Il presidente del Consiglio Matteo Renzi con la ministra della Semplificazione e Pubblica Amministrazione Marianna Madia (ANSA/ANGELO CARCONI)
Giovedì 9 giugno la Corte di Cassazione ha depositato la sentenza 11868 della sezione Lavoro, che dice: «Il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla “legge Fornero” bensì dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori». La sentenza non è una sorpresa, perché la riforma del lavoro del 2012 cosiddetta “Fornero”, dal nome dell’allora ministro, non riguardava gli statali: ma un’altra sentenza della Cassazione dello scorso novembre aveva stabilito che ai dipendenti pubblici dovevano essere applicate le regole della riforma Fornero e quindi del “Jobs Act”, la nuova riforma del lavoro del 2014 fatta dal governo Renzi, che aveva cambiato l’articolo 18. Tutti i principali giornali si occupano oggi di nuovo dell’articolo 18, perché queste due sentenze ravvicinate mostrano, come denunciano da mesi sindacati e giuslavoristi, che nella stratificazione delle diverse riforme si è creata una sostanziale disuguaglianza tra lavoratori del settore pubblico e del settore privato.
Con la sua ultima sentenza la Cassazione ha accolto le ragioni del ministero delle Infrastrutture e Trasporti contro una decisione della Corte d’appello di Roma del dicembre 2014. La Corte di Appello aveva riconosciuto sei mesi di stipendio come risarcimento a un funzionario pubblico licenziato che faceva un doppio lavoro, come stabilisce la legge Fornero per i casi di licenziamenti senza giusta causa ma con violazione delle procedure disciplinari. Il ministero delle Infrastrutture aveva fatto ricorso in Cassazione contro i sei mesi di indennità. La Corte ha ora stabilito che per il pubblico impiego valgono le garanzie dello Statuto dei Lavoratori: e cioè che in caso di licenziamento illegittimo il lavoratore va reintegrato e non semplicemente risarcito. La legge Fornero effettivamente non prevedeva l’applicazione delle nuove regole agli statali: prevedeva che venisse emanata una norma successiva che estendesse le nuove regole agli statali, ma quella norma non è mai stata fatta.
L’articolo 18, in breve, dallo Statuto dei Lavoratori al Jobs Act
L’articolo 18 è una parte di quello che comunemente viene chiamato Statuto dei Lavoratori, e cioè della legge del 20 maggio 1970, numero 300, che contiene l’insieme delle norme «sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro». Si tratta insomma delle regole più importanti a tutela di illeciti e ingiustizie quando si parla di lavoro in Italia e che sono organizzate, nella legge, in diversi “titoli” dedicati a vari temi. L’articolo 18 rientra nel “Titolo II – Della libertà sindacale” e si occupa dei licenziamenti che avvengono senza giusta causa per certe categorie di lavoratori e lavoratrici: indica cioè quali sono i diritti e i limiti per chi viene licenziato in modo illegittimo e che decide di fare richiesta al giudice per ottenere indietro il suo impiego o essere risarcito del danno subito.
L’articolo 18 ha subìto una sostanziale modifica nel 2012 con la riforma dell’allora ministro del Lavoro Elsa Fornero, sia nella procedura che seguiva immediatamente il licenziamento (riducendo i tempi per rivolgersi al giudice e introducendo una procedura di conciliazione), sia nella giustificazione del licenziamento stesso (discriminatorio, disciplinare, economico): in sostanza, riduceva e rendeva complicata l’applicabilità della tutela del reintegro nella maggior parte dei casi di licenziamento che arrivavano in tribunale. La legge Fornero prevedeva che queste nuove regole venissero applicate anche ai dipendenti pubblici con una norma successiva che però non è mai stata fatta.
Poi è arrivato il cosiddetto “Jobs Act”, la riforma del lavoro del governo Renzi del 2014, che ha superato definitivamente l’articolo 18 e il diritto al reintegro sostituendolo, in caso di licenziamento senza giusta causa, con un indennizzo. La riforma si applica però solo ai nuovi contratti di lavoro e cioè a chi è stato assunto dopo il 7 marzo del 2015 e sebbene non sia stato esplicitamente chiarito nella legge la ministra della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha sempre ribadito che non riguarda gli statali. Madia dice in sostanza che l’articolo 18 per gli statali non è stato cambiato né dalla legge Fornero né dal Jobs Act. Una sentenza della Cassazione del novembre del 2015 sembrava però smentire questa posizione.
E quindi?
Il risultato è che esistono in teoria tre regimi diversi di tutela. Per i lavoratori pubblici dovrebbe valere l’articolo 18 come previsto dallo Statuto dei Lavoratori, per tutti i lavoratori privati assunti entro il 7 marzo 2015 vale la legge Fornero e per chi è stato assunto dopo quella data si applica il Jobs Act (questo significa che dopo il Jobs Act all’interno di una stessa azienda ci sono lavoratori con le stesse mansioni ma con regimi di tutela diversi e che nell’ipotesi di un licenziamento collettivo alcuni lavoratori hanno il diritto ad essere reintegrati e altri no). Le due sentenze della Cassazione hanno aggiunto “confusione” per quanto riguarda il settore del lavoro statale: quella più recente dice per i lavoratori statali vale lo Statuto dei Lavoratori, quella dello scorso novembre dice che anche per gli statali vale il licenziamento riformato senza obbligo di reinterga.
Aldo Bottini, il presidente degli avvocati giuslavoristi italiani ha spiegato che questa situazione «rappresenta una disuguaglianza, una discriminazione non so quanto sostenibile anche da un punto di vista costituzionale». Bottini ha spiegato che il contrasto tra le due sentenze «andrà chiarito dalle Sezioni unite o da un intervento legislativo di interpretazione autentica, che peraltro il governo aveva annunciato di voler fare fin dallo scorso anno, quando entrò in vigore il Jobs Act ed era in discussione la riforma del pubblico impiego». Per quanto riguarda gli statali, viste le diverse interpretazioni, il governo e la ministra Madia hanno infatti detto più volte di voler intervenire con una norma che espliciti l’esclusione dei dipendenti pubblici dalla riforma. Scrive Repubblica che «la precisazione dovrebbe trovare spazio nel testo unico del pubblico impiego, in attuazione della riforma della Pubblica amministrazione».
Fonte: Il Post
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