domenica 29 marzo 2015

Le guerre (quasi) segrete dell’Italia

Quadre speciali di incursori hanno operato nel più stretto riserbo in Afghanistan. Ora i militari italiani potrebbero essere schierati in Iraq e Somalia. In attesa di intervenire in Libia


Manifestazioni, bandiere arcobaleno, “yankee, go home”. Cosa resta oggi degli anni 2000, delle proteste contro la guerra in Iraq? Contro il militarismo occidentale? E cosa resta nell’immaginario collettivo dei morti di Nassiriya? Poco, pochissimo. Mentre i movimenti pacifisti sono di fatto spariti dall’orizzonte politico e sociale, gli Usa e i suoi alleati continuano la “lotta al terrorismo” che non è altro che la difesa (spesso legittima) dei propri interessi nazionali. Meno soldati al fronte, meno guerre dichiarate, ma più fronti aperti. E l’Italia fa la sua parte. Nulla sui tg, poco, veramente poco sui giornali. Forse perché gli italiani continuano a mantenere un livello di attenzione verso l’estero pari a quello di un neonato addormentato nella culla. Ma mentre in tanti dormono, intorno ai confini nazionali emergono nuove minacce.

Task Force 45, la Delta Force italiana. Così, l’Italia – come altri paesi Nato – ha già da qualche tempo ridefinito la propria strategia militare nel contesto internazionale. Il primo banco di prova è rappresentato dalla Task Force 45, un manipolo di uomini altamente addestrati, provenienti dai gruppi di incursori di tutte le forze armate sotto il comando operativo dell’Esercito. Questa squadra ha operato nel completo segreto per otto anni in Afghanistan, sotto il comando Nato nell’ambito dell’Operazione “Sarissa” dell’International Security Assistance Force (ISAF). Il suo scopo è stato quello di colpire obiettivi selezionati e soprattutto “importanti”, come i capi talebani. Ora la stessa esperienza potrebbe ripetersi anche in altri paesi. Stando agli accordi che sono recentemente emersi, il governo italiano sarebbe pronto a schierare anche in Somalia e in Iraq una o più squadre con gli stessi compiti della Task Force 45. Anzi, è probabile che saranno gli stessi uomini che hanno già combattuto in Afghanistan.

Il ruolo fondamentale degli istruttori. Ma l’Italia non partecipa o parteciperà a conflitti contro il terrorismo di matrice islamica solo con uomini d’élite. Già in Afghanistan e in Iraq operano qualche centinaio di istruttori militari con il compito di addestrare le forze locali dei governi cosiddetti legittimi. Questi uomini – poco più di qualche centinaia – in caso di necessità possono combattere a fianco delle forze locali, conducendo e guidando anche alcune operazioni.

E se si dovesse intervenire il Libia? Le stesse forze potrebbero essere impiegate anche in Libia. Di fatto è probabile che già alcune squadre di qualche decina di uomini si muovano sul territorio libico, visti i consistenti interessi nazionali che sono oggi minacciati dai miliziani locali legati all’Isis. In ogni modo, una volta raggiunto il via libera da parte dell’Onu per un intervento di peace keeping o peace enforcing, il governo italiano potrebbe sperimentare la stessa formula utilizzata in Afghanistan. Il problema, tuttavia, potrebbe riguardare il numero di militari delle forze speciali schierabili. Secondo fonti interne, il numero degli uomini addestrati per questo tipo di missioni, è di circa 200 unità. Pochi, se si pensa che dovranno essere impiegati simultaneamente in Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia. Forse sarà necessario rinunciare a qualcosa, come è già stato fatto nel Corno d’Africa, dove le unità navali italiane non partecipano più alle missioni anti-pirateria e sono state parzialmente rischierate nel Mediterraneo per un eventuale intervento in Libia.

Fonte: Diritto di critica

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