Panayotis Lafazanis, ex ministro dell'energia greco e leader dei dissidenti di Syriza (AP Photo/Thanassis Stavrakis)
Il Financial Times ha scritto che meno di due settimane fa in Grecia alcuni politici di Syriza si sono incontrati e hanno parlato di un piano per realizzare una specie di colpo di stato. Secondo l’autorevole quotidiano economico britannico, un gruppo di dissidenti interni di Syriza, il partito del primo ministro Alexis Tsipras, ha discusso un piano per arrestare il governatore della Banca centrale, occupare la zecca, uscire dall’euro e chiedere aiuto al presidente russo Vladimir Putin. Il “colpo di stato”, scrive il Financial Times citando alcune sue fonti, era stato pensato dopo che Tsipras aveva accettato le dure condizioni economiche chieste alla Grecia dai creditori internazionali nonostante la vittoria del “no” al referendum tenuto poco prima. La minoranza di Syriza aveva considerato la decisione di Tsipras un “tradimento”. Come si può immaginare, il “colpo di stato” non è andato oltre una fase molto “embrionale” di pianificazione.
Il Financial Times scrive che tutto si sarebbe svolto il 14 luglio all’interno dell’Hotel Oscar di Atene dove si erano riuniti i principali dissidenti di Syrizia, guidati dall’ex ministro dell’energia Panayotis Lafazanis. In quei giorni Tispras aveva appena concluso a Bruxelles un accordo molto duro per un nuovo prestito alla Grecia e doveva far approvare un pacchetto di riforme dal Parlamento greco. Nel suo partito in molti erano contrari. I dissidenti decisero di incontrarsi proprio all’Hotel Oscar per studiare un piano alternativo. Secondo il Financial Times, durante la riunione fu proprio Lafazanis a proporre un piano particolarmente ardito che comprendeva impadronirsi del governo, sequestrare la zecca e la Banca centrale. Visto che i dissidenti di Syriza non hanno una maggioranza parlamentare, l’ipotesi suggerita dal Financial Times è che i dissidenti volessero prendere il potere in maniera rivoluzionaria.
Il controllo della zecca avrebbe permesso ai dissidenti di ottenere «22 miliardi di euro» di riserve monetarie con cui pagare stipendi e pensioni e importare cibo e carburante. Con questi soldi e grazie all’aiuto della Russia di Putin, i dissidenti pensavano di poter gestire la situazione economica della Grecia per il tempo necessario a introdurre una nuova moneta nazionale. Il piano prevedeva l’arresto di Yannis Stournaras, il governatore della Banca centrale, nel caso si fosse opposto alla fine dell’indipendenza dell’istituzione. Il piano non è stato mai messo in pratica e nei giorni successivi i dissidenti sono stati espulsi dal governo.
Il primo a parlare della riunione è stato lo scorso 15 luglio un quotidiano greco considerato vicino al PASOK, un partito di centro-sinistra, ma la notizia non era stata ripresa da nessun altro giornale. Il Financial Times ha basato la sua ricostruzione sulle interviste ad alcuni partecipanti agli incontri, tra cui importanti funzionari del governo greco, e sui colloqui avuti con alcuni giornalisti che erano presenti all’hotel al momento della riunione e che sono stati informati dagli stessi partecipanti sugli argomenti discussi. Lafazanis non ha commentato la vicenda, ma il suo portavoce non ha mai smentito l’esistenza della riunione. Secondo Donald Tusk, presidente del Consiglio dell’Unione Europea, nei giorni del voto sul nuovo accordo si respirava in Grecia «un’aria rivoluzionaria» e Wolgang Münchau, uno dei principali analisti economici del Financial Times, scriveva che secondo lui la Grecia sarebbe «uscita dall’euro con un’insurrezione».
Al di là dei timori di commentatori e politici europei – comprensibili nei giorni piuttosto tumultuosi dell’accordo – è probabile che la cospirazione non abbia mai avuto nessuna possibilità di realizzarsi veramente. Tanto per cominciare per essere un complotto era abbastanza pubblico, come hanno raccontato al Financial Times i giornalisti presenti nell’hotel durante la riunione. Il piano era così poco segreto che il giorno dopo un giornale ostile a Syriza aveva pubblicato un articolo in cui raccontava il contenuto della riunione. Un importante banchiere greco ha commentato dicendo che l’intero piano era «pura fantasia».
Anche nella remota ipotesi che i dissidenti fossero riusciti a mettere in atto i loro propositi è probabile che il risultato sarebbe stato un disastro per la Grecia. La riserve liquide della zecca greca ammontano soltanto a una decina di miliardi di euro (non 22 come pensavano i dissidenti) sufficienti a garantire al paese un autonomia di poche settimane: molto meno dei diversi mesi necessari alla creazione e all’introduzione di una nuova moneta. Anche la speranza di un aiuto da parte della Russia era piuttosto aleatoria. In queste settimane il governo russo si è dimostrato poco disponibile a prestare alla Grecia il denaro necessario a sistemare i suoi guai finanziari. La Russia infatti ha un economia complessivamente molto più piccola dell’eurozona (ha un PIL pari più o meno a quello della sola Italia) e si trova lei stessa in una difficile situazione finanziaria.
Fonte: Il Post
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