Cristina Giudici
(ALFONSO DI VINCENZO/AFP/Getty Images)
Fra i profughi non esattamente profughi, cioè migliaia di migranti economici scappati dalla miseria, ma non dalle guerre o dalle persecuzioni, ora si è diffuso un nuovo mestiere: lo storyteller. E cioè quello del cantastorie che, per pochi euro, inventa e vende tragiche vicende da sottoporre alle commissioni preposte a valutare se concedere lo status dei rifugiati ai richiedenti asilo.
In questa emergenza umanitaria che ormai è diventata strutturale (e dal gennaio del 2015 ha portato in Italia oltre 100 mila persone sbarcate in Sicilia), c’è chi usa la fantasia per aggrapparsi agli scogli dell’Europa. Linkiesta lo ha appreso in un viaggio nei centri di accoglienza, dove vengono portati quelli che chiedono di restare in Italia. In attesa di entrare nel circuito-girone che dura in media un anno, spesso due, prima di sapere se avranno o meno lo status di rifugiato o una protezione umanitaria.
Perché mentre a Bruxelles si litiga ancora per definire le quote dei profughi da ridistribuire o ricollocare in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, in Italia ci si arrangia come si può. E spesso, per timore di offendere il sentimento politicamente corretto che induce alla lecita e doverosa pietas verso chi ci chiede aiuto e protezione, si preferisce ignorare un fatto evidente: il flusso dell’immigrazione illegale è cambiato. La maggior parte dei migranti salvati nel Canale di Libia nel 2015 non sono più solamente siriani ed eritrei, ma sempre più spesso africani subsahariani, che fuggono soprattutto dalla miseria.
Migranti economici, quindi, non profughi. Per rendersene conto basta varcare le soglie di un centro di accoglienza della Sicilia orientale. Come quello di Città Giardino, in provincia di Siracusa, dove dopo due o tre giorni da uno sbarco, chi scrive questo articolo ha trovato solo donne nigeriane. Che, interpellate da Linkiesta, hanno dato motivazioni bizzarre per spiegare come mai abbiano attraversato il deserto e viaggiato sui barconi e/o gommoni con il terrore di annegare.
Mary per esempio, 22 anni, ci ha raccontato una storia confusa su una maledizione, un rito malefico legato alle credenze ancestrali del suo villaggio, subito dalla famiglia di suo marito, che l’avrebbe costretta a scappare. Mary, quindi, arrivata da sola con un neonato fra le braccia, sarebbe venuta in Italia per colpa di una witch: una strega. Anche Blasy, 20 anni, spiega di essere fuggita dalla Nigeria per sottrarsi alle violenze domestiche di un marito padrone. Ed è difficile sapere se stia raccontando la verità.
Secondo gli operatori umanitari che le hanno accolte, è improbabile che entrambe vengano rimpatriate. Perché non si può rimandare indietro una giovane donna con un figlio, che ha affrontato il viaggio nel deserto, subito le torture fisiche e psicologiche da parte dei trafficanti in Libia. E sfidato la sorte su un gommone. E forse è anche giusto sia così. Ma è anche giusto dire come stanno le cose: ormai l’esodo che spinge verso le coste siciliane è cambiato. A scendere dai mercantili, dalle navi della Guardia Costiera, sono soprattutto africani subsahariani che vengono dalla Nigeria, dal Gambia, dal Ghana, dal Mali e dal Senegal.
I poliziotti che ogni giorno accolgono centinaia di migranti nei porti stanno raccogliendo testimonianze che negli ultimi mesi riportano più o meno tutti la stessa versione dei fatti. E cioè che hanno lasciato i loro villaggi inariditi dalla siccità e bruciati dalla miseria per andare a lavorare in Libia. E non avevano alcuna intenzione di venire in Europa. Sono arrivati in Italia perché costretti a salire sui barconi dai trafficanti libici oppure perché la guerra fra le milizie, l’instabilità economica e politica ha reso la loro permanenza in Libia troppo pericolosa.
Una volta arrivati qui, per restare in Europa, per essere accolti, si inventano storie di persecuzioni, che non possono essere verificate. E infatti basta andare a Bresso, nell’hub lombardo per profughi gestito dalla Croce Rossa, per rendersene conto. Dopo diverse ore passate all’ingresso della caserma trasformata in un centro di accoglienza, che accoglie e smista ogni giorno centinaia di profughi arrivati in pullman dalla Sicilia, abbiamo trovato solo un profugo che aveva l’aria di esserlo: Mohamed, afghano, arrivato a Venezia, attraverso la Turchia, per sfuggire all’ira dei talebani.
Ad uscire e ad entrare dal centro di Bresso, a cui la stampa non ha accesso, sono soprattutto africani. Del Senegal e del Mali. Sbarcati in Sicilia nell’ultimo mese. Questo è il caso in cui le statistiche, i dati, servono a comprendere parzialmente ciò che accade. Sappiamo che nel 2014 le richieste di asilo in Italia sono state 64mila, di cui sono state esaminate meno della metà. E si è verificato un aumento, in un anno, rispetto al 2013, del 143% delle richieste, alle quali fino ad oggi, nel 2015, se ne sono aggiunte altre 20mila, ma esiste un’anomalia italiana (un'altra?).
Nella classifica delle nazionalità dei richiedenti asilo in Italia, al primo posto si trovano migranti del Gambia, seguiti da quelli del Senegal e della Nigeria, del Mali. Paesi in balia di crisi strutturali economiche e sociali, non dilaniati da guerre civili, persecuzioni religiose o politiche. Perché i profughi veri, quelli che vengono dalla Somalia, dall’Eritrea e dalla Siria, in Italia non ci restano. E proseguono verso Nord, in Germania, in Francia, in Svezia.
E infatti nel primo trimestre del 2015, su 10mila richieste di asilo, in Italia, la metà sono state rifiutate.
E forse non è un caso se un ragazzo del Senegal, uscito dal centro-hub di Bresso - che si toglie gli occhiali per farci vedere una ferita sulla guancia destra dicendo «Nel mio Paese sono perseguitato», ma senza riuscire a spiegare da chi e perché - susciti un sorriso compassionevole, ma al contempo scettico da parte dei volontari che lo hanno accolto. E allora nell’anomalia italiana, è normale che si arrangi come si può.
Il traffico degli esseri umani fa leva sulle speranze di un destino migliore, sulla miseria, sulle povertà. E per non tornare al punto di partenza si è disposti a fare qualsiasi cosa. Anche a vendere storie di persecuzioni mai subite. E allora davanti a questo esodo che spinge migliaia di africani subsahariani sui barconi e gommoni dalla Libia, che provoca stragi nel canale di Sicilia, i casi sono due: o si cerca di fermare il traffico, creando un corridoio umanitario laddove si crea il traffico, per arginarlo e fermare le stragi in mare. O si cambiano i criteri per stabilire chi è profugo e ha diritto a una protezione umanitaria. Anche per ragioni economiche.
Fonte: Linkiesta.it
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