Stefano Grazioli
Narva, Estonia
Narva è una piccola città dell’Estonia al confine con la Russia, da cui è divisa ora dall’omonimo fiume. Poco più di 60mila abitanti, la stragrande maggioranza di etnia russa. Per oltre duecento anni ha fatto parte dell’impero zarista, sino all’indipendenza dell’Estonia nel 1918. Poi Hitler e Stalin contribuirono a cambiare qualche coordinata. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la fortezza attigua di Ivangorod, fondata già nel 1492 dal Granduca di Moscovia sull’altra sponda della Narva, fu separata da quella che era la Repubblica sovietica estone e ne uscirono così due città distinte. Dal crollo dell’Urss nel 1991 Narva è estone, Ivangorod russa.
La situazione in realtà non è particolarmente differente da quella di altri centri del Baltico, a partire per esempio da Riga, capitale della Lettonia, dove i circa 700mila abitanti sono quasi per metà russi, la lingua di Tolstoj è parlata correntemente e pure il sindaco Nils Usakovs è di etnia russa, leader del partito della minoranza russa Centro dell’armonia, che è anche la formazione di maggioranza relativa al parlamento lettone. Estonia, Lettonia e Lituania fanno parte da oltre dieci anni sia dell’Unione europea che della Nato e sono ormai pienamente integrate nell’architettura economica e di sicurezza occidentale.
Nonostante questo, negli ultimi mesi la crisi ucraina ha fatto crescere le preoccupazioni sul Baltico e i rapporti già difficili con la Russia sono peggiorati: come in Ucraina, nelle tre repubbliche baltiche la minoranza russa è forte e negli ultimi cinque lustri è stata inoltre ampiamente discriminata, basta contare gli oltre 300mila alieni della Lettonia, cittadini senza passaporto e diritti civili. Il problema è noto, messo però al silenziatore dall’Unione Europea. La guerra civile in Ucraina ha fatto tornare d’attualità le frizioni interne tra Tallinn, Riga e Vilnius e naturalmente a Narva, casualmente gemellata proprio con Donetsk, capoluogo del Donbass e roccaforte dei separatisti filorussi che vogliono autonomia da Kiev.
È forse per questo che il paesello estone è stato preso come punto di partenza di uno scenario che nel peggiore dei casi potrebbe condurre alla Terza guerra mondiale. Da qui, infatti, secondo un’analisi riportata su Vox.com, potrebbe scoppiare la scintilla che porterebbe all’escalation nucleare e alla fine del Mondo. Game Over. Lo schema è semplice e ricalca in buona sostanza ciò che è successo in Ucraina a partire dalla primavera del 2014, dopo la deposizione di Victor Yanukovich e l’annessione della Crimea da parte della Russia: dai disordini politici interni si è passati al conflitto armato, alla guerra civile e alla proxy war, la guerra per procura che Russia e Occidente (gli Stati Uniti con l’assenso dell’Unione Europea) combattono nel sudest dell’ex repubblica sovietica. Ma la differenza con Narva e l’Estonia è appunto che la repubblica sul Baltico è membro dell’Alleanza atlantica e per questo lo scenario non è realisticamente ripetibile: le condizioni di partenza sono differenti e come ha detto Vladimir Putin nella sua recente intervista al Corriere della Sera, «solo una persona non sana di mente o in sogno può immaginare che la Russia possa un giorno attaccare la Nato».
Ciò che ha scatenato la guerra nel Donbass non sono tanto le diatribe linguistiche o storiche in Ucraina, tantomeno le differenze di fondo tra l’elettorato filorusso e quello filoeuropeo, ma le pressioni esterne che hanno creato le condizioni per la rivoluzione di piazza contro Yanukovich e il cambio di regime pilotato. Senza il supporto occidentale concesso direttamente e indirettamente all’opposizione e alle frange estremiste armate e senza la volontà occidentale di rovesciare l’ex presidente, deciso a portare il paese verso Mosca e non verso Bruxelles e la Nato, il destino di Kiev sarebbe ora diverso. L’Ucraina è diventata teatro di una guerra per il fatto di non essere stata ancora agganciata alle strutture occidentali: Estonia, Lettonia e Lituania non hanno quindi nulla da temere perché non è negli interessi di nessuno ripetere il modello del Donbass. Le tre repubbliche baltiche non hanno per la Russia nessuna valenza strategica, nessun peso rispetto all’Ucraina e dei problemi etnici il Cremlino, guidato sempre da un pragmatismo politico, economico e geostrategico, non ne fa una questione di principio, né dentro né fuori la Russia.
Oggi la situazione in Ucraina è catastrofica, dal punto di vista politico ed economico. I rating di Petro Poroshenko e Arseni Yatseniuk, presidente e capo del governo, sono peggiori di quelli che avevano i loro omologhi Yanukovich e Azarov due anni fa, ciò nonostante la piazza resta paradossalmente quieta: Maidan, nel 2014 come nel 2004, ha avuto una regia esterna che ora ha raggiunto il suo obbiettivo e non ha interesse a modificare lo status quo. A Narva queste operazioni non sono necessarie, ecco perché le ipotesi catastrofiche di una Terza guerra mondiale che parta dal Baltico sono poco realistiche e strumetali.
Fonte: Linkiesta.it
Nessun commento:
Posta un commento