di Laura Stahnke
Il presidente turco Tayyip Erdogan parla in una conferenza stampa ad Ankara. Credit: Umit Bektas
Un tempo in Italia non si parlava di immigrati, migranti, extracomunitari. Le persone potevano entrare più o meno liberamente all’interno dei nostri confini e l’Italia, come molti atri Paesi europei, era caratterizzata dall’alto numero di persone in uscita.
Poi si iniziò a parlare di Unione Europea; nel 1995 venne siglato il trattato di Shenghen, che prevedeva la libera circolazione di persone nel cuore del vecchio continente. Alla libera circolazione degli Europei con la E maiuscola, come Francesi, Inglesi, Tedeschi e per un colpo di fortuna perfino gli Italiani, si contrappose però l’esclusione dall’Unione degli europei con la e minuscola, come Albanesi, Bulgari, Serbi, e Bosniaci.
Nell’Italia degli anni Novanta accadevano due cose: da una parte ci si preparava a creare l’Europa; contemporaneamente, in seguito alla caduta del regime comunista in Albania, migliaia di Albanesi iniziarono ad entrare nei nostri confini.
Facendo parte dell’Unione Europea, l’Italia non volle sfigurare di fronte al nuovo club elitario in cui stava entrando. Iniziò quindi a contrastare l’ingresso dei nuovi migranti, o extracomunitari, come li si chiamava allora; nel frattempo, nell’immaginario collettivo la parola "albanese" iniziò a essere un insulto.
Nel 1997, in una operazione di contrasto all’ingresso marittimo di migranti provenienti dall’Albania, una corvetta della Marina Militare Italiana speronò la Katër i Radës, una nave albanese carica di circa di 120 persone. Più di 80 morirono in mare.
Il comandante della nave italiana venne condannato a quattro anni di carcere, e l’Italia iniziò a capire che il verificarsi di simili incidenti poteva essere dannoso alla propria immagine.
Negli anni 2000 l’Italia seguì quindi l’esempio di molti altri Paesi europei, e iniziò a stringere alleanze con paesi al di fuori dei propri confini affinché fossero loro a gestire i flussi migratori. Il partner preferito del Belpaese divenne la Libia di Gheddafi. Prigioni nel deserto vennero finanziate con soldi pubblici italiani ed europei, al fine di fermare l’avanzata di migranti in arrivo da altri paesi africani e del Medio Oriente.
Circa un milione di migranti vivevano in Libia all’epoca. All’improvviso, centinaia di migliaia di loro vennero arrestati e imprigionati in queste nuove carceri, torturati, violentati, gettati nel deserto e lasciati morire per assecondare il volere di quello che era diventata la Fortezza Europa.
Ora Gheddafi non c’è più. È stata l’Europa a decidere che era un dittatore scomodo, e ha fatto in modo di eliminarlo. Il nuovo partner di riguardo è diventato la Turchia.
Centinaia di migliaia di persone sono passate tra Turchia e Grecia dall’inizio del nuovo anno. L’Europa ha pianto di fronte a foto di bambini morti sulle nostre spiagge. L’opinione pubblica è stata messa di fronte al dramma di un popolo in fuga da una guerra che nessuno riesce più a gestire.
Nel frattempo, l’Europa si è dimostrata incapace di gestire questo flusso in entrata, seppur rappresenti meno dell’1% dell’intera popolazione dell'Ue e molti dei paesi europei abbiano una crescita demografica pericolosamente stagnante.
Domenica 29 Novembre è stato però siglato un accordo con la Turchia che, in cambio di 3 miliardi di Euro, si è impegnata a pattugliare meglio i propri confini. A poche ore dalla firma del contratto, 1300 siriani sono stati arrestati dalle forze dell’ordine turche prima che riuscissero ad arrivare in Grecia.
Circa due milioni di siriani risiedono al momento in Turchia. Se la storia così come si è svolta in Libia si ripeterà, una buona parte di loro verranno arrestati e moriranno all’interno delle carceri turche. Ma, finalmente, questo accadrà lontano dagli occhi dei cittadini Europei.
Fonte: The Post Internazionale
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