Un poliziotto usa lo spray al peperoncino contro dei manifestanti di fronte al parlamento di Brasilia, il 17 marzo 2016. Credit: Ricardo Moraes
L’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, indagato per corruzione e riciclaggio di denaro, è stato nominato capo di gabinetto dall’attuale presidente, nonché sua pupilla, Dilma Rousseff, mercoledì 16 marzo 2016.
Immediata la reazione di molti brasiliani che nel corso della serata di mercoledì sono scesi in piazza in diverse città del paese per protestare contro la decisione, contro il governo e contro la corruzione ormai endemica nel sistema politico brasiliano.
Nella capitale Brasilia, la polizia ha utilizzato spray al peperoncino contro le migliaia di persone che si erano riversate di fronte al palazzo presidenziale e al congresso per chiedere le dimissioni di Rousseff e l’arresto di Lula.
Anche a San Paolo, capitale finanziaria del paese sudamericano, i manifestanti hanno affollato l’arteria principale della città, Avenue Paulista, che era stata al centro delle proteste di domenica scorsa.
Il mondo politico brasiliano è al centro di un terremoto giudiziario che finora ha coinvolto circa 700 alti funzionari. Si tratta di un’operazione anti-corruzione senza precedenti, con al centro la compagnia petrolifera di stato Petrobras.
Anche l’ex presidente è stato travolto dallo scandalo. Due settimane fa, Lula era stato arrestato per essere sottoposto a un interrogatorio riguardo una proprietà immobiliare che avrebbe acquisito illegalmente, ed è stato accusato di riciclaggio di denaro.
La decisione di conferirgli un incarico ministeriale rappresenta il tentativo di sottrarlo alla giustizia. Infatti, come membro del governo non può essere processato da un tribunale ordinario, ma solo dalla Corte Suprema. Questo, concretamente, gli evita la prigione in quanto il procedimento in questo foro richiede anni.
Per dare la misura di quanto esteso sia il problema della corruzione, circa un terzo dei membri del Congresso, 594 persone, è coinvolto nelle indagini, inclusi i presidenti di camera e senato.
L’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, storico oppositore di Lula ha commentato: “Trovo sia scandaloso che una persona indagata accetti una posizione di governo. Questo non fa che intensificare la crisi morale nel paese”. Osservazione puntuale e ineccepibile, salvo il fatto che Cardoso stesso sia tra le figure coinvolte nello scandalo.
La presidente Rousseff è stata accusata di avere utilizzato fondi provenienti dal sistema di corruzione con al centro la Petrobras per finanziare la sua campagna elettorale del 2014 e nel dicembre 2015 il presidente della camera Eduardo Cunha ha cominciato il procedimento di impeachment. Rousseff, naturalmente, respinge qualsiasi accusa e sembra intenzionata a rimanere saldamente aggrappata alla sua poltrona.
La profonda crisi politica e quella economica si intrecciano inestricabilmente. Il sistema elettorale rende particolarmente frammentaria la composizione del congresso. I partiti possono aggiudicarsi dei seggi con meno dell’1 per cento dei voti, col risultato che a sedere in parlamento sono quasi 30 formazioni. Diffusissimo il problema del voto di scambio.
Poi c’è la costituzione, redatta nel 1988, che impone una spesa pubblica enorme e in crescita costante, specialmente per le pensioni, che rappresentano il 12 per cento del Pil.
Il debito pubblico brasiliano, in rapporto alla ricchezza del paese, è quasi il doppio di quello greco e potrebbe raggiungere, stimano gli analisti della Barclays, il 93 per cento del Pil entro il 2019.
È questo ciò che aspetta quella che fino a poco tempo fa era considerato una delle economie emergenti più promettenti?
Con i prezzi delle materie prime che affondano, il Brasile si trova in seria difficoltà, dato che il 45 per cento delle rendite commerciali proviene dall’esportazione di beni come il minerale di ferro e altre materie prime.
La Petrobras stessa è la compagnia petrolifera più indebitata del mondo, avendo preso in prestito cifre astronomiche per sviluppare giacimenti petroliferi in alto mare difficili da sfruttare.
Il Brasile è in piena recessione, la peggiore degli ultimi 25 anni, e durante il 2015 l’economia si è contratta del 3,8 per cento.
Insomma, la Rousseff e l’intero sistema politico brasiliano si trovano ad affrontare una crisi che viaggia su un doppio binario e che, purtroppo per il grande stato sudamericano – che tra l’altro ospiterà le prossime olimpiadi e sta combattendo con il virus Zika, in una congiuntura davvero sfavorevole – non sembrano affatto ben attrezzati a risolvere.
Anzi, il ritorno di Lula – che ha anche manifestato l’intenzione di correre per la presidenza nel 2018 – potrebbe addirittura peggiorare la situazione economica, gonfiando ulteriormente la spesa pubblica. Si vocifera inoltre che il capo della Banca centrale brasiliana, Alexandre Tombini sia intenzionato a rassegnare le dimissioni.
Fonte: The Post Internazionale
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