Una sostenitrice dell'indipendenza della Catalogna durante una manifestazione a Barcellona. (AP Photo/Manu Fernandez)
Domani, domenica 27 settembre, si vota in Catalogna, Spagna, per eleggere i 135 nuovi membri del parlamento della regione e un nuovo presidente. Si tratta di elezioni anticipate, volute dall’attuale presidente Artur Mas dopo che non è riuscito a indire un referendum sull’indipendenza della regione, come aveva promesso prima della sua vittoria nel 2012. Di fatto le elezioni di domenica saranno una specie di consultazione indiretta sull’indipendenza: votare per la coalizione di Mas vorrà dire essere per l’indipendenza, votare per i suoi avversari vorrà dire essere contrari. Gli ultimi sondaggi mostrano le due coalizioni piuttosto vicine.
La Catalogna è una regione nordorientale della Spagna di quasi otto milioni di abitanti (circa il 19 per cento della popolazione del paese, che produce il 19 per cento del suo PIL): ha come capitale Barcellona e possiede una propria fortissima identità culturale e storica, a cominciare dalla lingua, il catalano. Dispone già di un proprio parlamento nell’ambito di un complesso sistema di autonomie, che da tempo lavora allo svolgimento di un referendum consultivo sull’indipendenza.
I sondaggi riflettono il fatto che le votazioni saranno un referendum implicito sull’ipotesi di indipendenza catalana. El País ha raccolto in un grafico le principali ricerche condotte negli ultimi quindici giorni. Una delle più recenti mostra gli indipendentisti – che sono rappresentati dalla coalizione “Junts pel sì” (“Uniti per il sì”, guidata dall’ex eurodeputato di sinistra Raul Romeva e che raggruppa forze di sinistra e di centrodestra, tra cui il partito di Mas, CDC) e da Candidatura d’unitat popular (CUP) – a quasi il 50 per cento dei voti: insieme dovrebbero dunque ottenere tra i 76 e 78 seggi, sopra la soglia necessaria a ottenere la maggioranza, fissata a 68.
I contrari all’indipendentismo tutti insieme arriverebbero invece a 53-55 seggi. All’interno di questo schieramento c’è Ciutadans, la versione “catalana” di Ciudadanos, un partito nazionale nato in Catalogna nel 2006, che non si dichiara né di destra né di sinistra ma post-nazionalista e progressista, e che è contrario all’indipendenza: è dato intorno al 15 per cento, che corrisponde a 19 seggi. I conservatori del PP sono al 7,3 per cento (10 seggi) e i socialisti del PSC al 11,4 (14 seggi). Podemos, il partito di Pablo Iglesias, come già per le municipali di Barcellona, non presenta una lista con il proprio nome ma ha dato il suo appoggio alla lista “Catalunya sì que es pot”, di cui fa parte insieme a Izquierda Unida e ai Verdi e che otterrebbe 14 seggi. “Catalunya Sí que es Pot” è sostanzialmente contrario all’indipendenza, ma favorevole a una maggiore autonomia regionale.
La campagna elettorale si è aperta lo scorso 11 settembre con una grande manifestazione a Barcellona favore dell’indipendentismo. A parte gli argomenti che i due schieramenti usano da tempo a favore e contro una separazione dal resto del paese, entrambe le parti hanno dedicato molta attenzione agli 1,6 milioni di elettori nati fuori della Catalogna – quindi non tutti effettivamente “catalani” – ma residenti in Catalogna, che potrebbero essere decisivi. Di questi, 1.372.216 sono spagnoli e 293.012 sono stranieri con diritto di voto: i dati sulle loro posizioni politiche risalgono a due anni fa, quando la maggior parte si era dichiarata a favore del processo di indipendenza. Nell’indipendenza vedevano la possibilità di ricominciare come cittadini alla pari degli altri.
Il parlamento catalano aveva annunciato il referendum alla fine del 2013 basandolo su una dichiarazione di sovranità approvata un anno prima, che però la Corte Costituzionale aveva in seguito dichiarato illegittima. Nel novembre del 2014 si era svolto un referendum “informale” e circa l’80 per cento dei votanti si era espresso a favore dell’indipendenza dal governo della Spagna. Gli organizzatori della consultazione avevano detto che avevano partecipato circa due milioni di persone, con un’affluenza stimata al 35,9 per cento. La consultazione non aveva avuto comunque alcun valore legale, Mas aveva cominciato a perdere sostegno al Parlamento e il dialogo a livello istituzionale con il partito del premier Mariano Rajoy non aveva portato ad alcuna proposta o accordo per una soluzione politica della crisi. Mas aveva dunque deciso di anticipare le elezioni e di cercare una nuova legittimità al suo progetto.
Fonte: Il Post
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