di Tommaso Canetta
AFP/Getty Images
Jacqueline Sutton, 50 anni, giornalista inglese ex BBC e direttrice per l'Iraq dell'Institute for War and Peace Reporting (IWPR), è stata trovata morta domenica 18 ottobre nei bagni dell'aeroporto di Istanbul. Arrivata da Londra sabato sera, stava per lasciare la Turchia con destinazione Erbil, capitale del Kurdistan iracheno. Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dai media turchi – e di recente accettata anche dalla famiglia e dal IWPR - la Sutton si sarebbe suicidata nella notte, impiccandosi coi lacci delle proprie scarpe in una toilette, dove sarebbe poi stata trovata da tre turiste russe che subito hanno allertato il personale. La causa del suicidio (ma su questo punto ci sono seri dubbi) sarebbe la disperazione per aver perso il suo volo nell'impossibilità economica di prendere un altro biglietto. La versione del suicidio tuttavia non ha convinto tanti colleghi e amici della giornalista - e non solo - che hanno quindi chiesto un'indagine internazionale per verificare come si sono realmente svolti i fatti (la famiglia, al contrario, si è detta soddisfatta del lavoro svolto dalle autorità turche).
In primo luogo - secondo la tesi di chi dubita della versione turca - sembra incredibile che una inviata esperta di scenari di guerra, che nel corso della sua carriera ha dovuto affrontare numerose situazioni di grande stress (fu ad esempio arrestata in Eritrea con l'accusa di essere una spia), e che al momento era coinvolta in svariati progetti, cada in uno stato di tale prostrazione da portarla al suicidio per il solo fatto di aver perso un volo. In secondo luogo non tornerebbe la questione della mancanza di soldi: il quotidiano turco Haber Turk rivela che nel portafogli della vittima sarebbero stati trovati 2.300 dollari in contanti, e secondo il suo collega Anthony Borden – citato da Repubblica – la Sutton aveva comunque sia carta di credito sia amici in città a cui rivolgersi in caso di bisogno. A questi dubbi si aggiungono quelli sulla modalità del suicidio: impiccarsi nei bagni di un aeroporto usando le stringhe delle proprie scarpe non è un'operazione semplice, né è facile che passi inosservata. In compenso lascia delle tracce – escoriazioni al collo e morte per soffocamento – che sono compatibili con altre possibili ricostruzioni. Ad esempio uno strangolamento mediante corda sottile.
"Sembra impossibile che un'inviata di guerra, con pluridecennale esperienza nella gestione di situazioni traumatiche - in Eritrea fu accusata di essere una spia - si tolga la vita per aver perso un volo. Inoltre le indiscrezioni sulla mancanza di soldi sembrano false: nel portafogli della giornalista sarebbero stati trovati 2.300 dollari in contanti
Ad aggiungere domande inquietanti su quel che è realmente accaduto c'è poi il presunto malfunzionamento (ancora manca la conferma ufficiale) delle telecamere di sicurezza che avrebbero dovuto riprendere i momenti immediatamente precedenti e successivi al suicidio. Sarebbero state fondamentali per capire, ad esempio, chi è entrato e uscito da quel bagno subito prima e subito dopo la morte della giornalista. L'unico filmato diffuso ritrae una Sutton assolutamente tranquilla che, nelle ore precedenti e successive al volo che poi avrebbe perso, passeggia per l'aeroporto, in alcuni spezzoni con in mano una busta di quelli che probabilmente sono acquisti al duty-free. Il sospetto dunque, anche secondo alcuni analisti di intelligence, è che Jacqueline Sutton sia stata “suicidata”.
«Se davvero si trattasse di omicidio, la pista più probabile sarebbe quella di un lavoro del Mit (l'intelligence turca ndr), o comunque di una qualche agenzia governativa in grado di muoversi con disinvoltura in uno scenario altamente sorvegliato come un aeroporto internazionale», spiega Claudio Neri, direttore dell'Istituto Italiano di studi strategici ed esperto di servizi segreti. «Un'organizzazione terroristica avrebbe usato un diverso modus operandi, e probabilmente avrebbe fatto uscire una rivendicazione. Assolutamente impossibile poi, visto il luogo della morte, che si tratti di criminalità comune». Dunque la domanda che al momento non ha alcuna risposta convincente – sempre dando credito alla teoria dell'omicidio – è: perché il governo turco di Erdogan avrebbe dovuto voler eliminare la Sutton? La giornalista stava conducendo delle indagini sull'Isis, in particolare sul ruolo della donna. Un tema non abbastanza scottante all'apparenza da giustificare ipotesi di omicidio di Stato. Eppure la tesi del suicidio continua a non convincere, e se di omicidio si è trattato, difficilmente sarebbe qualcosa di diverso da un lavoro dei servizi.
Un'ipotesi che circola in ambiente giornalistico (ma non solo) mette in collegamento la sua morte con quella di un'altra persona: non il suo predecessore al IWPR, Ammar Al Shahbander, ucciso lo scorso maggio a Baghdad insieme ad altre 17 persone in un attentato dinamitardo alla sua auto (metodo da organizzazione terroristica), ma la trentenne americana di origini libanesi, Serena Shim, giornalista di Press Tv. La Shim è morta un anno fa in Turchia, al confine con la Siria, in un incidente d'auto: la sua vettura è andata a scontrarsi con un mezzo pesante e per lei non c'è stato nulla da fare. Pochi giorni prima aveva detto ai suoi colleghi di Press Tv di temere di essere arrestata dai servizi turchi: l'avrebbero accusata di spionaggio in riferimento ad alcuni suoi servizi sul passaggio di terroristi dell'Isis attraverso il confine turco, con la complicità delle autorità di Ankara. Di qui i sospetti che l'incidente fosse in realtà una messa in scena per coprire l'eliminazione di una persona scomoda e potenzialmente pericolosa per il governo. Forse – questa è l'ipotesi, al momento non suffragata da prove - il movente per la morte della Sutton è lo stesso. Forse parlando delle donne dello Stato Islamico era finita per scoprire delle prove sui collegamenti tra governo turco e Isis: un segreto di pulcinella per molti analisti occidentali, ma un potenziale shock per l'opinione pubblica turca a pochi giorni dal voto.
"Forse parlando delle donne dello Stato Islamico era finita per scoprire delle prove sui collegamenti tra governo turco e Isis: un segreto di pulcinella per molti analisti occidentali, ma un potenziale shock per l'opinione pubblica turca a pochi giorni dal voto.
Queste teorie complottiste sono povere di fatti – nella cui assenza non a caso la famiglia Sutton ha chiesto di fermare le speculazioni e rispettare il suo dolore - ma si nutrono di un clima che sembra giustificare i peggiori sospetti. Il presidente turco Erdogan è in difficoltà in patria, dopo le proteste di Gezi Park e gli scandali di corruzione, e all'estero. Ha pessimi rapporti col mondo sciita, non ha le simpatie di quello sunnita che osteggia la Fratellanza Musulmana (Sauditi ed Egitto in primis), dopo l'intervento in Siria è alle strette con la Russia, e anche l'America e gli altri alleati storici sembrano ora lontani e ostili, specie su una questione centrale per Ankara come l'impedire la nascita di una forte autonomia curda alle sue porte. Per mantenere salda la presa almeno sul suo Paese, Erdogan ha deciso di puntare tutto sulle prossime elezioni. Il fallimento delle scorse di giugno - quando l'ingresso del partito di sinistra e curdo Hdp impedì al suo partito islamico, Akp, di ottenere la maggioranza, formare un governo monocolore e modificare la costituzione in senso iper-presidenzialista – non si deve ripetere. Le tv ostili vengono oscurate, così come talvolta i siti e i social network.
Gli indipendentisti curdi, con cui pure era stata trovata una tregua e aperto un dialogo nel 2013, sono tornati il nemico della patria (nella speranza di erodere voti alla destra nazionalista, terzo partito alle scorse elezioni). L'aiuto all'Isis nel varcare la frontiera siriana è forse stato interrotto – dopo forti pressioni internazionali – ma i bombardamenti turchi contro il Califfato sono presto diventati bombardamenti contro il Pkk curdo. Sull'attacco suicida (manodopera pare dell'Isis) che ha causato oltre cento morti ad Ankara lo scorso 10 ottobre aleggia (anche qui) l'ombra del Mit (uno degli attentatori era il fratello di un kamikaze che a Suruc aveva già sterminato decine di curdi, e l'altro era stato denunciato alla polizia dal suo stesso padre: come hanno potuto procurarsi esplosivi e pianificare l'attacco se erano sotto stretta sorveglianza dell'intelligence. Insomma, da “grande democrazia islamica” la Turchia rischia di trasformarsi in un'autocrazia dove il terrorismo jihadista più che combattuto viene sfruttato, i servizi fanno il lavoro sporco della politica, e anche una giornalista straniera rischia di morire senza che si chiaro come è morta, o perché – eventualmente – è stata uccisa.
Fonte: Linkiesta.it
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