Francesco Cancellato
(Credits: Peter Macdiarmid/Getty Images)
Un dato, prima di tutto. Lo scorso anno, la percentuale dei telespettatori italiani è cresciuta, rispetto all'anno precedente, di due punti percentuali. Possiamo interpretare il dato come un incidente di percorso, o come l'eccezionale deviazione da un percorso, ineluttabile, di progressiva sostituzione del mezzo di comunicazione per eccellenza della seconda metà del ’900 (la tv), con quello del nuovo millennio (internet). Sarà anche così: quel che è certo, sinora, è che internet non ha distrutto la televisione, né pare stia minacciando di farlo. Al contrario, la rete si abbevera di contenuti e discussioni che hanno come oggetto contenuti televisivi. Magari quelle stesse serie tv che stanno strappando al cinema i migliori sceneggiatori, registi, attori.
Semmai, insomma, è la televisione che sta mangiandosi internet. Con i social network e i media online che assomigliano sempre più a piattaforme video. Con broadcaster online come Netflix o grandi piattaforme come Amazon che producono intrattenimento di alto livello. Con il moltiplicarsi degli strumenti per la fruizione di tali contenuti, non più solo dal tinello di casa o dalla camera da letto, bensì ovunque. Con la propaganda politica che produce al meglio i suoi effetti quando si muove nel recinto semantico dell’immagine in movimento. Un altro dato: 7 italiani su 10 vedono filmati online online e negli ultimi dodici mesi il consumo di tv su Internet - commenti e condivisioni compresi - è aumentato del 12%.
Se questo è vero, è vero anche che chi fa contenuti televisivi non è riuscito a monetizzare questa straordinaria espansione. Al contrario, per quanto paradossale possa sembrare, l’ha subita. Colpa di una rivoluzione tecnologica che ha tolto ai broadcaster il monopolio della produzione dei contenuti. Colpa anche, tuttavia, di una miopia sistemica, di un’incapacità diffusa a capire cosa stava accadendo. Sono lontani i tempi in cui Murdoch si comprò MySpace, pensando di avere in mano le chiavi dell’interazione sociale online. Quello fu un tentativo fallimentare, certo, ma fu anche l’unica mossa dei broadcaster per mettere le mani su internet e i suoi flussi di dati. Da allora, fermi e zitti.
Ora le carte le danno Facebook, Amazon, Google, Apple, Microsoft. Con ogni probabilità, saranno loro a decidere che televisione guarderemo domani, come la guarderemo e con chi. La loro strategia è chiara: eliminare ogni confine tra il mezzo televisivo e il web, tra lo spettatore e il produttore, tra la fruizione e l'interazione. E decidere, attraverso i loro algoritmi, cosa merita di essere visto e discusso online.
«Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto», diceva Karl Popper nel suo «Cattiva maestra televisione». E proseguiva: «Dico così perché anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà troppo tardi». È già troppo tardi?
Fonte: Linkiesta.it
Nessun commento:
Posta un commento