Il deposito di Tempa Rossa in Basilicata, di proprietà della Total (Emiliano Albensi/LaPresse)
Giovedì 7 aprile Federica Guidi sarà interrogata a Potenza in relazione all’inchiesta della procura sull’estrazione del petrolio in Basilicata. L’ex ministro non è indagata e sarà sentita in qualità di persona informata dei fatti. I filoni aperti dalla procura di Potenza sono tre: quello sui presunti illeciti nelle autorizzazioni nell’impianto di estrazione petrolifera di Tempa Rossa, che ha a che fare con il famoso emendamento già bocciato nel decreto “Sblocca Italia” e poi riproposto (e approvato) con la presunta “intesa” del ministro Boschi all’interno della legge di stabilità 2015; quello sui presunti illeciti nella gestione dei rifiuti e delle emissioni nell’impianto gestito da Enel a Viggiano, a sud di Potenza; quello, infine, che riguarda il “traffico di influenze” attraverso cui Gianluca Gemelli, compagno di Federica Guidi, avrebbe ottenuto la gestione di uno dei due pontili militari del porto di Augusta per far attraccare le petroliere. Sui giornali di oggi ci sono tre nuovi principali aggiornamenti della storia.
Federica Guidi ha cambiato strategia?
Due giorni dopo le dimissioni, lo scorso 2 aprile, Federica Guidi aveva scritto una lettera al Corriere della Sera in cui diceva: «La polemica nasce da una telefonata a colui che considero a tutti gli effetti mio marito nella quale lo informavo di un provvedimento parlamentare di portata nazionale». Più avanti Guidi continuava a definire Gemelli “marito” e “familiare”.
Ieri Federica Guidi sembra però aver rivisto la propria posizione nei confronti di Gemelli. L’agenzia di stampa ANSA, citando un’amica di Guidi, scrive che l’ex ministra «sta verificando il ruolo di Gianluca Gemelli, padre di suo figlio ma con il quale non ha mai convissuto», aggiungendo che «da tempo si vedono solo ogni sette-quindici giorni» e che con Gemelli, quindi, Guidi «non ha interessi comuni, non ha conti cointestati e hanno sempre provveduto lei e la sua famiglia alle necessità del figlio» che hanno insieme.
Sempre ieri i giornali parlavano di una telefonata intercettata tra Guidi e Gemelli in cui si sentirebbe Guidi dire «Mi stai usando», ma occhio: la Procura, precisa il Corriere, ha smentito che la frase alludesse all’emendamento. Sempre stando ai racconti dei giornali, basati su informazioni trapelate dalla procura, in altre telefonate si sentirebbe l’ex ministra piangere: questo è stato interpretato come una conferma dell’ipotesi che il legame tra i due non fosse così lineare, ma naturalmente le cose potrebbero tranquillamente essere diverse. Restano comunque le telefonate intercettate, nel corso delle quali Guidi informava Gemelli sull’iter per l’approvazione del famoso emendamento per sbloccare Tempa Rossa in Basilicata – attività nella quale, per dei subappalti della Total, Guidi aveva interessi diretti come imprenditore.
Quale potrebbe essere allora il significato di questo cambio di strategia? Repubblica: «La tesi è: non avendo alcun tipo di rapporto economico o patrimoniale con Gemelli non ho operato in conflitto di interessi come ministro». Corriere: «Ora che lui è accusato di aver fatto parte di un’associazione a delinquere per accaparrarsi affari, la domanda sulla retromarcia affettiva fa domandare: sarà strategia difensiva o delusione personale?».
Guidi contro De Vincenti
Claudio De Vincenti è un economista e dal 10 aprile del 2015 è sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri nel governo Renzi. Fino a quella data e dal febbraio del 2014 era stato viceministro allo Sviluppo economico, dunque viceministro di Guidi. Oggi Repubblica ha pubblicato un articolo in cui riporta le trascrizioni di nuove intercettazioni agli atti delle procura, in cui si sente Guidi pronunciare frasi molto pesanti nei confronti di De Vincenti. Nell’articolo c’è scritto che l’interlocutore della Guidi è Gianluca Gemelli. In una telefonata registrata il 24 novembre del 2014, Guidi parla in terza persona e dice:
«La Guidi c’ha anche una sua reputazione, una sua azienda, una sua cosa da tutelare che è meglio anche per te, nel senso che non è che facciamo un favore a De Vincenti, allora stiamo meglio tutti, hai capito? Ed io non mando a puttane come ho già rischiato di fare un pezzo della mia roba per fare un favore a tutta quella combriccola lì. De Vincenti è un pezzo di m…, lo tratto da pezzo di m…»
Nella telefonata, secondo quanto annotato dalla polizia, «la Guidi si lamentava dell’atteggiamento assunto da Claudio De Vincenti, aggiungendo di avere intenzione di cacciarlo fuori, e di sbattersene che qualcuno dei suoi (del Gemelli) “amici” se la sarebbero presa. Gli diceva che visto che lui si era sempre occupato delle cose “a latere”, poteva tranquillamente comunicare ai suoi amici che si era definitivamente rotta; di riferire che avrebbero dovuto adeguarsi. Aggiungeva di aver capito qual era il giochino, affermando a tal proposito: “O il giochino è sempre uguale o si interrompe”».
Repubblica scrive che Guidi era arrabbiata per la gestione del dossier petrolio e per un incontro programmato tra l’amministratore delegato di Eni, Claudio De Scalzi, e De Vincenti per il “programma Finmeccanica”, una questione molto importante per il suo ministero «che il vice le avrebbe sottratto, incontrando il ministro dell’Economia Padoan a sua insaputa». La Guidi, infine, avrebbe minacciato di togliere le deleghe a De Vincenti e detto al suo compagno di riferirlo agli “amici”. Infine mette in guardia Gemelli da De Vincenti perché si «fa i fatti suoi e se può mi danneggia, perché probabilmente, come sempre è, anche lui, nel suo retrocranio ha il pensiero che se qualcosa succede lui può fare qualcos’altro». E lo mette in guardia da quei suoi stessi amici che avrebbero dunque dei legami con De Vincenti: «Però siccome è diciamo amico di quel tuo clan lì, sappi… perché oltretutto, come dire, lui lì è uno che sa le cose, quindi prova a prenderci le misure anche tu Gianluca, hai capito? Perché loro lì sono dei figli di p…, è chiaro?».
Il nome di Claudio De Vincenti è circolato in queste ore come prossimo ministro dello Sviluppo economico. In attesa della nomina, Renzi ha assunto l’interim del ministero.
La storia dell’emendamento e cosa c’entra il referendum sulle trivelle
Ci sarebbero novità anche sull’emendamento bocciato nel decreto “Sblocca Italia” e poi riproposto (e approvato) con la presunta “intesa” di Maria Elena Boschi in legge di stabilità che avrebbe sbloccato una serie di interventi strutturali legati all’impianto di Tempa Rossa, che il governo di Matteo Renzi considera come «il principale programma privato di sviluppo industriale in corso in Italia».
Nell’ottobre del 2014 l’emendamento che doveva rientrare nello “Slocca Italia” era stato bocciato in commissione Ambiente della Camera. Il 5 novembre Guidi rassicura Gemelli che «se Maria Elena è d’accordo sarà inserito nella legge di stabilità». La norma era effettivamente ricomparsa nel dicembre del 2014 in commissione Bilancio al Senato, entrando a far parte del maxi-emendamento presentato dal governo alla legge di stabilità del 2015, poi approvato dal Senato nella notte tra il 19 e il 20 dicembre del 2014. Nella legge di stabilità del 2016 sono stati però inseriti alcuni emendamenti che di fatto intervengono di nuovo sulla vicenda Tempa Rossa e annullano in parte gli effetti dell’approvazione precedente.
L’emendamento numero 2.9818, che è al centro delle intercettazioni tra Guidi e Gemelli, diceva che l’autorizzazione alle opere necessarie per trasporto, stoccaggio, trasferimento di idrocarburi in raffineria e altre cose ancora spettava al governo. Era anche il tema del quarto quesito sulle trivellazioni non ammesso al referendum: il quarto quesito chiedeva proprio di modificare quella parte della legge stabilità 2015 e di reintrodurre il ruolo di controllo e partecipazione nelle autorizzazioni degli enti locali. Con l’obiettivo di svuotare il referendum, il governo Renzi nella legge di stabilità 2016 ha poi in parte assorbito i quesiti, compreso il quarto. In questo modo è stato ripristinato il fatto che per quelle opere le autorizzazioni devono essere rilasciate d’intesa con le regioni interessate.
Questione politica a parte, scrive Repubblica, l’ipotesi è che attorno a quella prima decisione di approvare l’emendamento «si sia mosso un “comitato d’affari” che aveva interessi affinché fosse approvato, visto che – secondo l’accusa – in cambio Gemelli avrebbe intascato circa due milioni e mezzo di lavori proprio dagli appaltatori di Total. E che la sua azienda sarebbe stata inserita nella lista “d’oro” delle società che lavoravano con la compagnia petrolifera». Il Corriere scrive che «il sospetto è che in realtà quell’emendamento sia stato approvato su pressioni delle aziende petrolifere e che poi, una volta sbloccati i fondi, si sia deciso di modificarlo».
Fonte: Il Post
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