venerdì 22 maggio 2015

Immigrazione e accoglienza, l’esempio di un piccolo paese di montagna


di Francesco Ruffinoni

«Per prima cosa vorrei ricordare che Roncobello ha una lunghissima tradizione di emigrazione, dai nostri genitori abbiamo sentito spesso racconti di viaggi della speranza in Francia, in Svizzera o più semplicemente a Milano e, credo, che nel nostro profondo abbiano lasciato un senso di “nomadismo” per cercare migliori occasioni di vita». Le parole riportate dell’assessore Antonio Gervasoni, vicesindaco del comune di Roncobello, piccolo paese in provincia di Bergamo, collocato fra le zone più suggestive dell’Alta Valle Brembana nel Parco delle Orobie Bergamasche e a 1000 metri sul livello del mare. Parole chiare e profonde, figlie di una situazione che fa da cartina al tornasole dell’Italia di oggi.

Verso la metà di aprile, infatti, la piccola comunità di Roncobello (paese che conta circa 400 abitanti) è salita alle cronache nazionali dopo che il prefetto ha comunicato al sindaco l’arrivo di quaranta rifugiati per far fronte all’emergenza immigrazione. Questa notizia ha subito riscaldato gli animi. Quando si è saputo dell’arrivo dei migranti, infatti, il clima è diventato ostile: nella notte fra il 17 e il 19 aprile, ignoti si sono introdotti nella struttura che era preposta all’accoglienza (la casa ‘Santa Maria del Carmine’, messa a disposizione dalla fondazione Portaluppi di Treviglio e affidata, per l’occasione, alla cooperativa Ruah) danneggiandone arredamento e, soprattutto, servizi igienici. A peggiorare il clima già teso si è aggiunta, poi, la politica: alcuni esponenti della Lega Nord (in gran parte esterni al paese) hanno organizzato quello che è stato definito da loro stessi il ‘comitato di non accoglienza’, mettendo in guardia gli abitanti sui rischi che avrebbero potuto correre accogliendo gli stranieri (sicurezza, malattie, costi) e invitandoli a ribellarsi alla decisione del prefetto.

A quasi un mese dall’arrivo dei primi profughi e dello smantellamento dei presidi di non accoglienza, però, la convivenza fra i paesani e gli ospiti pare procedere per il meglio: molte persone di Roncobello, infatti, si sono prodigate portando vestiti per il freddo (pur essendo primavera, la struttura di accoglienza è situata ben oltre i mille metri), mentre i ragazzi del paese giocano tranquillamente insieme ai profughi presso il campo sportivo. La cooperativa che gestisce la struttura di accoglienza, inoltre, ha anche assunto due giovani del posto: un cuoco e un animatore. Ora, con la convenzione sul volontariato, i profughi inizieranno a svolgere, con gli abitanti, piccoli lavori di manutenzione stradale, pulizia dei sentieri e taglio dell’erba, perché, come tiene a precisare il vicesindaco «l’integrazione passa soprattutto attraverso il lavoro». La situazione, ad ogni modo, resta non priva di asperità: non solo per i naturali problemi che un’integrazione forzata può portare in un microcosmo abituato ai ritmi lenti e metodici della montagna, ma anche per le proteste di pochi irriducibili (e della Lega Nord) che, ancora, non si sono esaurite: «Siamo stati defraudati di dignità e rispetto», dice un portavoce del ‘comitato di non accoglienza’, sottolineando poi come, a suo parere, l’autonomia decisionale della comunità sia stata scavalcata da un’ordinanza piombata dall’alto (ignorando le dinamiche sociali e umane che caratterizzano un piccolo paese come Roncobello), assecondata dal sindaco e dal parroco.

Ma la Valle Brembana, patria della San Pellegrino, di Felice Gimondi e dei Tasso (nobile e importante famiglia che fondò il servizio postale internazionale e dalle cui fila discende il poeta Torquato) è pure la terra di Isacco Milesi: uomo dall’alta tempra morale, ricoprì la carica di podestà proprio nel paese di Roncobello e non esitò, durante la Seconda Guerra Mondiale, ad ospitare, nella propria casa, una famiglia di ebrei, salvandoli, così, dai campi di sterminio nazista. Il suo nome, oggi, è iscritto nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme. È anche questo grande esempio di umanità, quindi, che spinge il vicesindaco Antonio Gervasoni ad affermare come lui e la comunità di Roncobello siano e debbano essere figli della cultura dell’accoglienza e della compassione, la stessa che animò il vecchio podestà: «Siamo consapevoli che i proclama teorici e filosofici spesso sono di facile intendimento ma che la realtà riserva poi imprevisti e difficoltà. Questo però non ci spaventa: i 43 profughi che tutt’ora soggiornano, sono stati ben accolti, ha prevalso il senso di responsabilità come vuole che sia una comunità aperta verso i più deboli, i bisognosi o come in questo caso, verso chi scappa dalla guerra e dalla fame».

Fonte: Diritto di critica

1 commento:

Cri ha detto...

Queste notizie ridanno speranza nel genere umano! Ribloggo! Buona settimana a te :)