sabato 12 dicembre 2009

40 anni fa la strage di Piazza Fontana


Esattamente 40 anni fa avvenne la strage di Piazza Fontana. Ancora oggi non si è fatta luce su questa vicenda. Voglio, a tal proposito, riportare questo articolo tratto da Dazebao. Leggetelo, è molto interessante.

12 dicembre 1969: la strage di piazza Fontana. Un “mistero” che non si è mai voluto chiarire

La memoria corta della storia italiana colloca la deflagrazione delle 16,37 nella centralissima Banca Nazionale dell’Agricoltura milanese come un episodio unico. Ed invece fu l’atto finale di una lunga serie di attentati attribuibili ad un gruppo neo-nazista nato nel Veneto padovano e mestrino, a partire dalle bombe senza vittime del 25 aprile 1969 sempre a Milano e molti altri attentati compiuti nel Veneto “bianco”, fino alla strage finale di cui oggi ricorre il quarantesimo anniversario. Basti pensare che tra il 1968 e il 1974 si susseguirono 140 attentati dinamitardi, tutti di origine fascista-nazista, perché, come asserisce Salvini, “Ordine nuovo” « era l’unica organizzazione terroristica che non si poneva il problema dell’eventuale verificarsi di vittime civili e, nei documenti cui si ispirava, era teorizzata la necessità di contrastare subito e con ogni mezzo, compreso il caos, l’avanzata del comunismo, favorita da un sistema parlamentare borghese ritenuto imbelle e putrescente in cui si salvavano, forse, solo i militari»

In quel pomeriggio invernale fervono le trattative fra operatori del mercato agricolo e dunque il grande salone della banca è particolarmente pieno di persone. La borsa con il tritolo e il timer viene collocata sotto il grande tavolo dove si appoggiano gli avventori, anche per redigere una distinta di versamento. La deflagrazione è tremenda: muoiono 17 persone (Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia, Attilio Valè, Gerolamo Papetti); i feriti sono 88.

La pista anarchica

Il 17 dicembre il “Corriere della Sera”, diretto dallo storico Giovanni Spadolini, apre con la notizia dell’arresto del “mostro”, cioè l’autore materiale dell’attentato: si chiama Pietro Valpreda, un ballerino anarchico che frequenta i suoi compagni del circolo di Ponte della Ghisolfa a Milano. Il Presidente della Repubblica Giovanni Saragat si affretta a inviare un inopinato biglietto di congratulazioni all’allora questore di Milano Marcello Guida. Lo inchioderebbe la testimonianza di un tassista, Cornelio Rolandi, secondo il quale proprio quel pomeriggio avrebbe accompagnato Valpreda (che riconosce dalle foto e da un confronto all’americana ampiamente inquinato dagli investigatori e quindi inattendibile) a piazza Fontana. L’anarchico milanese sconta tre anni di carcere preventivo, prima di essere liberato nel dicembre del 1972, dopo che il Parlamento ha approvato una legge che introduce la libertà provvisoria anche per gravi reati. Oramai, le indagini hanno imboccato la strada del neo-fascismo padovano e i magistrati si convincono che, con piazza Fontana, gli anarchici non c’entrano nulla. Sarà assolto con formula dubitativa insieme a tutti i fascisti imputati. Morirà nel 2002. Il tassista Rolandi era già morto nel 1971.

Il neo-nazismo veneto

Il grumo di contraddizioni che seguono le indagini nei primi anni sembra diradarsi già il 13 aprile del 1971, quando il giudice di Treviso Giancarlo Stiz arresta Franco Freda e Giovanni Ventura. Proprio su questi nomi si giocano i destini delle indagini, come poi chiarirà in modo netto l’inchiesta riavviata dal giudice Salvini negli anni Novanta. Freda e Ventura sono due pericolosi neo-nazisti; Freda è l’ideologo, fonda una casa editrice, “Ar” e nel 1963 scrive di suo pugno il manifesto del Gruppo di “Aristocrazia ariana”, seguendo le teorie naziste di Julius Evola. Stiz li accusa di essere gli autori dei precedenti attentati dinamitardi e della stessa strage milanese. Ma, dopo un tortuoso iter giudiziario, i due sono assolti per insufficienza di prove. La Cassazione, nel 1995, prospetterà un quadro del tutto diverso, ma i due non possono più essere processati e condannati per lo stesso reato (in base al principio del “ne bis in idem”). Lo stesso Salvini individua nella coppia i veri responsabili della bomba di piazza Fontana: «Certamente, la matrice della strage è ormai indiscutibile, la sua firma è la croce celtica di Ordine nuovo. Le ultime sentenze di assoluzione hanno una “virtù segreta”, e cioè scrivono esplicitamente cose chiare: dopo le nuove indagini, è da ritenersi raggiunta la “prova postuma” della colpevolezza di Freda e Ventura, non più processabili perché assolti per insufficienza di prove per la strage di piazza Fontana, anche se già condannati per gli attentati precedenti».

Le indagini di Guido Salvini

Se oggi noi conosciamo quella che, con tutta probabilità, è la verità storica e, in parte, anche giudiziaria della strage di piazza Fontana, lo dobbiamo ad un coraggioso ed abile giudice, Guido Salvini, che, nel 1989, quasi per caso (o per un colpo di fortuna), dopo il ritrovamento fortuito di alcuni documenti in un’indagine sull’omicidio di Sergio Ramelli (uno studente missino ucciso a Milano nel 1975), riapre la pista neo-nazista e, in breve, si trova di fronte a due persone: Carlo Digilio e Martino Siciliano, entrambi destinati a diffondere una nuova luce sulla strage. Il primo era stato estradato da Santo Domingo, dove si era rifugiato; fu individuato come lo “zio Otto”, indicato da vari pentiti della destra, come Sergio Calore, quale persona che si occupò materialmente dell’esplosivo da collocare a piazza Fontana (ma non lo collocò lui). Il secondo viveva in Colombia, si era rifatto una vita e una nuova famiglia ma fu convinto a collaborare da elementi dei servizi segreti, quelli stessi che avevano contribuito pesantemente a depistare le indagini, in un evidente e postumo tentativo di riscattare moralmente la loro storia deviata. Digilio e Siciliano portano il giudice Salvini a fare luce sul gruppo mestrino di neo-nazisti, sui preparativi per la strage e per tutti gli attentati compiuti precedentemente e successivamente.

Il quadro politico che si delinea è esattamente quello descritto dalla prima “contro-inchiesta” su piazza Fontana, fatta da militanti e giornalisti della sinistra extra-parlamentare pubblicata nel 1972 ("La strage di Stato", che allora fu dileggiata come opera estremista dai "benpensanti" lettori dell'inaffidabile "Corriere della Sera" o dalla "maggioranza silenziosa" milanese che appoggiava direttamente il partito neo-fascista, l'Msi di Giorgio Almirante), che ribaltò la “verità ufficiale”, quella uscita fuori dalla polizia e dai servizi segreti deviati. I “fascisti rivoluzionari” veneti, in collegamento con apparati dello Stato, organizzarono gli attentati dinamitardi per preparare il terreno ad un colpo di Stato di destra, sull’esempio di quello verificatosi in Grecia nel 1967. Dal caos sociale generato da quelle stragi, sarebbe emersa la necessità di un governo di emergenza, per bloccare l’avanzata del movimento operaio e della sinistra in generale, allora in forte ascesa. Ma il Presidente del Consiglio, Mariano Rumor, fu in qualche modo da ostacolo al progetto e così si spiegherebbe anche l’attentato contro di lui compiuto da Gianfranco Bertoli il 17 maggio 1973, davanti alla questura di Milano, che causò quattro morti.

Un ruolo fondamentale fu svolto da un personaggio, diventato famoso solamente dopo la sua morte nel 1996 (prima era conosciuto come gastronomo e titolare di una celebre rubrica di recensioni ai ristoranti sull’Espresso): Federico Umberto D’Amato, il potente capo dell’Ufficio affari riservati. Iscritto alla loggia P2 di Gelli, D’Amato lavorava in stretto contatto con la Cia. A distanza di sedici giorni dalla sua morte, il consulente di Salvini, Aldo Giannulli, scopre in un vecchio deposito sulla via Appia a Roma circa 150 documenti riservati dell’archivio D’Amato. In quelle carte è raccontato il “milieu” della strage e dell’opera edificatoria dell’Ufficio affari riservati, perché si descrive puntigliosamente il progetto di infiltrare agenti nei gruppi anarchici, esperti di armi ed esplosivi, «come se loro compito fosse non solo prevenire attentati ma anche crearne le condizioni o ispirarli», afferma Salvini.

Le sentenze e la Storia

La coraggiosa inchiesta di Guido Salvini porta ad un primo effimero risultato: il 30 giugno 2001 sono condannati all’ergastolo Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni, tutti neo-nazisti della cellula veneta. In appello (12 marzo 2004) vengono tutti assolti. La Cassazione chiude definitivamente il caso, confermando quest’ultima sentenza perché le prove non sono riuscite a dimostrare “oltre ogni ragionevole dubbio” la colpevolezza degli imputati. Ma gli stessi giudici del Supremo collegio attribuiscono al neo-fascismo la responsabilità della strage, per quanto non siano oramai accertabili gli esecutori.

Ora, dice ancora Salvini, ci sarebbe un’ulteriore testimonianza, in grado di produrre un altro passo in avanti nell’accertamento delle responsabilità della strage di piazza Fontana. Si tratta di un ulteriore pentito, già conosciuto negli anni Novanta, ma reticente per paura: Gianni Casalini. Un anno fa ha scritto una lettera al giudice milanese, asserendo di voler raccontare tutto. E ci sarebbe un altro misterioso esponente del gruppo di Freda e amico di Delfo Zorzi, di cui Casalini riferisce, che nessuno ha mai cercato. Perché l’assenza di colpevoli, nella tragica storia di piazza Fontana, non smuove la storia di questo Paese, non la riscrive. Per la fortuna di pochi potenti e dei loro attuali eredi.

2 commenti:

yalla6 ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=WAxQFOVq7lQ

@enio ha detto...

quando scoppiò la bomba io ero in Piazza Duomo a Milano e stavo andando a prendere mia moglie che usciva dal lavoro nei pressi del tribunale e avrei dovuto passare da Piazza Fontana... vi lascio immaginare dopo un'ora dallo scoppio cos'era l'area intorno a piazza Duomo e sopratutto Piazza fontana....