Stéphane Charbonnier nella redazione di Charlie Hebdo, 2012. (François Guillot, Afp)
Sono 69 i giornalisti morti a causa del loro lavoro nel 2015. Il 40 per cento sono stati uccisi da miliziani di gruppi jihadisti, come Al Qaeda e Stato islamico (Is). Lo rivela il rapporto annuale della Committee to protect journalists (Cpj), che riporta anche la morte di 25 giornalisti in circostanze ancora da chiarire e la morte di tre operatori dei media. Nel 2014 i giornalisti uccisi erano stati 61.
Secondo il rapporto di Reporters sans frontières (Rsf), i giornalisti che sono sicuramente stati uccisi quest’anno per il loro lavoro sarebbero 67, gli operatori dei mezzi di informazione sette, i citizen journalist 27.
Il paese più pericoloso per i giornalisti resta la Siria, dove nel 2015 ne sono stati uccisi 13. Tuttavia il numero delle vittime è in diminuzione rispetto ai primi anni del conflitto nel paese (nel 2012 erano morti 31 giornalisti, 29 nel 2013 e 17 nel 2014), in parte perché i professionisti dei mezzi di informazione hanno lasciato il paese come migliaia di altri profughi e sempre meno giornalisti stranieri vengono mandati nel paese a coprire il conflitto. L’ultimo giornalista siriano ucciso è stato Naji Jerf, impegnato nella denuncia delle violazioni dei diritti umani del regime di Bashar al Assad e poi del gruppo Stato islamico. Jerf è stato ucciso a Gaziantep, in Turchia.
A causa dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo del 7 gennaio la Francia viene subito dopo la Siria. Secondo il rapporto di Rsf, il maggior numero di vittime è stato registrato in Iraq (11), seguito da Siria (10) e Francia (8). Le discrepanze tra i due rapporti dipendono dalle scelte di metodo delle due organizzazioni. Per esempio, Rsf non conteggia tra i giornalisti uccisi in Francia Guillaume Barreau-Decherf, il critico musicale di Les InRockuptibles ucciso alla sala da concerti Bataclan il 13 novembre.
Il Cpj denuncia di aver incontrato una certa difficoltà nelle indagini in alcuni paesi, in particolare in Iraq: di una lista di 35 giornalisti di Mosul segnalati come scomparsi, morti o tenuti prigionieri dallo Stato islamico, l’organizzazione ha potuto confermare solo la morte di cinque persone a causa delle scarse informazioni disponibili nella città controllata dall’Is.
Alcuni paesi sono entrati per la prima volta nello studio del Cpj: si tratta di Sud Sudan (il paese più giovane del mondo), Polonia e Ghana.
Il rapporto del Cpj sottolinea alcuni dati in particolare:
- 17 giornalisti sono morti durante uno scontro a fuoco o un combattimento
- cinque sono stati uccisi mentre svolgevano un lavoro particolarmente pericoloso
- almeno 28 dei 47 che sono stati assassinati hanno ricevuto minacce di morte prima di essere uccisi
- per la prima volta dal 2007 non sono stati registrati casi di giornalisti uccisi a causa del loro mestiere nelle Filippine, anche se sette sono morti in circostanze sospette. Per Rsf tre di questi sono sicuramente stati uccisi perché lavoravano per la stampa
- i reporter televisivi sono stati la categoria più colpita, con 25 morti
Il Cpj ha anche realizzato un rapporto sui 199 giornalisti che si trovano in carcere a causa del loro lavoro.
Fonte: Internazionale
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