lunedì 2 marzo 2015
Jobs Act, cosa cambia. Ce lo spiegano i giuslavoristi della Sapienza
Comincia a prendere corpo la riforma del mercato del lavoro targata Renzi. Da oggi, infatti, entrano in vigore due tra i decreti emanati dal governo che si inscrivono nel solco di quell’insieme di provvedimenti che vanno a completare il disegno di riforma complessiva chiamato Jobs Act. Con l’occasione abbiamo quindi deciso di fare chiarezza sui punti salienti della nuova disciplina del lavoro: come era prima il mercato del lavoro e come sarà regolato dopo la riforma? Lo abbiamo chiesto ad un gruppo studio di giuslavoristi coordinati dal professor Arturo Maresca, docente ordinario di diritto del lavoro presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università Sapienza di Roma.
Quali sono sino ad oggi le principali novità introdotte dal Jobs Act?
Una prima parte di questa riforma è stata approvata con il cd. decreto Poletti che ha riguardato i contratti a termine. Poi nel dicembre del 2014 è stata varata la legge delega sulla riforma del mercato del lavoro che consente al governo di dettare le norme attraverso decreti legislativi che verranno emanati di volta in volta. Tra questi i decreti che sono in fase più avanzata (e che entrano in vigore oggi, ndr.) riguardano le tutele crescenti, le modifiche in materia di licenziamento, e la Naspi (che sarebbe la nuova indennità di disoccupazione). Poi abbiamo altri schemi di decreti legislativi pronti. Essi concernono il riordino delle tipologie contrattuali (quindi il riordino del contratto a termine, il riordino del part-time, il riordino dell’apprendistato, il riordino del contratto a chiamata), un intervento importante sulle collaborazioni coordinate, una modifica importante sull’art. 13 dello statuto dei lavoratori riguardante il mutamento di mansioni e gli interventi a sostegno della genitorialità. Poi a fine marzo avremo altri decreti che riguarderanno gli ammortizzatori sociali, non però quelli sulla disoccupazione bensì quelli sul sostegno all’occupazione, ed infine una modifica dell’art. 4 dello statuto in materia di controlli dei luoghi di lavoro (criteri e requisiti per l’installazione di impianti audiovisivi, ndr.).
Insomma molte novità sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Come cambia il diritto del lavoro con la riforma Renzi?
Si tratta di un capovolgimento completo. Prima il nostro legislatore diceva che la flessibilità del lavoro si realizza attraverso le tipologie flessibili di contratti con le quali assumere: collaborazioni a progetto, partite Iva, associazioni in partecipazione, il contratto a termine, la somministrazione etc. Adesso il governo intende spingere le aziende ad utilizzare nuovamente come strumento principale il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Per fare ciò si vuole rendere questo tipo di contratto meno costoso (rispetto alle cd. forme contrattuali precarie), lo si vuole dotare di flessibilità gestionali interne al rapporto di lavoro (ad esempio aprendo ai demansionamenti, ndr.) e di costi certi nel licenziamento.
Per quanto riguarda l’economicità, il governo si è già mosso in tal senso. Con la legge di stabilità che è entrata in vigore il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ad oggi costa il 36% in meno rispetto al contratto a termine ma anche rispetto alla partita Iva in quanto per i primi 3 anni chi sceglie di assumere a tempo indeterminato non dovrà pagare i contributi previdenziali e il costo di questo lavoratore è interamente deducibile ai fini Irap. Ciò può rappresentare una bella attrattiva per il datore di lavoro che, dovendo assumere, si trova a scegliere tra le forme flessibili e la più economica tipologia contrattuale a tempo indeterminato.
E alla fine di questi 3 anni?
E alla fine di questi tre anni il sostegno viene meno (cioè si tornano a pagare i contributi, ndr.). E quindi diciamo vedremo quello che succederà il primo gennaio del 2018. Però intanto questo lavoratore è stato inserito con un rapporto a tempo indeterminato in azienda e poi si vedrà quello che succede.
Va bene, sulle tutele ci torniamo più avanti. Per quanto riguarda le flessibilità interne?
Si poi abbiamo le flessibilità interne al rapporto di lavoro. In precedenza il legislatore non era mai intervenuto sul contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ma era intervenuto sulle tipologie flessibili. Oggi fa un’operazione che apre alle possibilità di mutamento delle mansioni* in costanza di rapporto e modifica le modalità di esercizio del potere di controllo (dei luoghi di lavoro) con l’ausilio delle nuove tecnologie.
(*Per mansioni si intendono le modalità con le quali le prestazioni lavorative del dipendente vengono organizzate nell’azienda e la posizione nell’unità produttiva del lavoratore medesimo, ndr.).
E poi c’è la disciplina sui licenziamenti…
Essa va inquadrata secondo l’obiettivo di fissare costi certi in materia di licenziamento. Qui noi avevamo l’art. 18 (dello Statuto dei Lavoratori, ndr.) che rimarrà per tutti i lavoratori assunti fino a ieri, mentre per tutti quelli che saranno assunti dal giorno successivo all’entrata in vigore del decreto, nel caso di licenziamento, ove quest’ultimo fosse illegittimo, la regola generale sarà un’indennità da 4 a 24 mensilità che cresce in base all’anzianità. Quindi un’azienda che licenzia può sapere con certezza che nel caso di licenziamento illegittimo il costo del licenziamento non supera questo importo. Quindi non è il giudice che stabilisce quante mensilità, tra 4 e 24, spettano, perché in base all’anzianità si moltiplica ogni anno di anzianità per due. In questo contesto la reintegrazione nel posto di lavoro resta confinata a 5 ipotesi: licenziamento discriminatorio, licenziamento nullo (cioè il licenziamento per ritorsione, della madre lavoratrice della donna che ha contratto matrimonio), licenziamento orale, il licenziamento per inidoneità psicofisica e alcune ipotesi di licenziamento disciplinare. In questo caso si può avere reintegrazione quando il fatto è insussistente (cioè non è materialmente accaduto o non è attribuibile al lavoratore, ndr.); se invece il fatto è sussistente ma non è grave e quindi il licenziamento è illegittimo perché non c’è proporzionalità tra fatto e provvedimento allora il lavoratore sarà comunque licenziato ma avrà n’indennità che è quella calcolata tra le 4 e 24 mensilità.
Dunque possiamo concludere che tale indennità vale per tutte le ipotesi di licenziamento (anche per quelli economici e collettivi) a meno che la fattispecie non sia riconducibile ad uno dei cinque casi suddetti.
Che differenza c’è tra la manifesta insussistenza del fatto che viene contestato che viene posto a motivazione del licenziamento e la non proporzionalità del licenziamento rispetto alla gravità del fatto? Per il lavoratore cambia molto…
I giudici continueranno ad accertare la legittimità o illegittimità del licenziamento in base al principio della proporizionalità. Questo è scritto nel codice civile e non è stato toccato. Quindi il giudice dirà: ma questo fatto per il quale il lavoratore è stato licenziato, cioè l’infrazione, è così grave da legittimare il licenziamento? E faranno quello che hanno sempre fatto, cioè diranno il licenziamento legittimo/illegittimo. Qui avverrà la stessa cosa. Che cosa cambia? Prima la sanzione che si applicava era la reintegrazione, oggi la sanzione che si applica è l’indennità da 4 a 24.
Quindi lei sta dicendo che una volta che il giudice stabilisce che il licenziamento non è giusto, invece di un risarcimento in forma specifica come poteva essere la reintegrazione, il datore può comunque licenziare pagando solo un indennizzo. Questo si ricollega con quello che dicevamo prima a proposito delle politiche di sostegno. Dove sono dopo questa riforma le tutele?
Si è vero la tutela della reintegra è stata sostituita dal legislatore con una tutela che è in parte indennitaria ed in parte si realizza attraverso il contratto di ricollocazione. Le tutele sono quindi lì, in questi due strumenti. Il contratto di ricollocazione, in particolare, è una politica attiva del lavoro che dovrebbe portare quel lavoratore, da quella posizione che ha perso ancorché illegittimamente e per la quale se così fosse verrebbe indennizzato, ad un nuovo lavoro attraverso una politica di sostegno alla nuova occupazione. Cioè per politiche attive s’intende sostegno del lavoratore a trovare un’altra occupazione. Si dice, questo è uno slogan, ma se ben fatta si tratta di una visione alternativa all’attuale sistema: la tutela non è nel rapporto ma si realizza nel mercato. Quindi la tutela non è del posto di lavoro, cioè del posto precedentemente occupato, ma la tutela è dell’occupazione. Adesso il punto è: funzionerà questo sistema? Questo è il punto, però questo è il sistema moderno, cioè con queste politiche il legislatore non ti reinserisce dove stavi prima, ti porta ad una nuova occupazione, indennizzo e nuova occupazione questo è lo schema delle tutele. E’ un bel passo avanti, se sarà un salto nel vuoto o meno lo dirà il funzionamento degli strumenti accessori. Questi in realtà sulla carta e nelle intenzioni ci sono, il problema è che mettere in campo gli strumenti o scrivere nella costituzione che ci saranno le politiche attive sul lavoro non è una cosa sufficiente perché poi bisogna farle funzionare le cose.
Veniamo ai cambiamenti in materia di contratti a tempo determinato. Lei diceva che il merito di questa serie di riforme è il fatto che si realizza la flessibilità all’interno del contratto di lavoro subordinato indeterminato, però il decreto Poletti ha tolto la causalità* e consente di prorogare per 5 volte il contratto a termine. Non è contraddittorio?
Secondo me no, anche se questo è stato detto. Secondo me non è contraddittorio perché il decreto Poletti sostituisce un limite legale (che prima era causalmente collegato al motivo che giustificava il termine posto alla durata del contratto) ad un limite quantitativo: il datore non può assumere a tempo determinato più del 20% dell’organico. Quindi che cosa è stato fatto? E’ stato sottratto il contratto a termine ad un criterio che ha dato luogo a contenziosi enormi: prima la condizione causale giustificatrice del contratto a termine era la “ragione tecnica organizzativa produttiva e sostitutiva”, ma rispetto al significato di tale locuzione ognuno di noi ha un’idea diversa. Adesso invece c’è il criterio del 20% che è più facile e se uno lo sfora c’è l’illegittimità del contratto a termine. Quindi secondo me c’è coerenza, però mi rendo conto che prima il contratto a termine potesse sembrare più complicato da applicare; ciò che però fa il legislatore dinanzi alle difficoltà interpretative è cercare di semplificare.
(*Per causalità del contratto a termine si intende quella condizione che veniva posta dalla legge e che doveva sulla carta impedire ai datori di assumere con formule precarie per motivi generici, limitando queste tipologie di rapporti a specifici casi, ndr.)
Abbandonando per un attimo il sistema delle tutele, anche se si tratta di argomenti strettamente connessi, oggi assistiamo al diffondersi della contrattazione collettiva a livello aziendale a scapito della contrattazione collettiva nazionale, ebbene questo, anche alla luce delle riforme in cantiere, non pone in dubbio la permanenza stessa dello Statuto dei lavoratori e l’esistenza della contrattazione collettiva nazionale?
Ha senso parlare di contratto collettivo nazionale di categoria perché noi abbiamo un sistema produttivo che è largamente occupato dalle piccole imprese. Quindi la contrattazione aziendale, che è importantissima perché coglie di più le esigenze di tutela e di flessibilità di quell’azienda che sono diverse da quelle di un’altra, riguarda un settore piuttosto delimitato. Infatti solo il 30-35% delle imprese fa la contrattazione integrativa (cioè la contrattazione aziendale, ndr.); è vero che queste sono le imprese maggiori, quindi il 30% delle imprese numericamente copre però circa il 60-70% dei lavoratori, ma il contratto nazionale deve rimanere perché altrimenti restano scoperti in troppi.
Siamo alle considerazioni finali. Lei pensa che una riforma del mercato del lavoro che va incidere sulle relazioni tra datore e lavoratore e anche sui diritti del lavoratore sia capace di produrre effetti dal punto di vista economico, cioè nell’economia reale, e di incidere sul costo opportunità dei datori nella scelta se assumere o no?
No, la riforma non creerà di per sé posti di lavoro, non c’è una legge che crea nuova occupazione, sennò noi saremmo all’avanguardia nell’occupazione, visto che noi siamo produttori di norme…Però vuole avere un effetto molto molto importante che è quello di limitare l’utilizzo delle forme precarie di lavoro, quindi indirizzare l’impresa a forme di lavoro che danno una stabilità dell’occupazione maggiore. Si possono fare tutte le considerazioni possibili sul Jobs Act, ma c’è un dato da cui bisogna partire: oggi su 100 lavoratori assunti 15 lo sono con un contratto a tempo indeterminato e gli altri 85 vengono assunti con tutto, dallo stage alla partita iva, dal contratto a progetto al contratto a termine, senza dimenticare la somministrazione. Ebbene il successo o l’insuccesso della legge dipenderà dall’inversione di questo rapporto. Non si deve guardare invece alla creazione di nuova occupazione, perché per aversi nuova occupazione ci vuole la ripresa. E’ vero, si dice che i nuovi contratti a tempo indeterminato avranno minori garanzie, si ma è sempre tempo indeterminato.
A patto che funzioni tutto quello che c’è intorno…
Quello che c’è intorno serve per i lavoratori che saranno licenziati. Io non credo che ci saranno questi eccessi in materia di licenziamento perché un’azienda, detto francamente, se assume lo fa per occupare e non per licenziare. Certamente ci può essere un problema con il lavoratore con il quale non si instaura un rapporto proficuo, ci può essere un problema perché il mercato non funziona, e allora bisogna fare in modo che il mercato sia dinamico affinché il lavoratore uscito da un’azienda sia indennizzato in caso di licenziamento illegittimo e riportato dal sistema (tramite ammortizzatori e politiche attive suddette) ad un’altra occupazione. Questa si chiama flex security in Europa. Il punto è: la riusciremo a fare? Questo bisognerà vedere perché senza questo contorno il passo avanti che stiamo facendo potrebbe risultare un salto nel vuoto.
Fonte: OltremediaNews
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