Il governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi (NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images)
La Banca Centrale Europea (BCE) ha abbassato il tasso d’interesse sui depositi da -0,2 per cento a -0,3 per cento. La decisione era molto attesa e molti analisti si aspettavano un taglio dei tassi più sostanzioso, di circa 20 punti base, che avrebbe portato il tasso di deposito al -0,4 per cento. Mario Draghi, governatore della BCE, ha detto che gli altri due tassi di interesse, quello di rifinanziamento principale e quello detto “Overnight”, sono rimasti invariati rispettivamente allo 0,05 per cento e allo 0,3 per cento; ha spiegato che dei tre tassi quello sui depositi influisce maggiormente nel breve termine. Draghi ha annunciato anche che il programma di acquisto di titoli, il cosiddetto “quantitative easing“, verrà esteso fino a marzo 2017, ed eventualmente oltre, se ce ne sarà ancora bisogno. Al momento la BCE spende circa 60 miliardi di euro nell’acquisto di titoli ogni mese, l’ultima decisione prima di oggi prevedeva l’acquisto di titoli fino a settembre 2016.
Rispondendo alle domande successive alla conferenza stampa Draghi si è detto soddisfatto di quanto ottenuto finora attraverso la politica monetaria della BCE , con la decisione di oggi ha voluto «consolidare ciò che è ha avuto successo» e che le nuove misure hanno bisogno di tempo per mostrare i loro effetti. Non tutto il Consiglio governativo della BCE era d’accordo con le decisioni prese, ma c’era una larga maggioranza.
Cosa sono i tassi d’interesse
I tassi d’interesse di cui si sta parlando sono quelli a cui le banche e anche la banca centrale si prestano soldi fra loro, spesso per periodi molto brevi. La banca centrale decide il tasso a cui le banche possono chiederle soldi, e quello a cui possono depositare presso di lei del denaro quando ne hanno troppo. Da questi tassi dipendono tutti gli altri, anche se non in misura perfettamente corrispondente: se i tassi decisi dalla banca centrale si alzano, si alzerà alla fine anche quello a cui, per esempio, le banche concedono i mutui alle famiglie.
I tassi d’interesse sono uno degli strumenti principali che le banche centrali hanno per influenzare l’economia. Se l’economia cresce troppo velocemente e c’è il rischio che l’inflazione superi il limite considerato sano (in Europa e negli Stati Uniti questo limite è del 2 per cento l’anno), la banca centrale alza i tassi d’interesse: prendere soldi in prestito diventa più costoso, allo stesso tempo diventa più conveniente tenere i soldi depositati in banca – perché crescono al tasso d’interesse, appunto – anziché spenderli. Quindi l’economia rallenta, o meglio: cresce in modo più graduale e senza portare a un aumento eccessivo dell’inflazione e una svalutazione della moneta. Quando l’economia cresce poco, invece, la banca centrale di norma abbassa i tassi d’interesse: le imprese possono prendere soldi in prestito più facilmente per finanziare i loro progetti e crescere, i privati non traggono un gran vantaggio dal tenere i soldi depositati e quindi spendono.
I tassi d’interesse negativi
Anche prima della decisione di oggi, i tassi d’interesse erano negativi, cioè sotto lo zero. Questo vuol dire che un banca che deposita denaro presso la BCE paga per tenerli lì, normalmente invece una per i soldi tenuti in deposito si riceve un interesse positivo, che corrisponde al costo-opportunità di non avere potuto utilizzare quel denaro mentre era in deposito.
Il problema dell’inflazione
Nonostante una leggerissima ripresa l’inflazione nei paesi dell’euro zona è ancora molto vicina allo 0, mentre l’obbiettivo della BCE è quello di portarla al 2 per cento, Draghi ha detto che si aspetta una crescita dell’inflazione tra il 2016 e il 2017. Secondo molti ricercatori c’è correlazione tra il prezzo del petrolio e le aspettative di inflazione: in questi anni successivi alla crisi finanziaria, quando il prezzo del petrolio scendeva, scendevano anche le aspettative d’inflazione, che poi spesso si tramutavano nel livello di inflazione vero e proprio. Il problema è che il petrolio è denominato in dollari – cioè si parla sempre del suo prezzo in dollari, anche se si abita in Finlandia – e quindi se il dollaro si rafforza, il prezzo del petrolio scende. Finora l’euro è stata la principale valuta alternativa al dollaro: chi ha investimenti in dollari e vede le cose mettersi male per il dollaro, cambia euro in dollari; e viceversa chi ha investimenti in euro. Un indebolimento dell’euro quindi rafforza il dollaro e un rafforzamento del dollaro abbassa il prezzo del petrolio, ma un prezzo del petrolio più basso vuol dire meno inflazione. Nella conferenza stampa di oggi Draghi ha detto che la correlazione tra il prezzo del petrolio e le aspettative di inflazione si è invece ridotta.
Fonte: Il Post
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