Riaprire le carceri di Pianosa e dell’Asinara. E’ un affondo non proprio a sorpresa quello che ha lanciato il Ministro della Giustizia Paola Severino, durante l’audizione in commissione parlamentare antimafia, circa il collocamento dei detenuti sottoposti a regime stretto previsto dall’articolo 41 bis: le due carceri insulari tornerebbero così ad essere le strutture di massima sicurezza che erano diventate nel ’92.
E se l’ipotesi di una loro possibile riapertura per i detenuti al 41 bis si era già affacciata periodicamente negli ultimi anni, ora il Guardasigilli rilancia l’idea. «Occorre compiere una approfondita riflessione sull’opportunità di riaprire, previa idonea ristrutturazione, gli istituti presenti nelle isole di Asinara e soprattutto Pianosa – ha infatti affermato il ministro – che per sua dimensione e configurazione strutturale si presta al contempo ad accogliere un elevato numero di ristretti e a garantire tra gli stessi la massima separazione, nel rispetto rigoroso dei diritti alla socialità». Unico vincolo alla riapertura potrebbero essere gli elevati costi di ristrutturazione della struttura, sui quali «il governo ha avviato una approfondita riflessione».
Ma il muro di opposizione che ha incontrato la proposta è stato subito compatto, soprattutto da parte di chi ha visto nella riapertura delle due carceri di Pianosa e dell’Asinara un impedimento allo sviluppo intrapreso rispettivamente dalle Regioni Toscana e Sardegna. Il presidente della regione Sardegna Cappellacci ha infatti definito la proposta “irricevibile”, sottolineando come la regione si stia muovendo attualmente in una direzione del tutto diversa, «quella di uno sviluppo turistico basato su progetti sostenibili e compatibili con l’ambiente: vogliamo che l’Asinara diventi l’emblema di uno sviluppo che porti non solo benessere economico ma anche un miglioramento della qualità della vita nel rispetto dei valori della società sarda. Non accetteremo che tali attività siano messe in discussione in nome di proposte anacronistiche». Un parere condiviso anche da Maria Grazia Caligaris, ex consigliere regionale e presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, secondo cui la proposta «danneggia la Sardegna riconfigurandola come isola-carcere» e spinge ad un «uso del territorio che favorisce lo spopolamento». «La guardasigilli non sembra nemmeno sfiorata dal fatto che Pianosa sia un Parco nazionale – aggiunge invece in una nota Umberto Mazzantini, responsabile Isole minori di Legambiente -, tutelata da zone di protezione speciale dell’Ue e che il governo abbia deciso di chiudere il carcere perché considerato già allora anti-economico e non più sicuro per il 41 bis di carceri più moderni sul continente. A Pianosa – continua ancora la nota di Legambiente – non ci sono fognature, il Parco ha bonificato decine di discariche, le catacombe romane erano invase dai liquami del vecchio carcere che aveva inquinato anche le falde idriche, le costruzioni e il ‘muro difensivo’ cadono a pezzi».
Scelte alla fine degli anni Settanta perché vi venissero rinchiusi i terroristi, alle carceri di Pianosa e dell’Asinara nel ’92 – con un provvedimento d’urgenza poche ore dopo la strage di via d’Amelio – vennero assegnati i boss mafiosi in regime di massima sicurezza: le due strutture vennero poi chiuse nel 1998. Chiuse, ha ricordato oggi il presidente dell’associazione Antigone Onlus Patrizio Gonnella che si batte per i diritti nelle carceri « per evidenti violazioni dei diritti umani. La corte europea dei diritti umani di Strasburgo condannò per la prima volta l’Italia per trattamento inumano e degradante nei confronti di un detenuto proprio in seguito a due casi di reclusi a Pianosa». Secondo Gonnella, «in luoghi così lontani dagli sguardi è più facile che ci siano tentazioni di soprusi».
Fonte: Diritto di critica
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