mercoledì 6 maggio 2015
Paletti, ostacoli e tranelli. La riforma della scuola raccontata da una maestra
Ieri migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutta Italia contro il Governo Renzi e la riforma scolastica.
Roma stamattina, come altre sei città italiane, è in fermento: maestri, professori, studenti di tutte le età si affrettano a raggiungere i tanti cortei di protesta che hanno sfilato per protestare contro la futura riforma della scuola. Un ddl che lascia aperti molti dubbi sulle reali intenzioni del premier Renzi e del ministro dell’istruzione Stefania Giannini di risolvere i tanti problemi che assillano la scuola pubblica, come il lento assorbimento dei precari, l’assenza di manutenzione degli edifici scolastici e la carenza di fondi, che allontanano l’istruzione pubblica da qualità ed efficienza.
Alessandra Ruggiero è una maestra di sostegno. Originaria della provincia di Salerno, insegna da sei anni tra i comuni campani e Roma. Racconta che, da quando ha iniziato, non è mai stata più di un anno nella stessa scuola, ma i problemi che ha osservato sono stati sempre gli stessi. L’incontro è casuale, su uno dei tanti autobus che collegano i quartieri della capitale alla stazione Termini, verso il punto di raccolta. Alessandra è allegra ed entusiasta: “Una manifestazione così non si vedeva da anni! Scuole chiuse in tutta Italia, con tantissimi insegnanti e genitori che hanno voglia di partecipare. Questa volta riusciamo a cambiare le cose, a farci ascoltare!”
La lasciamo andare al tanto atteso appuntamento, per poi raggiungerla telefonicamente la sera per raccogliere le sue impressioni a caldo.
“Sono davvero delusa. Mi aspettavo una marcia indietro da parte del Governo, e invece hanno rifiutato il dialogo. La Giannini ha persino detto che non ha capito perché protestiamo.”
Cosa ti aspettavi da questa manifestazione?
Maggiore ascolto da parte del Governo e partecipazione da parte degli operatori della scuola e dei genitori, che invece è stata bassa. Ho notato molta disorganizzazione. Parlando con un gruppo di maestre provenienti da Napoli, ho capito che il problema sta nella mancanza di coordinamento tra sindacati e operatori della scuola. Se non fosse stato per alcune maestre che hanno lanciato petizioni e gruppi tramite Facebook, molti neanche avrebbero saputo di questa riforma.
Riflettendo insieme a loro, abbiamo capito che serve una carta della scuola scritta da chi vive e lavora nella scuola, e sa di cosa ha bisogno. Nessuno l’ha fatto ancora. Si potrebbero usare anche i social network per raccogliere idee e proposte, e coinvolgere più persone possibile.
I genitori hanno manifestato con voi?
Sì, ma in pochi. Neanche loro si rendono conto di quello che sta succedendo e forse la colpa è nostra, che non siamo stati in grado di trasmettere questo messaggio.
Cosa ne pensi quindi di questa legge?
Non mi piace. Ho la sensazione che si vogliano piazzare tante piccole trappole per complicarci la vita, nascoste dall’illusione dell’assunzione. Assunzioni che poi sono frutto delle pressioni dell’Unione Europea, non è stata una scelta del governo. Dare poteri indiscriminati ai presidi sulle assunzioni e il salario, e stabilire dei crediti per i docenti per merito mi sembra un accanimento contro la classe insegnante. Ci trattano da fannulloni, come se fossimo noi la mela marcia della situazione.
E dei contributi alla privata?
Mi sarei aspettata che si parlasse di investimenti per la scuola pubblica e non di contributi alla privata.
Conosci la scuola Principe di Piemonte, all’Eur? È una scuola occupata dal 30 aprile scorso, perché, a causa dei tagli, il numero di docenti in organico è inferiore a quello necessario a garantire il corretto svolgimento delle lezioni. E sapevi del contributo volontario? Oltre alle tasse che ogni famiglia annualmente paga, e che dovrebbero servire anche alla scuola pubblica, si è ormai consolidata la prassi di versare 90 euro all’anno. E non è poi così “volontario”, perché questi soldi sono indispensabili per l’acquisto di materiali didattici e nessuno si sente di rifiutarli. Senza parlare delle risme di carta o delle cartucce che portano gratuitamente i genitori, o delle fotocopie che fanno per noi al lavoro. Nella mia scuola possiamo fare 100 fotocopie a classe al mese! Essendo minimo tre docenti per classe, ne risulta un numero ridicolo. Noi maestre per i nostri bagni ci compriamo sapone e carta igienica, e lo stesso fanno i genitori per quelli dei bambini. Dove ho lavorato l’anno scorso non c’era neanche la fotocopiatrice. Non era una scuola di Scampia, si trovava vicino al Gianicolo (noto quartiere benestante di Roma, ndr). In quella in cui sono adesso c’è un’aula da due anni chiusa per perdite d’acqua dal soffitto, e non ci sono i soldi per ripararla. Gli edifici cadono a pezzi. Anche i soldi che questa legge prevede per l’Edilizia sembrano fumo negli occhi, perché bisognerà vedere se li erogano davvero.
Neanche la carta prepagata con 500 euro da spendere per ogni insegnante è positiva?
No, è un contentino: in tanti musei e teatri noi maestri già possiamo entrare gratis. Spesso ci invitano a visitare le mostre, soprattutto quando prevedono laboratori per bambini. I corsi d’aggiornamento di solito ce li paghiamo da soli. Ma invece di costringerci a frequentare corsi privati, potrebbero organizzarli nelle scuole in modo da coinvolgere molti più docenti, e poter così risparmiare soldi pubblici. Insomma, questa carta non ci serve: abbiamo bisogno di fotocopiatrici, pc, aule attrezzate e più grandi: molte classi sono così piccole e così sovraffollate, che se dovesse esserci un incidente, non ci sarebbe lo spazio per scappare.
Parlaci dei tuoi alunni, quelli più vulnerabili: i disabili
La loro situazione è ancora più critica. L’anno scorso avevamo una bambina affetta da una sindrome gravissima, che spesso rendeva impossibile tenerla in classe coi compagni. Ma per lei non c’era un’altra aula, al massimo potevamo stare nell’androne. A volte si addormentava sul banco, perché non avevamo neanche un divanetto su cui spostarla: otto ore parcheggiata a scuola, senza attrezzature specifiche né un programma individualizzato, che almeno stia comoda! Avrebbe avuto bisogno di attrezzature molto grandi, oppure di ascoltare della musica, ma nessuna di queste cose si poteva fare in classe, perché mancava lo spazio oppure per evitare di disturbare i compagni che, come lei, hanno diritto a studiare sereni. L’alternativa spesso sono i corridoi oppure gli sgabuzzini polverosi e pieni di spigoli.
Domani che cosa succederà secondo te?
Nulla. Domani tornerò al lavoro con la sensazione che sia stato tutto inutile, che non siamo stati in grado di ottenere nulla, se non il taglio di 70 euro dalla busta paga per questa giornata di assenza.
Alessandra Fabbretti
Fonte: OltremediaNews
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