Aveva 96 anni, era stato il capo della loggia massonica P2: per cinquant'anni il suo nome è stato tirato dentro cento storie diverse
Licio Gelli, ex imprenditore conosciuto nella Prima Repubblica soprattutto per le vicende legate alla cosiddetta loggia massonica P2, è morto intorno alle 23 di martedì 15 dicembre nella sua abitazione di Villa Wanda ad Arezzo. Gelli aveva 96 anni e negli ultimi giorni le sue condizioni di salute erano peggiorate, al punto da avere reso necessario un ricovero presso la clinica di San Rossore vicino a Pisa. In seguito era stato sottoposto ad alcuni controlli presso l’ospedale di Arezzo ed era stato poi riportato a casa dalla famiglia.
Gelli era nato a Pistoia il 21 aprile del 1919. A diciotto anni aderì al “Corpo Truppe Volontarie” per partecipare alla Guerra civile in Spagna, andando in aiuto alle forze militari nazionaliste del generale Franco. Con lui c’era il fratello Raffaello, che morì durante una delle battaglie. Tornato in Italia, negli anni Quaranta iniziò la sua collaborazione con la federazione fascista e divenne presto ispettore del partito: nel 1942 ricevette, insieme ad altri, il compito di portare in Italia il “tesoro” di Pietro II di Jugoslavia che consisteva in svariate tonnellate di lingotti d’oro. Il “tesoro” fu restituito alla fine della Seconda guerra mondiale, con un ammanco di 20 tonnellate di lingotti che secondo diverse ipotesi Gelli trattenne per se (cosa che lui però ha sempre smentito).
Nell’ultima fase della guerra Gelli partecipò alla Repubblica di Salò e lavorò come ufficiale di collegamento tra il nuovo governo fascista e le forze naziste. Quando fu evidente che gli Alleati avrebbero vinto, iniziò a fare il doppio gioco e a collaborare con i partigiani, fornendo informazioni e documenti e sviando le attività dei suoi superiori circa i rastrellamenti. Alla fine del 1944 si sposò con Wanda Vannacci, con la quale ebbe negli anni seguenti quattro figli. A guerra finita collaborò con i servizi segreti degli Stati Uniti e con quelli del Regno Unito. Divenne portaborse della Democrazia Cristiana e avviò numerosi contatti con la classe politica, che lo avrebbero aiutato negli anni successivi.
Licio Gelli aderì alla massoneria e divenne “Maestro Venerabile” della cosiddetta Propaganda 2 (P2), una loggia massonica aderente al Grande Oriente d’Italia fondata nella seconda metà dell’Ottocento, all’interno della quale erano applicate regole molto severe per garantire coperture e segretezza ai partecipanti più importanti. Fu proprio Gelli a favorire l’ingresso nella P2 di diversi personaggi legati alla politica e al mondo imprenditoriale italiano, che negli anni Settanta aderirono alla progettazione di un piano eversivo, mai realizzato, che avrebbe dovuto portare all’arresto dell’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat in seguito al fallito “golpe Borghese”.
Nei primi anni Ottanta la magistratura fece perquisire una delle ville di Gelli e una fabbrica di sua proprietà, trovando una lista di funzionari e alti ufficiali delle forze armate iscritti alla P2. Complice il grande seguito della storia sui media, l’elenco divenne molto popolare e discusso dall’opinione pubblica: comprendeva buona parte del gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, nomi di parlamentari e industriali, di giornalisti e di personaggi famosi per vari motivi come Silvio Berlusconi, all’epoca non ancora in politica, e Maurizio Costanzo. Gelli fuggì in Svizzera e in seguito in America del Sud, ma nel 1987 si costituì. Intanto in Italia il Parlamento si affrettò ad approvare una nuova legge per mettere al bando tutte le associazioni segrete e a creare una Commissione parlamentare che lavorò due anni alla loggia P2.
Gelli fu anche coinvolto nel processo per la strage di Bologna del 1980 in cui furono uccise 85 persone, nell’ambito della cosiddetta strategia della tensione: fu condannato con sentenza definitiva per depistaggio nel 1995. L’anno precedente era stato invece condannato a 12 anni di carcere per frode nell’ambito della bancarotta del Banco Ambrosiano avvenuta nel 1982, una delle principali banche private cattoliche italiane. Per la P2 fu condannato a tre anni di carcere.
Licio Gelli scontò la pena per il Banco Ambrosiano nella sua villa Wanda ad Arezzo, a poca distanza dal centro storico. Nel 2013 fu nuovamente indagato insieme ad alcuni familiari per presunti reati fiscali per 17 milioni di euro. La sua storia in questi anni è stata raccontata in molte occasioni in libri e documentari che, con molte difficoltà, hanno provato a ricostruire le complicate vicende della P2 e delle organizzazioni eversive tra gli anni Settanta e Ottanta.
Fonte: Il Post
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