mercoledì 22 luglio 2015

L’ISIS sta diventando davvero uno stato?

Se lo chiede il New York Times, citando la progressiva regolamentazione e sicurezza delle aree governate attraverso il terrore

Una manifestazione a favore dell'ISIS a Mosul, in Iraq. (AP Photo, File)

Il New York Times ha raccontato in un articolo scritto da Tim Arango – giornalista esperto di Medio Oriente – come nel corso dell’ultimo anno lo Stato Islamico (o ISIS) abbia cominciato a trasformarsi da movimento terroristico e struttura militare in uno stato vero: con un suo sistema giudiziario, un suo corpo di polizia, un nuovo sistema di tassazione, dei nuovi documenti d’identità per i suoi cittadini e così via. L’ISIS ha usato il terrore come strumento principale per la costruzione del suo sistema statale: nel corso dell’ultimo anno ha massacrato le persone appartenenti a minoranze etniche e religiose, ha costretto alla schiavitù centinaia di donne, ha addestrato i bambini a uccidere e ha diffuso video molto brutali per mostrare l’uccisione di ostaggi di paesi nemici. Più di una volta in passato si è letto e sentito dire che l’ISIS era andato troppo oltre e che ci sarebbe stata una forte reazione esterna che avrebbe distrutto il gruppo. Così non è stato. Secondo Arango – e altri prima di lui – l’ISIS ha volutamente usato la paura come strumento per la costruzione di uno stato rivoluzionario, come successe già con la Rivoluzione francese che abolì la monarchia assoluta, con quella bolscevica in Russia e con quella comunista in Cina.

Il terrore come strumento per la costruzione di uno stato è oggi considerato incivile ed estraneo dalle democrazie Occidentali: negli ultimi anni, soprattutto durante le guerre in Iraq e Afghanistan, si è sentito molto parlare dell’importanza della conquista “dei cuori e delle menti”. Una volta abbattuto un regime – come quello di Saddam Hussein in Iraq o dei talebani in Afghanistan – la ricostruzione di uno stato ha bisogno del consenso della popolazione locale. L’ISIS ha invece costruito il suo stato sulla brutalità e sull’idea di una battaglia permanente, tipiche di un regime rivoluzionario. Ha imposto nuove tasse. Ha introdotto nuove pene più severe per gli assassini, i ladri, gli omosessuali e le donne adultere, e ha crocifisso gli uomini accusati di essere spie nelle piazze delle città sotto il suo controllo. Ha introdotto i divieti di fumare e ascoltare musica e l’obbligo per le donne di coprirsi integralmente. E ha continuato a fare la guerra su diversi fronti, cercando di conquistare nuovi territori.

Nei mesi dopo la nascita del “Califfato Islamico”, risalente all’estate del 2014, diversi commentatori misero in dubbio l’efficacia e la stabilità del sistema statale dell’ISIS. Si era cominciato a parlare di malcontenti della popolazione e di grandi difficoltà economiche, mai conosciute fino a quel momento (l’ISIS è stato definito il gruppo terrorista più ricco della storia e praticamente l’unico ad avere sviluppato un’economia autosufficiente, basata solo marginalmente su donazioni esterne). Delle debolezze dell’ISIS aveva scritto lo scorso dicembre la giornalista statunitense Liz Sly sul Washington Post:

«Diversi abitanti dei territori dell’Iraq e della Siria controllate dall’ISIS dicono che i servizi stanno crollando, i prezzi stanno aumentando e i medicinali sono scarsi. Di fatto smentiscono gli annunci dei miliziani del gruppo che sostengono di avere creato un modello di governo per tutti i musulmani. I video molto curati dello Stato Islamico – dove vengono mostrati uffici governativi in funzione e meccanismi per la distribuzione di aiuti – non corrispondono alla realtà. La leadership dell’ISIS sembra più inefficace e disorganizzata e sta contribuendo all’impoverimento globale.»

Una tesi simile è stata sostenuta qualche mese dopo anche dall’Economist, che aveva scritto che i bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti sulle installazioni petrolifere controllate dall’ISIS in Siria e in Iraq avevano provocato un netto calo dei profitti del gruppo. Meno soldi significava meno servizi e meno capacità di garantirsi l’appoggio della popolazione.

Ma l’ISIS è sopravvissuto e non pare meno forte rispetto a diversi mesi fa. Ci sono anzi diverse cose che funzionano nello stato costruito dall’ISIS, anche se il loro rispetto è basato soprattutto sul terrore. Per esempio i funzionari dell’ISIS sembrano essere molto poco corruttibili, a differenza della vecchia leadership di Saddam Hussein e di quella attuale ancora presente in Siria. Un uomo che ha parlato con il New York Times ha spiegato: «Tu puoi viaggiare da Raqqa [in Siria] a Mosul [in Iraq] e nessuno si permette di infastidirti anche se hai con te un milione di dollari. Nessuno lo farebbe nemmeno se avessi con te un solo dollaro». Un altro uomo ha raccontato di avere vissuto sia in un territorio controllato dall’Esercito Libero Siriano – ELS, uno dei gruppi di ribelli più moderati che combattono in Siria contro il regime di Bashar al Assad – sia in un territorio sotto il controllo dell’ISIS: l’uomo ha detto che i membri dell’ELS «sono come il regime. Sono dei ladri», mentre sotto l’ISIS la vita può essere brutale ma anche più stabile. Arango scrive che una cosa simile era successa in Afghanistan con l’arrivo dei talebani due decenni fa: i talebani facevano molta paura alla popolazione, la loro idea di giustizia era brutale, ma venivano anche rispettati per avere ridotto molto la corruzione e il caos.

Un recente studio pubblicato su Foreign Affairs, autorevole rivista statunitense che si occupa di politica internazionale, si è concentrato in particolare sull’evoluzione del sistema di leggi e della giustizia che si è sviluppato nel Califfato Islamico. Secondo gli autori dello studio in futuro l’ISIS potrebbe diventare uno stato “normale”, basato su delle leggi molto semplificate e su alcune istituzioni ispirate alla storia dell’Islam antico. John McLaughlin, ex vicedirettore della CIA, ha aggiunto che di recente l’ISIS sembra avere moderato la sua brutalità, come hanno fatto altri movimenti rivoluzionari nella storia. Per McLaughlin è difficile immaginare che il Califfato Islamico diventi uno stato legittimato, con aeroporti funzionanti e passaporti per esempio, ma «non è inconcepibile».

Fonte: Il Post

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