giovedì 26 novembre 2015

A cosa serve la paghetta di Stato, se le università fanno schifo?

Investire nel sapere in Italia non conviene: basse opportunità di lavoro e ancor più bassi stipendi. Dare 500 euro una tantum non serve a nulla, se non si è grado di garantire un futuro

di Thomas Manfredi

TIZIANA FABI/AFP/Getty Images

È una triste realtà quella delle università italiane disegnata dai numeri impietosi della pubblicazione Ocse, Education at a Glance 2015, presentata ieri a Roma, alla presenza di rappresentanti del Governo. Ha suscitato il solito scalpore, che però - temiamo - resterà come sempre vano, senza piani di policy specifici dell’esecutivo, che ha sin qui pacchianamente spacciato la Buona Scuola come la soluzione definitiva a quella che pare una vera emergenza nazionale.

L’allarme è certamente ben sintetizzato dal primo grafico, che riporta i tassi di occupazione dei 25-34enni con un titolo di studio equivalente alla laurea triennale in Italia, Francia e Germania. Si nota facilmente come i laureati italiani abbiano sempre meno possibilità di lavoro, in modo quasi lineare dal 2000 in avanti. Il tasso di occupazione dei giovani laureati italiani è di 25 punti percentuali più basso degli omologhi in Francia e Germania. Il declino nell’occupabilità dei nostri giovani laureati, importante ricordarlo, è iniziato ben prima della crisi finanziaria, poi tramutatasi in crisi sistemica dei paesi periferici della Zona Euro.

tassi di occupazione dei 25-34enni con un titolo di studio equivalente alla laurea triennale in Italia, Francia e Germania

Questa evidenza è rinforzata dal secondo grafico, che mostra lo stesso indicatore per i paesi periferici, soggetti a shock economici importanti dal 2010 in avanti. L’Italia è il solo paese fra i PIIGS - gli altri sono Portogallo, Irlanda, Spagna e Grecia - ad avere sperimentato una decrescita nel tasso di occupazione dei laureati ben prima del 2010. A fine 2014, ultimo anno con dati disponibili, il tasso di occupazione dei giovani laureati italiani è addirittura più basso di quello dei corrispettivi greci. Serve qualche commento in più per descrivere questa vera e propria débâcle di proporzioni bibliche? Il confronto con la Spagna, che ha problemi simili al nostro quanto a qualità del capitale umano e scarsa partecipazione all’istruzione universitaria, è impietoso. Nonostante la grave crisi, il tasso di occupazione spagnolo è ben 12 punti percentuali più altro di quello italiano.

"L’Italia è il solo paese fra i PIIGS - gli altri sono Portogallo, Irlanda, Spagna e Grecia - ad avere sperimentato una decrescita nel tasso di occupazione dei laureati ben prima del 2010.

Non vorremmo sembrare troppo pessimistici, ma la situazione in cui versano i giovani, soprattutto i più “fortunati” o i più “temerari” nello scegliere comunque di studiare, nonostante ritorni attesi bassissimi, è emergenziale. Che cosa sta facendo il Governo per migliorare la qualità dell’istruzione e le nostre Università? Ci sentiamo di poter dire poco o nulla, se non i soliti annunci sul ritorno dei cervelli, e altri piani marginali che non intaccano la vera causa di questo spreco infinito di risorse pubbliche: le nostre università devono cambiare. Vi è sempre una sollevazione popolare nel momento in cui qualcuno ricorda che una scuola non è poi tanto diversa da ogni altra azienda o impresa. Ma anche ammettendo che la funzione scolastica non si esaurisca nella ricerca di un profitto, possibile che non si colga che i cattivi risultati di un’organizzazione sono sempre da ricercare in cattive pratiche gestionali e organizzative? Non si vede alcun segnale di una seria presa di coscienza del problema citato, al momento. Evidentemente la tiepida ripresa sistemerà tutto, by magic, e le università torneranno a essere quel motore d’innovazione e conoscenze che tutti vorrebbero che fossero.

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Fonte: Linkiesta.it

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