Dopo la sua dichiarazione sull’occupazione giovanile – «Molti giovani non colgono le tante possibilità di lavoro che ci sono o perché stanno bene a casa o perché non hanno ambizione» – ieri John Elkann si è scusato tramite il sito della Fondazione Agnelli, dicendo di essere «rammaricato che un messaggio nato per essere di incoraggiamento alla fine sia stato interpretato come un segnale di mancanza di fiducia nei giovani». Di seguito una riflessione, la provocazione di chi invece fa i conti con la ricerca del lavoro tutti i giorni.
di Lorena Bruno
LA LETTERA – Di questi uomini dalle plurime cariche in aziende tra le più importanti d’Italia, quando rilasciano certe dichiarazioni, mi sorprende la sicumera. Perché, caro John Elkann, prima di parlare delle generazioni senza lavoro di oggi (giovani e meno giovani), farebbe meglio a chiedersi cosa ne sarebbe stato di lei se non fosse stato nipote di Gianni Agnelli, ma di una normale famiglia italiana. Sarebbe nato a New York? Avrebbe conseguito la maturità al liceo Duruy di Parigi? Avrebbe probabilmente potuto prendere la laurea in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Torino, ma chissà se poi avrebbe avuto l’agio di viaggiare per diversi Paesi con l’obiettivo di imparare le lingue straniere e affinare le sue competenze. Non mi pare che un qualsiasi giovane universitario italiano potrebbe oggi fare esperienze di lavoro alla Magneti Marelli di Birmingham o in altre grandi aziende in giro per l’Europa, se non fosse stato John Elkann. Questa possibilità è data a pochi.
Giovanni Agnelli l’ha scelta come suo successore, dopo la morte di Giovanni Alberto Agnelli, e questo credo che nella sua vita abbia influito molto e positivamente, sebbene si tratti di una grande responsabilità.
Eppure, anche chi non possiede aziende di famiglia ha ambizione e ottimismo, le stesse caratteristiche che lei chiede e suggerisce a ogni giovane italiano. Ed è proprio con ambizione e ottimismo che ho conseguito una laurea in Lettere – la mia passione – e un master che mi desse le competenze per lavorare nell’ambito museale e del marketing. Sfortunatamente il tempismo ha voluto che incappassi nel periodo storico in cui la cultura italiana vive una crisi epocale, perché vittima di politiche scellerate. Questo dimostra che nonostante la mia voglia di fare, il mio ottimismo e tutto quello che lei raccomanda di avere, non ho un lavoro.
Senza voler fare inutile retorica, le propongo: perché magari un giorno non lascia da parte le aziende di famiglia, i consigli d’amministrazione, l’autista e il cellulare e non prova a cercare lavoro con me? Potrebbe accompagnarmi a piedi ad attaccare volantini per far sapere al vicinato che posso dare lezioni private; potrebbe sedere con me al computer a cercare tra gli annunci di lavoro, scansando i vari stage gratuiti, i lavori a provvigione, quelli pagati in nero o magari provando con quelli che non rientrano tra le mie competenze ma che potrei fare ugualmente (come la segretaria), ma che purtroppo non posso fare, proprio perché non ho esperienza in merito. Potremmo poi fare un giro per le agenzie interinali – in metro si arriva subito – quindi passare al pub per chiedere se hanno bisogno di una cameriera, sperando che non la cerchino ventenne, io ho trentadue anni. Se va bene un giorno le scriverò che mi hanno appena presa in un call center. Senza la vita comoda, gli agi, senza il cellulare e le conoscenze che potrebbero garantirle tutto ad uno schiocco di dita, cosa potrebbe fare lei per me? A parte tenermi compagnia?
Forse alla fine capirebbe che, a proposito di chi non ha lavoro (e le assicuro che non si tratta solo dei giovani), prima di parlare di una cattiva volontà, di una situazione di comodo in casa, lei che fa parte di una famiglia a dir poco facoltosa, farebbe meglio a non toccare l’argomento e limitarsi a parlare solo delle realtà che ben conosce.
Fonte: Diritto di critica
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