sabato 16 gennaio 2016

Rischia otto anni di carcere per un’inchiesta sulla mafia. Intervista a Agostino Pantano

di Cristiana Mastronicola 


Rischia fino a otto anni di carcere e l’accusa è quella di ricettazione: Agostino Pantano, nel 2010, pubblica sul quotidiano Calabria Ora un’inchiesta sullo scioglimento per mafia del comune di Taurianova, nel reggino. Per quell’inchiesta, Pantano venne accusato di diffamazione, processato e prosciolto nel 2011: quanto scritto rientra “nell’esercizio del diritto di cronaca e di critica politica”, scriveva il gip di Cosenza. Quella relazione, però, non andava pubblicata e Pantano viene accusato di ricettazione: per il pm il giornalista si sarebbe appropriato in modo illecito dell’atto che sanciva lo scioglimento del consiglio comunale. Dunque, la “cosa” ricettata sarebbe un atto di interesse pubblico – di cui non esiste traccia. La “cosa” ricettata sarebbe la notizia. Agostino Pantano sta subendo il processo e si impegna affinché il suo non diventi un precedente: “Parliamo di entrata a gamba tesa del sistema contro il diritto dei giornalisti di informare”, come spiega ad Articolo21.

Come è possibile che oggi vieni processato per ricettazione e ieri sei stato prosciolto, sulla stessa inchiesta, per diffamazione?
Io sono stato prosciolto per la diffamazione. Nel 2011 il gip di Cosenza si pronuncia con delle parole molto chiare, in cui si riconosce il mio diritto di scrivere: Pantano ha esercitato il suo diritto di cronaca. Dov’è l’accanimento? Per la stessa inchiesta giornalistica, che io scrissi nel 2010, io ora vengo processato una seconda volta – dopo che la prima volta per diffamazione sono stato prosciolto – con l’accusa ancora più grave di ricettazione, in cui io rischio da due a otto anni. La parte giudiziaria la stanno seguendo bene i miei legali, Salvatore Costantino e Claudio Novella, e io non entro perché nel processo noi dimostreremo che manca la ricettazione perché manca il furto di base. La ricettazione è quel reato in cui il ricettatore trae vantaggio da un reato commesso da altri. E, invece, solo perché nel 2010 scrissi un’inchiesta giornalistica sullo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Taurianova, quindi ho messo in evidenza il connubio tra mafia e certa politica, io sto pagando con due processi. Fra l’altro un’inchiesta giornalistica che all’epoca non venne mai smentita. L’accusa di ricettazione c’è stata perché, secondo l’accusa, io avrei tratto vantaggio da notizie secretate. Nel processo noi spiegheremo che la relazione che porta allo scioglimento per mafia di un consiglio comunale è un atto citato nel decreto di scioglimento. Quindi un atto amministrativo non può essere una notizia secretata, perché stiamo parlando della relazione prefettizia. Anche questa è una questione tecnica. Io penso questo: la libertà di stampa oggi non è solo minacciata dalle organizzazioni criminali, ma è minacciata anche dai colpi di coda di un sistema che non tutela il giornalista e il suo diritto-dovere – nel mio caso, tra l’altro, un diritto-dovere stabilito pure dall’ordinanza del gip. Se io avessi rivelato la fonte di quelle notizie presuntamente secretate probabilmente non mi avrebbero neanche processato. Colpi di coda di un sistema che processa per due volte un giornalsita in base a un reato che è del tutto infondato, perché vi è una interrogazione parlamentare, presentata sul mio casa dalla senatrice Ricciuti, in cui si dice che le relazioni che portano allo scioglimento dei consigli comunali sono prodromiche al decreto firmato dal Presidente della Repubblica. Per definizione devono essere nelle disponibilità dell’opinione pubblica.

Un accanimento, quindi, che deriva dalle falle del sistema.
Secondo me è conseguenza di un sistema che, in questo momento, tenta di far pagare agli anelli deboli della catena, cioè i giornalisti, le falle interne agli “uffici”. La magistratura se vuole colpire le fughe di notizia deve ragionare al proprio interno per fare luce. Il giornalista ha il dovere di scrivere le notizie che ha. È il giudice che dice che Pantano aveva il diritto di scrivere. La mia riflessione parte proprio da quell’ordinanza del gip, illuminante perché si legge “non può non ravvisarsi l’esercizio del diritto di cronaca e di critica politica, sussistendone i presupposti di interesse pubblico, verità della notizia e continenza”. E allora il giornalista può essere processato se ha un diritto? L’articolo 51 del Codice Penale crea un esimente: non è punibile chiunque faccia un’azione nell’ambito di un diritto-dovere. La mia biografia parla di un giornalista in passato intimidito dalle organizzazioni criminali, – tanto che la mia storia, insieme a quella di altri colleghi è stata raccontata da Ossigeno e nel libro di Roberto Rossi e Roberta Mani “Avamposto” sui giornalisti di frontiera –. Io vengo da un curriculum di questo tipo e oggi mi vedo, invece, considerato un imputato di un reato che si applica ai “mariuoli”. L’unica volta, invece, in cui mi hanno interrogato, nel 2010, ebbi a dichiarare a verbale: “guardate che io questo documento presuntamente secretato non ce l’ho, perché io ho avuto solo la possibilità di leggerlo”. Nessuno mi ha mai perquisito per cercare questo documento. Tornando all’aspetto tecnico, risulta che io rispondo di ricettazione in un processo in cui manca la refurtiva – cioè non c’è il documento –, in cui non sono mai stato interrogato per la ricettazione. Che cosa considerano come materiale ricettato? Gli articoli pubblicati da me nel 2010. quindi io arrivo all’assurdo di dire: in Italia informarsi è diventato un reato? Andando nell’archivio di quel giornale calabrese, Calabria Ora, ancora si trovano quegli articoli. Allora chiunque legga quegli articoli favorisce la ricettazione? Si sta considerando materiale ricettato la notizia. L’articolo della ricettazione è iscritto nel secondo libro del Codice Penale, cioè i reati contro il patrimonio. Perché ci sia la ricettazione, deve esserci la cosa. Ma in questo caso la cosa non c’è, la cosa è la notizia: un genere immateriale. Ci sono stati altri casi in cui un giornalista è stato indagato per ricettazione, ma qui la fattispecie è diversa. Negli altri casi, infatti, c’era l’oggetto, come è stato per il giallo di Avetrana, in cui qualcuno aveva sottratto dall’articolo una foto e la giornalista che l’ha pubblicata è stata indagata per ricettazione di un oggetto. In questo caso, però, manca l’oggetto,manca la relazione. Leggendo l’articolo della ricettazione c’è da farsi accapponarsi la pelle: il ricettatore è colui il quale trae un profitto da una condotta commessa da un altro. Ma, di grazia, quale sarebbe il profitto del giornalista? Che ha pubblicato la notizia? Siamo all’assurdo.

Cosa dovrebbe fare il mondo della stampa?
Il mondo della stampa dovrebbe fare quadrato perché aldilà del singolo caso – io sono un giornalista di provincia, sono l’ultima ruota del carro –, come è successo a me potrebbe succedere a chiunque. Se passa il concetto che la notizia può essere un bene ricettato, qua siamo tutti ricettatori. E i lettori sono ricettatori. Io mi sto impegnando nella mia difesa, non solo per evitare la condanna, ma anche per stabilire un principio, quello secondo cui alcuni reati legati alla nostra professione possono essere considerati degli incidenti di percorso in qualche modo giustificabili, altri no. È possibile che mi querelino per diffamazione, ad esempio. Qui invece c’è una nuova frontiera, c’è un salto di qualità perverso dei reati. Non stiamo più parlando di lite temeraria. Ad esempio, un tale mi ha citato in sede civile chiedendomi 500 mila euro di risarcimento danni: si tratta di una lite temeraria in cui un privato si sente diffamato. Non accetto la situazione – perché è temeraria – ma è da considerarsi un incidente di percorso. In questo caso, invece, parliamo proprio di entrata a gamba tesa contro del sistema contro il diritto dei giornalisti di informare. Nel mio caso aggravato dal fatto che un giudice si è già espresso riconoscendomelo in un’ordinanza.

Fonte: Articolo 21

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