibilità dei ragazzi che hanno sempre creduto nel futuro. I carcerati possono accedere a corsi di formazione professionale, hanno la possibilità di partecipare a concorsi artistici grazie alle sovvenzioni statali. Alcuni riescono persino a trovare un buon lavoro, con contratto regolare, un ottimo stipendio quando sul CV balza agli occhi il numero di anni di galera scontati. Bisogna diventare criminali per avere qualche attenzione da parte dello Stato?”.
Luca è consapevole che, per il momento, non c’è molta speranza per il futuro, soprattutto con una laurea in lettere. Sa che rimanere in Italia è una sfida ed una probabile condanna della sua carriera lavorativa. È tanto coraggioso decidere di emigrare quanto decidere di restare.
Fonte: Diritto di critica
martedì 6 marzo 2012
TAV? No, grazie! Autostrade del mare? Subito!
Il “governo tecnico” ci spiega in modo esauriente che la TAV “si deve fare perché si deve fare” e sembra affidarsi più alla repressione poliziesca, auspicata anche da PDL, PD, Terzo Polo e Lega, che ad un tavolo di riflessione.
L’unica altra “motivazione tecnica” è che la nostra economia e le nostre infrastrutture devono essere agganciate all’Europa. Orbene, in Italia abbiamo un problema gigantesco, che è quello di avere le due direttrici fondamentali della nostra viabilità, l’autostrada del Sole più la Salerno-Reggio Calabria, e l’Adriatica da Bari a Ravenna, perennemente intasate nei due sensi di marcia, soprattutto da mezzi pesanti, con tempi di percorrenza molto lunghi e costosi.
Sarebbe lungimirante organizzare un sistema di “autostrade del mare”, con navi moderne e veloci, studiate per imbarcare Tir e container, grandi per partire con ogni tempo, che colleghino da una parte Bari a Trieste con una penetrazione immediata in Europa, e dall’altra Palermo con Livorno e Marsiglia, in numero sufficiente per smaltire il traffico esistente, progettate e costruite in Italia in quei cantieri che sono fermi per la concorrenza cinese e coreana.
E’ un progetto industriale che porterebbe lavoro, innovazione, diminuzione del costo del trasporto, diminuzione dell’inquinamento, renderebbe ridicolo il solo pensiero di fare il ponte sullo stretto di Messina con le conseguenti enormi spese per allargare la Salerno-Reggio Calabria.
Naturalmente i porti interessati dovrebbero progettare una viabilità speciale per rendere fluidi e facili imbarchi e sbarchi, e anche qui si tratta di lavoro e di modernizzazione, senza i tempi biblici della Tav.
Anche i “No Tav” dovrebbero appoggiare questa soluzione perché non si può dire solo no e bisogna essere capaci di proporre alternative e, visto che gli argomenti del governo sono: penetrazione in Europa e lavoro, la soluzione delle “autostrade del mare” contiene entrambe le cose.
Voglio contenere al massimo la lunghezza di questo appello perché spero che qualche giornale lo pubblichi, e chiedo alla Rete di aiutarmi a diffonderlo per quel che ognuno può. In seguito, se l’idea va avanti, se ne può parlare in modo più approfondito.
Fonte: Agoravox Italia
Trenitalia presenta: 'I viaggi della speranza'
Clicca per ingrandire
L'amico Alessandro mi fa notare questa foto su Facebook. Basta salire su un treno Trenitalia in qualunque stazione del sud Italia e potrai goderti una traversata interminabile per l'intero mezzogiorno! Un intercity, un autobus e un regionale, un'attesa in piena notte sulle panchine della stazione di Pescara di ben 2 ore e mezza, cambi di mezzo a non finire, il tutto per 11 comodissime ore di viaggio per un tragitto che ne prevederebbe poco più di 4.
PS: mi raccomando la TAV Torino-Lione... è urgentissima!
Segnalazione a cura di Alessandro Tauro
Non è un fotomontaggio
Magnifici. Li voglio ringraziare. E' il finale perfetto, di questi 20 anni. Nemmeno la satira più dura avrebbe concepito una cosa del genere. In Lombardia si spacca il Pdl, e l'ultrà berlusconiana Michela Vittoria Brambilla lancia "Forza Lecco". Davvero.
Fonte: Non leggere questo Blog!
Fonte: Non leggere questo Blog!
lunedì 5 marzo 2012
Scilipoti e le formiche. Incredibile ma vero
Guardate cosa ho trovato sulla pagina on line del Corriere della Sera. L'On. Scilipoti assalito dalle formiche amazzoniche. A me scappa da ridere, ma la notizia è vera!
Milano: 3 milioni di euro per la visita del Papa!
Costerà 3 milioni di euro (euro più, euro meno) al Comune di Milano la gestione di tutti i servizi per la visita del papa a giugno per l’Incontro mondiale delle famiglie. La giunta ha approvato la delibera per la tre giorni di Benedetto XVI a Milano, dal potenziamento dei mezzi pubblici ai passaggi straordinari di Amsa per la pulizia delle strade e aree pubbliche ai presidi dei vigili.
Ma non si risparmierebbero dei soldi se i milanesi andassero dal Papa?
Ma non si risparmierebbero dei soldi se i milanesi andassero dal Papa?
sabato 3 marzo 2012
Rossella Urru è libera!
Secondo l'emittente araba Al Jazeera, Rossella Urru, la cooperante italiana rapita diversi mesi fa, sarebbe stata liberata. La notizia è circolata su Twitter e più tardi è stata confermata dalla questura di Oristano.
Aggiornamento delle 13.05: la Farnesina conferma, Rossella Urru è libera!
venerdì 2 marzo 2012
La Tav è inutile, 360 docenti universitari e ricercatori chiedono a Monti di non farla
La Tav Torino-Lione non serve a niente e costa tantissimo. Cosa taglieranno per realizzarla? La tua pensione, la scuola, la sanità?
Noto con enorme rammarico che fare un megabuco buco supplementare sotto le Alpi viene presentata come un problema di ordine pubblico mentre il rapporto costi-benefici, che dovrebbe essere centrale, è invece praticamente assente dal dibattito di questi giorni.
E con rammarico (se possibile) ancora maggiore constato che proprio sul nodo dei costi-benefici 360 uomini e donne di scienza – docenti universitari e ricercatori – stanno prendendo a metaforiche sberle scientifiche Monti, il Governo e tutti quelli che vogliono la Tav.
Dicono in sostanza che l’opera non è assolutamente giustificata nè giustificabile.
L’appello a Mario Monti afinchè “ripensi” la Tav Torino-Lione “sulla base di evidenze economiche, ambientali, sociali” è stato scritto da Sergio Ulgiati, Dipartimento di Scienze per l’Ambiente dell’Università Parthenope di Napoli; Ivan Cicconi, ricercatore nel settore delle costruzioni ed esperto di infrastrutture e appalti pubblici; Luca Mercalli, climatologo, presidente della Società Meteorologica Italiana; Marco Ponti, professore ordinario di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano.
In coda all’appello ci sono 360 firme tutte provenienti da quegli stessi ambienti. E’ gente che – mi pare evidente – guarda alle cifre e ai fatti. Il nocciolo:
Il tutto viene poi argomentato punto per punto, vi rimando al testo in fondo: comunque, dicono i professori, il traffico merci Italia-Francia è crollato del 31% dal 2000 al 2009 (quindi prima della crisi economica), la linea ferroviaria storica è ora sottoutilizzata, la Torino-Lione costerebbe complessivamente 20 miliardi di euro (anzi circa 30, se si tiene conto dei prevedibili aumenti in corso d’opera) e questo, scrivono i docenti universitari a Monti,
penalizzerebbe l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine della manovra economica che il Suo Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa
Non risulta che il professor Monti abbia dato udienza ai colleghi professori desiderosi di spiegargli che la Tav è inutile e anzi dannosa. Non risulta nemmeno che lui (o qualcun altro del Governo) abbia risposto demolendo le affermazioni dei professori: i politici continuano semplicemente ad andare in tv per dire che la Tav è un’ “opera prioritaria di interesse strategico nazionale”.
La ragione e la politica, sulla Tav, sono diventati due universi paralleli senza punti di contatto. E se il punto di vista della politica uscirà vincitore cosa taglieranno per realizzare la Tav: la scuola, la sanità o la tua pensione, lettore?
Su NoTav l’appello a Monti dei 360 docenti universitari e ricercatori
Su Repubblica Torino Tav, Mercalli: il Governo cerca l’escalation per coprire l’inutilità dell’opera
Fonte: Blogeko Il Journal
Noto con enorme rammarico che fare un megabuco buco supplementare sotto le Alpi viene presentata come un problema di ordine pubblico mentre il rapporto costi-benefici, che dovrebbe essere centrale, è invece praticamente assente dal dibattito di questi giorni.
E con rammarico (se possibile) ancora maggiore constato che proprio sul nodo dei costi-benefici 360 uomini e donne di scienza – docenti universitari e ricercatori – stanno prendendo a metaforiche sberle scientifiche Monti, il Governo e tutti quelli che vogliono la Tav.
Dicono in sostanza che l’opera non è assolutamente giustificata nè giustificabile.
L’appello a Mario Monti afinchè “ripensi” la Tav Torino-Lione “sulla base di evidenze economiche, ambientali, sociali” è stato scritto da Sergio Ulgiati, Dipartimento di Scienze per l’Ambiente dell’Università Parthenope di Napoli; Ivan Cicconi, ricercatore nel settore delle costruzioni ed esperto di infrastrutture e appalti pubblici; Luca Mercalli, climatologo, presidente della Società Meteorologica Italiana; Marco Ponti, professore ordinario di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano.
In coda all’appello ci sono 360 firme tutte provenienti da quegli stessi ambienti. E’ gente che – mi pare evidente – guarda alle cifre e ai fatti. Il nocciolo:
il progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, inspiegabilmente definito “strategico”, non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di causare ingenti danni ambientali diretti e indiretti
Il tutto viene poi argomentato punto per punto, vi rimando al testo in fondo: comunque, dicono i professori, il traffico merci Italia-Francia è crollato del 31% dal 2000 al 2009 (quindi prima della crisi economica), la linea ferroviaria storica è ora sottoutilizzata, la Torino-Lione costerebbe complessivamente 20 miliardi di euro (anzi circa 30, se si tiene conto dei prevedibili aumenti in corso d’opera) e questo, scrivono i docenti universitari a Monti,
penalizzerebbe l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine della manovra economica che il Suo Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa
Non risulta che il professor Monti abbia dato udienza ai colleghi professori desiderosi di spiegargli che la Tav è inutile e anzi dannosa. Non risulta nemmeno che lui (o qualcun altro del Governo) abbia risposto demolendo le affermazioni dei professori: i politici continuano semplicemente ad andare in tv per dire che la Tav è un’ “opera prioritaria di interesse strategico nazionale”.
La ragione e la politica, sulla Tav, sono diventati due universi paralleli senza punti di contatto. E se il punto di vista della politica uscirà vincitore cosa taglieranno per realizzare la Tav: la scuola, la sanità o la tua pensione, lettore?
Su NoTav l’appello a Monti dei 360 docenti universitari e ricercatori
Su Repubblica Torino Tav, Mercalli: il Governo cerca l’escalation per coprire l’inutilità dell’opera
Fonte: Blogeko Il Journal
giovedì 1 marzo 2012
Ciao Lucio
E' morto Lucio Dalla, vittima di un attacco cardiaco. Si trovava a Montreux, in Svizzera, per una serie di concerti. Il 4 marzo avrebbe compiuto 69 anni. Se ne va un grande della musica italiana. Ciao Lucio, ci mancherai tanto
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