Un ribelle houthi nella capitale yemenita di Sanaa, nel luglio del 2015. Credit: Mohamed al-Sayaghi
Alcuni ministri e ufficiali dell'intelligence del governo yemenita, che dal marzo del 2015 si trovavano in esilio in Arabia Saudita, sono ritornati ad Aden, che per mesi era rimasta sotto il controllo dei ribelli sciiti houthi.
Il presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi ha detto loro di fare rientro in Yemen per "rafforzare la sicurezza e la stabilità nell'area, e per preparare il ritorno delle istituzioni ad Aden", secondo quanto riferisce l'agenzia giornalistica Reuters.
La città portuale di Aden, nel sud del Paese, era stata il teatro degli scontri tra il governo yemenita e i ribelli sciiti houthi nel marzo del 2015.
Il 15 luglio i combattenti della Resistenza Popolare - una milizia leale al presidente in esilio Hadi - hanno riconquistato gli uffici governativi nel distretto di Mualla, vicino al principale porto commerciale di Aden, che invece si trova ancora nella mani degli houthi.
Hanno inoltre ripreso il controllo del distretto di Crater, dove si trova il palazzo presidenziale, e di un piccolo porto a Mualla.
Il generale Fadhl al-Hasan, secondo quanto riporta Al Jazeera, ha riferito che le sue truppe hanno conquistato anche la strada che costeggia lo stretto di Bab el-Mandeb, tra lo Yemen e la repubblica di Gibuti, e che collega Aden con la città di Mocha, roccaforte dei ribelli.
Il 14 luglio le truppe della Resistenza Popolare, con l'appoggio della coalizione guidata dall'Arabia Saudita, hanno riconquistato l'aeroporto di Aden e il distretto di Khormaksar. Negli scontri, i ribelli hanno lanciato diversi razzi Katyusha, che hanno colpito i quartieri settentrionali e orientali di Aden. Gli houthi hanno colpito anche una raffineria di petrolio, provocando 12 vittime e 105 feriti.
I combattimenti hanno interrotto la tregua umanitaria che le Nazioni Unite avevano indetto il 9 luglio e che sarebbe dovuta durare dal 10 al 17 luglio, sino alla fine del mese sacro del Ramadan. Secondo l'Onu, l'80 per cento dei 25 milioni di abitanti del Paese - ovvero 21 milioni di persone - ha bisogno di assistenza umanitaria.
Gli scontri in Yemen hanno finora causato la morte di oltre 3.200 persone, da quando, il 26 marzo del 2015, la coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita ha intrapreso una campagna militare per contenere l’avanzata dei ribelli sciiti houthi nel Paese e tentare di re-insediare al potere l'ex presidente yemenita, Abd-Rabbu Mansour Hadi, attualmente in esilio a Riyadh.
Al momento ci sono otto Paesi arabi che, con il supporto logistico di Stati Uniti, Regno Unito e Francia, formano la coalizione guidata dall'Arabia Saudita in Yemen.
Le otto nazioni della coalizione, tra cui c'è anche l'Egitto, non hanno escluso l'utilizzo o l’invio di truppe via terra nel Paese. La coalizione saudita che sta attaccando lo Yemen avrebbe fatto uso di bombe a grappolo, vietate dalla maggior parte dei Paesi, ha riferito la Ong Human Rights Watch.
L’Iran, che supporta gli houthi, non riconosce l'ex presidente Hadi come legittimo capo di stato e ha riferito che considera gli attacchi aerei della coalizione saudita come un intervento negli affari interni yemeniti.
Fonte: The Post Internazionale
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