domenica 15 novembre 2015

Perché Parigi

La capitale francese è stata colpita da una serie di attentati negli ultimi 11 mesi per punire l'interventismo dell'Eliseo in Africa contro gli Jihadisti

Di Paolo Ribichini


La spensieratezza. Quella del venerdì sera. Quella dei giovani che vanno a vedere una partita allo stadio. Quella dei ragazzi che assistono ad un concerto. Quella di chi, dopo una settimana di lavoro, si siede ad un tavolo di un ristorante e vuole trascorrere solo ore liete. Bene, quella spensieratezza non c’è più. Non solo a Parigi. Non c’è più nemmeno da noi. Qui non si tratta di Charlie Hebdo. Non si tratta di un giornale “colpevole” di aver offeso Maometto. Qui c’è in ballo non solo la libertà di stampa, ma la libertà in tutte le sue espressioni. La libertà di vivere sereni.

Perché Parigi. Qualcuno oggi vuole spiegarci che in fondo questo è il risultato dell’atteggiamento dei governi occidentali nei confronti del mondo musulmano. Eppure, proprio Parigi si è dissociata, insieme alla Germania, di fronte all’intervento scellerato in Iraq da parte di Usa e Gran Bretagna. Ha tenuto sulla Siria sempre un atteggiamento prudente. Ha probabilmente sbagliato solo sulla Libia, dove ha cercato in ogni modo di spingere la Nato ad un intervento militare che, tra l’altro, ha favorito, involontariamente l’Isis. Ma la Francia, in realtà, deve forse scontare l’efficace e fulmineo intervento militare nel Mali contro le milizie jihadiste, intervento che ha condotto in solitaria, e soprattutto nel totale silenzio dei media italiani ed europei. È forse proprio questo il punto da cui partire per comprendere il perché. Perché Parigi e non Londra. Perché Parigi e non Roma. Perché se è vero che anche Roma e Londra sono a rischio, negli ultimi 11 mesi l’unica città ad aver subito attacchi violenti è stata solo la capitale francese.

Quelli che per una volta potrebbero tacere. Poi c’è qualcuno che oggi dalle prime pagine di un giornale chiama “bastardi” gli islamici. Senza distinzioni e soprattutto senza capire che tutto questo con l’Islam non c’entra nulla. E i fomentatori d’odio, sono come i terroristi. Non uccidono con i kalashnikov, uccidono con le parole e, talvolta, possono fare anche più morti. A questi si accodano politici di ultimo rango. Persone che per una manciata di voti venderebbero la propria madre ai più spietati miliziani dell’Isis. Salvini è uno di questi. Un piccolo politico che non conosce il senso della responsabilità, che oggi ha parlato quando poteva tacere, che oggi ha dimostrato di essere il nulla fatto politica. Chiede un intervento militare in Siria e in Libia. Per fare cosa? Gli Usa sono bravissimi a vincere le guerre, ma pessimi quando devono poi vincere la pace. Perché non basta cacciare il dittatore di turno perché la pace trionfi. Saddam, Gheddafi e in parte anche Assad dimostrano come le transizioni verso la democrazia non sono affatto semplici se non c’è chi può da subito riempire il vuoto lasciato da un regime. Spiegatelo a Salvini. Magari la prossima volta sceglierà di tacere.

Fonte: Diritto di critica

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