Di Lidia Baratta
(Getty Images/Afp/OLIVIER MORIN)
Se fosse un romanzo potrebbe intitolarsi “Il buio oltre la siepe”. Il destino dei 15mila lavoratori dell’Expo di Milano, una volta terminata l’esposizione universale, è ancora un mistero. Così come il futuro dell’area espositiva. I contratti che hostess, camerieri, baristi, interpreti, autisti hanno sottoscritto hanno, quasi tutti, la stessa data di scadenza: 31 ottobre 2015. Da più parti era stato promesso di realizzare un percorso di ricollocazione una volta terminato l’Expo, ma a meno di un mese dalla fine non c’è ancora nulla di definito. Cgil, Cisl e Uil stanno chiedendo al governo di non lasciare la gestione in mano agli enti locali e di intervenire sulla transizione. Ma così come per il fischio d’inizio, i ritardi ci sono anche per la chiusura. E il rischio è che l’Expo, una volta calato il sipario, lasci dietro di sé un bacino di migliaia di disoccupati (senza contare quelli che sono stati assunti per i sei mesi di Expo al di fuori dell’area di Rho).
"I contratti che hostess, camerieri, baristi, interpreti, autisti hanno sottoscritto hanno quasi tutti la stessa data di scadenza: 31 ottobre 2015
La questione non nasce ora. Nel 2014 sindacati e Regione Lombardia avevano scritto nero su bianco in un avviso comune che si sarebbero stanziate risorse per la ri-occupazione dei lavoratori una volta finito Expo. E ora le parti sociali stanno sollecitando l’impegno del Pirellone. Ma il problema si pone soprattutto per chi a Rho è arrivato da altre regioni d’Italia. Qualcuno continuerà a lavorare per lo smontaggio dei padiglioni fino a giugno 2016, ma la maggior parte resterà senza lavoro.
«Abbiamo stipulato diversi accordi con le società presenti nel sito espositivo», spiega Antonio Lareno, responsabile Expo per conto di Cgil. «C’è un accordo dettagliato con Expo spa per la ricollocazione guidata dei lavoratori che potrebbero quindi utilizzare altrove l’esperienza maturata in Expo, mentre accordi più generali ci sono con Cir, Eataly e le municipalizzate come Atm e Amsa». L’idea è che i lavoratori possano scegliere tra un percorso di outplacement, cioè la ricerca di un altro lavoro, o l’uscita con una liquidazione di una o due mensilità.
"Qualcuno continuerà a lavorare per lo smontaggio dei padiglioni fino a giugno 2016, ma la maggior parte resterà senza lavoro
«Ma vorremmo evitare che ci siano figli e figliastri, e che non siano coinvolti tutti i lavoratori», dice Lareno. «Il nostro obiettivo è dare un percorso di ricollocazione a tutti quelli che hanno lavorato nel sito, almeno per un periodo significativo».
L’Expo non è stato solo un melting pot di cibi e padiglioni, ma anche di aziende, condizioni, tempi e contratti lavorativi. Tra contratti a chiamata, collaborazioni, somministrazioni, contratti a termine e persino i (non sempre leciti) voucher, in totale sono passati da Rho circa 30mila lavoratori, tra il giorno e la notte, con una presenza media al giorno di 15mila dipendenti. Chi ha lavorato per tutti e sei i mesi, chi anche solo per pochi giorni. E occuparsi di tutti, dopo il 31 ottobre, non sarà semplice.
«Quello che bisogna fare è non lasciare il dopo in mano agli enti locali», dice Lareno. «Ci sono regioni come la Lombardia che prima di Expo avevano sottoscritto con i sindacati un avviso comune in cui ci si impegnava a occuparsi anche del futuro dei lavoratori. Altre invece non lo hanno fatto». È per questo che i sindacati chiedono di «“anticipare” il Jobs Act», che ha spostato i servizi per l’impiego e le politiche dagli enti locali a un’unica agenzia nazionale. Ma solo partire da gennaio 2016. L’idea è che così come si è fatta un’eccezione sulla casualità del tempo determinato per i contratti di Expo, giustificata dalla eccezionalità dell’evento, lo stesso si possa fare per le politiche attive, sperimentandole già alla fine dell’esposizione senza aspettare l’anno nuovo. «Stiamo accelerando la macchina, sollecitando ministeri e associazioni datoriali, sperando di chiudere la partita prima che arrivi la terza settimana di ottobre», dice Lareno, «ma al momento abbiamo ancora poche risposte».
“Quello che bisogna fare è non lasciare il dopo in mano agli enti locali. Chiediamo al governo di ‘anticipare il Jobs Act’ e di sperimentare la ricollocazione a livello di Stato centrale già alla fine di Expo”
Le uniche a muoversi sono state le agenzie per il lavoro che hanno gestito le candidature dei lavoratori. Manpower, che per Expo si è occupata della selezione, formazione e reclutamento di 5mila lavoratori da impiegare nei padiglioni, ha già pensato a un programma di orientamento e reinserimento nel mercato del lavoro. «La sfida non è finita», dicono, «a partire dal 1 novembre si farà ancora più intensa». L’idea è quella di «orientare le singole persone nella ricerca di nuove opportunità lavorative, preparandole a sostenere colloqui efficaci. Ci auguriamo che anche la Regione possa aderire all’iniziativa». Quante persone siano coinvolte nel progetto ancora non si sa. Per il momento si comincerà dai 200 lavoratori della società Expo: architetti, agronomi, ingegneri, segretarie, addetti stampa, esperti di marketing, molti dei quali sono entrati nella società già dal 2008 e cha dal 1 novembre saranno senza lavoro. «Il nostro obiettivo è ovviamente ricollocare tutti», ha già detto Giuseppe Sala, commissario unico di Expo.
GiGroup, invece, a luglio ha sottoscritto un accordo con le sigle sindacali dei lavoratori atipici (Nidil Cgil, Felsa Cisl, UilTemp) per la continuità professionale e la ricollocazione dei 400 lavoratori inviati in somministrazione in diversi padiglioni di Expo tra cassieri, baristi, gastronomi e sommelier. «Siamo impegnati nella fase di progettazione dei corsi di formazione per i candidati in accoglienza, cucina e servizio in sala», spiegano dall’agenzia. I corsi cominceranno dopo la chiusura di Expo nelle filiali di GiGroup. Ma per tutti gli atri, quello che si sa, a meno di un mese dalla fine, è che dal 1 novembre non avranno più un lavoro.
Fonte: Linkiesta.it
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