sabato 28 marzo 2015

Expo, il vero problema è arrivarci

Reportage dal cantiere, a un mese dal via: ce la si può fare, ma le infrastrutture sono carenti

Francesco Cancellato

Il cantiere di Expo 2015, a un mese dall’inaugurazione (Credits: GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images) 

Sono stato a Expo 2015. Ospite, insieme ad altri cinquanta giornalisti, ho assistito all'inaugurazione di ”Waterstone”, il (bel) padiglione di Intesa San Paolo - il primo ad essere stato ufficialmente concluso e presentato alla stampa - officiata dall'amministratore delegato Carlo Messina, dall'architetto Michele De Lucchi, che l'ha progettato, e dell'onnipresente commissario di Expo Giuseppe Sala, che ha speso mezz'ora del suo tempo a rassicurare sull'effettivo avanzamento dei lavori.

Fin qui la fredda cronaca dell'evento, in cui è stata presentata una struttura realizzata con materiali interamente ecologici e riciclabili, che evoca gli elementi naturali e richiama i temi dello sviluppo sostenibile e del rispetto per l’ambiente, con una superficie esterna, ricoperta da 6.363 tavolette di legno di abete e da 3,5 chilometri di fibre e 168.000 punti led, e che all'interno richiama l’immagine «di un vecchio fienile, appoggiato su una base di calcestruzzo, interamente trasportabile al termine della manifestazione», spiega De Lucchi. 

Quel che più interessa, tuttavia, è il contorno, quel che si vedeva dalle finestre del padiglione della banca, quel che si poteva scorgere dai finestrini dell'autobus mentre attraversavano Milano prima e il Decumano poi, quel che si poteva estorcere, a mezza voce, a chiunque avesse addosso un caschetto e una pettorina. 

Partiamo da qui, dai caschetti e dalle pettorine. Seimila, dicono. Non li ho contati, ma raramente ho visto un cantiere così attivo, pieno di automezzi e di persone come quello di Expo 2015. A fianco a me, un addetto ai lavori, che di cantieri ne ha visti parecchi. Smorza i toni, insomma, ma ha l'effetto di rassicurarmi ulteriormente: «C'è tanta gente, c'è movimento, ma non c'è la frenesia di chi teme di non farcela. Vedrai che tutto sarà pronto in tempo. Anzi, non mi stupirei se da Expo non stiano volutamente usando prudenza nel dire che non tutto sarà pronto per l'inizio della manifestazione, per raccogliere ancora più applausi».

Mi guardo attorno e mi sembra impossibile che tutto quel caos possa trasformarsi nei rendering che si vedono sul sito ufficiale: «Tieni conto - aggiunge il mio interlocutore - che gran parte dei lavori avvengono fuori da qui. Gran parte dei padiglioni e la totalità degli allestimenti interni sono prefabbricati. Magari sono già pronti, o quasi, ma tu oggi non li vedi. Poi nel giro di tre, quattro giorni sarà improvvisamente tutto pronto». 

Se e quando andrete all'Expo, tenete in mente questa parola: prefabbricato. Già, perché la principale sensazione visiva di questa esposizione universale è quella di un villaggio di legno. Di legno è il padiglione di Banca Intesa. Di legno è il Padiglione Zero - anch'esso di De Lucchi - i padiglioni dei cluster, quello del Giappone, quello dell'Angola, quello del Vietnam e di molti altri paesi. A memoria, l'unica grande costruzione in cemento della zona - anzi, «bio-cemento», come tiene a precisare il cicerone di Expo che ci racconta l'area espositiva dal microfono dell'autobus, come una professoressa in gita - è il Padiglione Italia, che prefabbricato non è. E che, non a caso, è tra quelli maggiormente in ritardo, insieme a quello cinese, il più grande, che era anche finito al centro delle indagine della scorsa primavera.

Un primo vincitore di Expo c'è già, insomma: si chiama Rubner Objektbau, gruppo altoatesino specializzato in costruzioni prefabbricate in legno che è riuscita nell'impresa di portare a casa 25 milioni di lavori per Expo Milano 2015: quarantatré Padiglioni per quattro Cluster, i quali raggruppano circa 70 Paesi - una parte del Children Park e tre padiglioni per Slow Food. Non solo: a fine febbraio, Expo 2015 S.p.A. ha affidato alla Rubner un nuovo incarico per le sistemazioni esterne dei Cluster. Parere di chi scrive: se lo sono meritati. I padiglioni dei cluster erano in piedi già lo scorso settembre, in due sole settimane di lavoro. Chi è in quei padiglioni, insomma, sta già allestendo gli interni, così come molti altri che hanno fatto la scelta del legno.

C'è da dire anche, forse me ne sono dimenticato, che l'effetto è complessivamente bello. Rispetto a Shanghai, l'Expo di Milano è molto più piccola - è lunga 1,2 km, contro i 5,4 km di quella cinese - ma anche molto più piacevole alla vista e, soprattutto, meno pacchiana. Le architetture, anche quando sono ardite mantengono una certa sobrietà. Personalmente - ma vi dovete accontentare di un'opinione profana e parziale - il più bel padiglione di Expo 2015 sarà quello del Giappone, una struttura in legno, interamente realizzata a incastro, senza un chiodo.

Note dolenti? Una soprattutto. Per arrivare a destinazione, partendo in pullman dal centro di Milano, ci abbiamo messo quasi un'ora. Se avessimo preso la metropolitana, ci sarebbe toccato circa un chilometro e mezzo a piedi di passerella per arrivare agli ingressi. Se fossimo arrivati dalle tangenziali, non avremmo potuto utilizzare il grande ponte ad arco progettati dagli architetti Antonio Citterio e Patricia Viel. Non è ancora pronto e, nel cantiere, si sussurra che lo sarà tra mesi: «Hai presente Italia '90?», mi dice un caschetto giallo?

A questo si sommano i ritardi e le ripogettazioni al ribasso di altre opere infrastrutturali come la Rho-Monza - metà autostrada col nome di tangenziale nord tra Monza e Paderno Dugnano, metà superstrada da Paderno Dugnano alla fiera di Rho -, che avrebbe dovuto essere una delle principali strade di accesso a Expo e che invece sarà un’opera provvisoria, con quattro corsie, ma col limite di velocità a 60 all’ora. Per non parlare, ovviamente, della famigerata M4 - la linea metropolitana che avrebbe dovuto congiungere l'aeroporto di Linate col centro di Milano - che avrebbe dovuto essere pronta per Expo e che invece lo sarà tra qualche anno.

Sarà un problema, per i visitatori? Probabilmente sì, molto più dei pezzi di padiglioni non finiti e coperti dal camouflage. Se è vero, come dice Giuseppe Sala, che sono già stati venduti 8 milioni di biglietti - anche se altre indiscrezioni parlano di un numero di gran lunga inferiore - e che ci si aspetta che tale cifra superi presto i dieci milioni, dovremo aspettarci dalle 50 alle 100mila persone che ogni giorno si riverseranno su quell'area. Un quinto rispetto a Shanghai, certo. Ma, per dare l'idea, circa il doppio di quante ne entrano ogni anno al Salone del Mobile, nei giorni di punta. Senza dimenticare, e anche questo non è secondario, che ogni sera, circa 600 camion - 850 nei giorni di punta - dovranno accedere a Expo per ritirare la sporcizia e rifornire i padiglioni di cibo e bevande.

Cibo e bevande, peraltro, saranno il cuore dell'esposizione, e non solo per via del tema: «Esposizioni come quella di Milano, Siviglia o Hannover non sono come quella di Shanghai - riflette e mi congeda il mio interlocutore -, ha un bacino d'utenza locale, non certo globale. Se saremo capaci di attrarre centomila persone al giorno, chapeau. Io ne dubito. Ma se ciò accadrà sarà perché si diffonderà la voce che a Expo si mangia gratis. Che è vero, nel senso che gli assaggi saranno parecchi, ma ci saranno anche ristoranti a pagamento. E agli italiani piace mangiare bene». Alla fine, come ogni grande evento che si rispetti, sarà il buffet a fare la differenza». Sempre che non si rimnga imbottigliati nel traffico, ovviamente.

Fonte: Linkiesta.it

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