Manifestanti sciiti bruciano l'effige del re saudita Salman bin Abdulaziz durante una protesta a Nuova Delhi. Credit: Adnan Abidi
Il 2 gennaio 2016 in Arabia Saudita sono state eseguite le condanne a morte di quarantasette persone accusate di avere legami con il terrorismo. Tra queste c'era anche il leader religioso sciita Nimr al-Nimr.
L'Iran, principale paese sciita e rivale dell'Arabia Saudita - a maggioranza sunnita - ha condannato l'esecuzione di al-Nimr. La sua morte ha causato proteste in Iran, dove l'ambasciata saudita a Teheran è stata attaccata dai manifestanti.
Per reazione, l'Arabia Saudita ha interrotto le relazioni diplomatiche con l'Iran. La decisione saudita è stata seguita da alcuni paesi guidati da governi sunniti come Kuwait, il il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti e il Sudan.
Ma dietro quello che sembra uno scontro religioso tra paesi a maggioranza sunnita e paesi a maggioranza sciita si cela una competizione economica e per l'egemonia in Medio Oriente tra Arabia Saudita e Iran.
Con la fine delle sanzioni economiche a Teheran, l'Arabia Saudita teme che l'Iran possa diventare la prima potenza in Medio Oriente.
Ecco alcuni punti da tenere a mente:
1) Guerra fredda tra Iran e Arabia Saudita Da diversi anni, sia pure con alti e bassi, Iran e Arabia Saudita portano avanti una latente e tacita guerra fredda in diverse regioni del Medio oriente.
- Yemen: l'Iran qui sostiene i ribelli sciiti houthi che da marzo del 2015 devono resistere ai raid aerei della coalizione araba guidata dall'Arabia Saudita che combatte al fianco delle forze governative per resistere l'avanza sciita.
(Qui sotto: la presenza dei ribelli sciiti houthi e di al-Qaeda nella penisola araba)
Oltre allo Yemen, ci sono altre proxy wars - o guerre satellite - che dipendono direttamente da questa guerra fredda tra Arabia Saudita e Iran.
- Bahrein: qui l'Arabia Saudita sostiene la monarchia sunnita contestata dalla popolazione, a stragrande maggioranza sciita.
- Siria: qui l'Iran sostiene il governo sciita di Bashar al-Assad, contestato dalla popolazione a maggioranza sunnita. Inoltre, diverse inchieste hanno dimostrato che molti dei finanziamenti all'Isis arrivano da privati in Arabia Saudita, Kuwait e Qatar.
2) La gara sulla vendita di petrolio Il prezzo del greggio è ai livelli più bassi da dieci anni. Anche per questo l'Arabia Saudita non riesce più a influenzare le quotazioni del petrolio attraverso l'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), in primo luogo perché la produzione di greggio da parte degli Stati Uniti è cresciuta notevolmente e secondo gli analisti è destinata a superare quella saudita entro pochi anni.
Questo significa che le entrate di Riad sono destinate a diminuire nel prossimo futuro. In questo contesto l'ingresso sul mercato internazionale del petrolio iraniano rappresenta un'ulteriore minaccia per l'Arabia Saudita. Tra le prime misure prese dall'Arabia Saudita dopo l'inizio delle tensioni con l'Iran c'è stato l'abbassamento del costo del petrolio per i compratori europei.
(Nella foto qui sotto: sciiti iracheni in protesta per l'esecuzione da parte dell'Arabia Saudita del leader sciita Nimr al-Nimr).
3) Chi ci guadagna di più L'Isis sembra essere uno dei maggiori beneficiari dello scontro tra Arabia Saudita e Iran. In particolare, per esempio, la divisione tra sunniti e sciiti ha certamente, in parte, favorito l'influenza del sedicente Stato islamico tra la minoranza sunnita presente in Iraq.
Ciononostante, è fondamentale tenere presente che la questione tra sunniti e sciiti non è in alcun modo il motivo che alimenta questa guerra fredda tra Teheran e Riad. La tensioni tra sunniti e sciiti vanno avanti da decenni, se non molto di più. I combattenti del sedicente Stato islamico - così come chiunque abbia fatto il buono e il cattivo tempo in Medio oriente in passato, tra cui Saddam Hussein - sfruttano oggi il fattore religioso (e il vacuum politico in diversi paesi che non hanno un vero e proprio stato) come elementi imprescindibili per destabilizzare le popolazioni locali.
Il beneficio che ne trae l'Isis in modo diretto, tra le cose, rischia anche di rallentare il processo di pace in Siria. Solo alla fine di ottobre del 2015 i negoziatori erano riusciti a far sedere intorno allo stesso tavolo Arabia Saudita e Iran a Vienna per discutere della fine del caos in Siria, di cui il sedicente Stato islamico ha largamente approfittato. Adesso gli sforzi fatti sembrano vanificarsi, allontanando le possibilità di pace.
4) Chi ci perde A perderci sono soprattutto le popolazioni civili di Yemen e Siria, che vedono repressioni e conflitti continuare senza tregua. Solo negli ultimi giorni i combattimenti nello Yemen si sono intensificati con le forze sostenute dai sauditi che hanno aperto un nuovo fronte in seguito alla conquista del porto di Maydee. Mentre in Siria cresce la sfiducia che i colloqui di pace annunciati per gennaio dalle Nazioni Unite possano portare a qualche risultato.
- LEGGI ANCHE: CHI SONO SUNNITI E SCIITI
(Qui sotto: le aree d'influenza di Iran e Arabia Saudita in una cartina realizzata dal cartografo Emmanuel Pène per il Maghreb and Orient Courier)
Fonte: The Post Internazionale
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