Sfollati sudsudanesi in una missione Onu a Juba. Credit: Beatrice Mategwa
Continuano gli scontri in Sud Sudan tra le truppe fedeli al presidente Salva Kiir e quelle del vicepresidente Riek Machar, che hanno provocato la morte di centinaia di persone nella capitale Juba. Le Nazioni Unite hanno chiesto immediatamente un embargo sulle armi e altri mezzi da guerra diretti nel paese.
Gli Stati Uniti hanno fortemente condannato le violenze. Lunedì 11 luglio, dopo 4 giorni di combattimenti, era stato annunciato un cessate il fuoco, ma non è stato del tutto rispettato. Due caschi blu cinesi delle Nazioni Unite e un dipendente Onu sudsudanese sono morti negli scontri.
Susan Rice, la consigliera per la sicurezza interna Usa, ha dichiarato: "Questa insensata e ingiustificabile violenza - intrapresa da coloro che ancora una volta stanno mettendo il proprio interesse al di sopra del benessere del loro paese e della loro gente - mette a rischio tutto ciò a cui il popolo sudsudanese ha aspirato nel corso degli ultimi cinque anni".
Il Sud Sudan, la nazione più giovane del mondo, è diventato indipendente dal Sudan nel 2011, ma la sua breve storia è stata segnata da altri 2 anni di guerra civile tra il 2013 e il 2015, fino alla firma dell'accordo di pace nell'agosto 2015.
Gli scontri tra fazioni rivali degli ultimi giorni stanno mettendo a serio repentaglio la pace raggiunta con tanta fatica nei mesi scorsi. Entrambi i leader hanno invitato alla tregua le proprie truppe, ma i combattimenti non accennano a interrompersi. Migliaia di persone hanno dovuto lasciare le loro case. Centinaia di loro hanno cercato rifugio nelle missioni delle Nazioni Unite, tra cui le basi Jebel e Tomping nei pressi di Juba.
Il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha detto: "Ancora una volta, i leader del Sud Sudan hanno deluso la loro gente. Raramente un paese ha infranto delle promesse così tanto velocemente".
Ban Ki-moon ha sottolineato che dovrebbe essere imposto immediatamente un embargo sulle armi e i leader politici e militari che stanno mettendo a repentaglio l'accordo di pace dovrebbero essere sanzionati.
Il motivo per cui gli scontri si sono riaccesi sarebbe da ricercare in un disaccordo a un posto di blocco tra soldati rivali avvenuto nella notte di giovedì scorso, 7 luglio, che è sfociato in una sparatoria in cui sono morti 5 militari. Questa sparatoria è rapidamente degenerata in gravi scontri nei giorni successivi, che hanno coinvolto centinaia di persone nella capitale Juba.
La tensione nel paese è alta dal mese di aprile quando, in base all'accordo di pace, il vicepresidente ed ex capo dei ribelli Riek Machar, ha fatto ritorno nella capitale Juba, portando con sé 1.300 soldati fedeli. Queste truppe avrebbero dovuto unirsi ai soldati del presidente Kiir ma ciò non si è mai verificato.
Gli analisti guardano con apprensione agli scontri, che sembrano essere una ripetizione di quanto era accaduto nel dicembre 2013 e che erano sfociati nell'ormai nota guerra civile di due anni e mezzo. Anche allora tutto era iniziato con gli scontri tra soldati rivali nella capitale Juba che si erano poi allargati in tutto il paese, provocando decine di migliaia di morti.
La guerra civile ha avuto una connotazione etnica: la tribù dei Dinka di Salva Kiir da una parte e quella dei Nuer di Reik Machar dall'altra, che sono le due tribù più grandi del paese e che contano al loro interno migliaia di persone.
La comunità internazionale ha giocato un ruolo importante nella creazione del Sud Sudan e ha cercato di esercitare una certa influenza dopo l'indipendenza nel 2011. Le Nazioni Unite e gli Stati Uniti hanno chiesto la fine immediata dei combattimenti, seguiti dai paesi dell'Africa orientale, che avevano mediato l'accordo di pace dell'agosto 2015.
Fonte: The Post Internazionale
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