Donald Trump con sua moglie Melania. (Spencer Platt/Getty Images)
L’imprenditore statunitense Donald Trump ha sostanzialmente vinto le primarie del Partito Repubblicano e sarà quindi il candidato del principale partito americano di opposizione alle elezioni presidenziali del prossimo 8 novembre 2016. La vittoria di Trump non è ancora ufficiale ma è ormai inevitabile, visto che stanotte il suo principale sfidante, il senatore Ted Cruz, ha perso male le primarie in Indiana e ha deciso di sospendere la sua candidatura, che nella politica americana equivale a ritirarsi (la “sospensione” serve formalmente per continuare a pagare debiti e stipendi, e raccogliere donazioni dai sostenitori).
Trump fin qui alle primarie ha ottenuto 1.007 delegati, gliene servono 1.237 per essere certo della nomination; ce ne sono ancora in palio circa 450, e dovrebbe ottenerli quasi tutti lui visto che l’ultimo candidato rimasto in campo, il governatore John Kasich, è staccatissimo nei sondaggi e da tempo non ha nessuna possibilità di vincere.
L’Indiana era rimasto uno degli ultimi stati abbastanza grandi e influenti da poter cambiare qualcosa nelle primarie dei Repubblicani, ma Trump ha confermato l’ascesa della sua candidatura e ha vinto con il 53,3 per cento dei voti, ottenendo tutti i 51 delegati in palio grazie al criterio maggioritario con cui sono assegnati. Ted Cruz ha ottenuto il 36 per cento, John Kasich il 7,6 per cento.
Kasich si trova ora nella singolare condizione di essere il quarto classificato di una gara con solo due giocatori: sia Ted Cruz che Marco Rubio, infatti, hanno ottenuto più delegati di lui ma hanno sospeso le loro campagne elettorali. Kasich, che è il relativamente moderato governatore dell’Ohio, sostiene di essere l’unico candidato che possa battere Hillary Clinton a novembre e da mesi dice che il suo obiettivo è impedire a Trump di arrivare a 1.237 delegati per poi ottenere la candidatura convincendo i delegati direttamente alla convention. Al primo scrutinio della convention i delegati sono vincolati a votare il candidato con cui sono stati eletti alle primarie: quando Trump arriverà a 1.237 la sua vittoria sarà certa.
Il discorso con cui Ted Cruz ha annunciato il suo ritiro:
Tra i Democratici la partita è considerata chiusa ormai da qualche tempo: in Indiana ha vinto il senatore Bernie Sanders, che ha ottenuto il 52,5 per cento contro il 47,5 di Hillary Clinton, recuperando però appena sei delegati a causa del criterio proporzionale con cui sono distribuiti.
Nel conto generale Sanders rimane molto indietro sia tra i delegati eletti con le primarie che tra i cosiddetti “superdelegati”, cioè i funzionari, dirigenti e parlamentari del partito che alla convention partecipano di diritto votando chi vogliono; ed è in svantaggio anche nel voto popolare – Clinton ha ottenuto tre milioni di voti in più – e nel numero di stati vinti. L’unica speranza per Sanders di vincere la nomination è che un numero consistente di “superdelegati” decida di votare in direzione opposta a quanto indicato dagli elettori del Partito Democratico, e sostenere lui invece che Clinton: l’ipotesi è considerata praticamente impossibile, visto che i “superdelegati” tendono storicamente a seguire le intenzioni del voto popolare.
In vista delle elezioni di novembre, per il momento i sondaggi e le analisi dicono che Trump è molto sfavorito: la maggioranza dell’elettorato americano ha un’opinione negativa di lui, e soprattutto lo detestano quasi tutte le persone afroamericane o di origini latinoamericane, cioè i due segmenti demografici più in crescita del paese, sempre più influenti in stati importanti come la South Carolina, la Florida, il Nevada, il Colorado, l’Arizona. I sondaggi che cercano di prevedere oggi cosa accadrà a novembre vanno presi però con grandissima cautela: in primo luogo perché basta guardare ai sondaggi di sei mesi fa per capire che manca ancora troppo tempo, in secondo luogo perché si parla di una campagna elettorale – Clinton contro Trump – che di fatto non è ancora cominciata, in terzo luogo perché gli Stati Uniti eleggono il loro presidente stato per stato, mentre i sondaggi ne misurano la popolarità su base nazionale.
Fonte: Il Post
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