(Tullio M. Puglia/Getty Images for IAAF)
La sera del 10 agosto Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna ha squalificato il marciatore italiano Alex Schwazer per otto anni, la pena minima prevista nei casi di recidività per doping. Schwazer fu infatti già condannato per doping alcuni anni fa. Essendo stato squalificato Schwazer non potrà quindi partecipare alle due discipline della marcia previste alle Olimpiadi di Rio: i 20 e i 50 chilometri. Nonostante fosse stato sospeso era infatti comunque andato a Rio, sperando che una diversa decisione del TAS gli avrebbe permesso di gareggiare. Ora Schwazer può appellarsi solo a un tribunale federale svizzero, perché il TAS ha sede in Svizzera.
Schwazer ha 31 anni e divenne famoso nel 2008, quando a Pechino vinse l’oro nella gara olimpica della 50 chilometri di marcia. Alcuni anni dopo fu però squalificato per doping. La squalifica durò più di tre anni: fu trovato positivo all’EPO, una sostanza che per certe persone è un utile farmaco ma che per gli sportivi è una pericolosa sostanza dopante (è quello che prese anche Lance Armstrong, per capirci). EPO è un’abbreviazione di eritropoietina, un ormone che controlla la produzione di globuli rossi nel sangue. Chi ne fa uso riesce a far sì che i propri globuli rossi trasportino più ossigeno ai tessuti corporei, una cosa che torna molto utile negli sport che richiedono una grande resistenza. L’EPO è fatto per essere usato da persone anemiche, con insufficienza renale cronica. Per uno sportivo è invece molto pericoloso: aumenta la densità di globuli rossi nel sangue, facendolo diventare più viscoso e aumentando le possibilità di infarti e embolie polmonari. Il vantaggio è che rende gli atleti più più capaci di sopportare grandi sforzi. Nel 2012 Schwazer ammise di aver fatto uso di EPO e disse «ho sbagliato io, la mia carriera è finita». La squalifica arrivò alcuni anni dopo la vittoria di Schwazer alle Olimpiadi di Pechino, motivo per cui quella vittoria non gli è stata tolta.
Schwazer era tornato a gareggiare l’8 maggio 2016 in una tappa di Coppa del mondo di marcia tenuta a Roma: aveva vinto a sorpresa (non faceva gare da anni) la 50 chilometri con un tempo di 3 ore e 39 minuti. Grazie a quel tempo Schwazer era riuscito a qualificarsi alle Olimpiadi di Rio. A giugno però Schwazer è risultato positivo a un nuovo test antidoping e a luglio la IAAF, la Federazione Internazionale di Atletica Leggera, lo ha sospeso di nuovo. Dopo la squalifica, Schwazer e i suoi legali hanno fatto appello al Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna, in Svizzera. Per far sì che l’arbitrato arrivasse a una decisione prima delle gare olimpiche, Schwazer aveva chiesto – con il consenso della IAAF e del CONI, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano – un “giudizio diretto internazionale”, un modo per rendere più rapida la decisione senza dover passare dal tribunale nazionale antidoping del CONI. All’inizio la decisione sarebbe dovuta arrivare il 27 luglio, poi è stata spostata all’8 agosto e poi è arrivata la sera del 10 agosto.
La seconda sospensione
È arrivata il 9 luglio dopo alcune controanalisi sui campioni di un controllo antidoping fatto a gennaio e reso noto il 21 giugno dalla Gazzetta dello Sport. Il controllo in cui Schwazer è stato trovato positivo risale all’1 gennaio ed è stato effettuato dalla IAAF: il campione prelevato a Schwazer quel giorno era composto di sangue e urina, e a un primo controllo era risultato negativo. La Gazzetta dello Sport ha spiegato che dopo la qualificazione di Schwazer alle Olimpiadi, la IAAF ha voluto effettuare nuovi controlli sul campione dell’1 gennaio e ha trovato «una quantità enorme di anabolizzanti steroidi» (sono quelli che in pratica favoriscono l’aumento della massa muscolare dell’atleta).
Il controllo e la positività
Il secondo controllo su Schwazer fu fatto a sorpresa a Racines, in Trentino-Alto Adige, a casa sua. Nei mesi precedenti e successivi a quel controllo, Schwazer non è mai risultato positivo a nessuno degli altri controlli e nessuno dei suoi valori era fuori norma. Il test riguarda un campione di sangue e urina che all’inizio aveva dato esito negativo. Dopo la vittoria di Roma, i campioni erano stati analizzati di nuovo e stavolta l’esame aveva dato esito positivo. La Gazzetta dello Sport ha spiegato che nel secondo test la IAAF aveva fatto “un controllo mirato” sulla presenza di anabolizzanti steroidi. Schwazer e i suoi legali hanno in più occasioni denunciato stranezze e presunte irregolarità nel modo in cui il campione è stato prelevato, trasportato a Colonia – in Germania, dove ci sono i laboratori per i controlli – e poi analizzato. Finora nessuno degli organi internazionali interessati dalla questione hanno ammesso irregolarità, spiegando solo di aver rifatto dei controlli in modo più approfondito, una cosa ovviamente lecita.
Le reazioni
Gerhard Brandstaetter, l’avvocato di Schwazer, aveva detto: «Cercheremo immediatamente di impugnare la sospensione, probabilmente già lunedì [11 giugno]». Sandro Donati – allenatore di Schwazer e noto per essere sempre stato molto duro nei confronti del doping – aveva detto: «I responsabili di questo omicidio sportivo devono essere ricercati all’interno della struttura della IAAF». Già alla fine di giugno Schwazer aveva contestato i risultati dei nuovi controlli e Brandstatter aveva definito le accuse «false e mostruose», dicendo che «Alex in questa vicenda non ha niente a che fare». L’idea sostenuta da Schwazer e da chi sta dalla sua parte è, in sintesi, che lui non si è dopato e si tratta di una specie di complotto per evitare che vada alle Olimpiadi. A sostegno di questa tesi Schwazer e i suoi legali fanno notare che la positività – l’unica su molti test – è arrivata dopo un secondo controllo su un campione già controllato, fatto poco dopo la sua qualificazione per le Olimpiadi. Il 13 luglio Schwazer ha detto: «Non mi sono dopato. O qualcuno mi ha dato di nascosto la sostanza, o la provetta è stata manipolata». Il 3 agosto Schwazer ha pubblicato un comunicato stampa sulla sua pagina Facebook ufficiale:
La tesi di Schwazer è che qualcuno gli abbia dato la sostanza di nascosto o modificato la provetta perché contrario al suo rientro alle gare, e all’aiuto che Donati gli stava dando. Le principali stranezze su quello che è successo prima della positività di Schwazer sono state messe insieme alcune settimane fa da un articolo di Repubblica, in cui si parlava di «un itinerario fantasma della provetta, una documentazione approssimativa, un ritardo estremo nella notifica del risultato». Schwazer sostiene per esempio che anziché essere anonima come avrebbe dovuto essere, la provetta contenente il suo campione arrivò a Colonia con un riconoscimento che permetteva di capire che conteneva il suo sangue e le urine sue (cosa che secondo lui avrebbe permesso di modificarne i parametri). Schwazer e i suoi legali hanno anche detto che i continui rinvii della sentenza sono stati una prova della volontà della IAAF di non farlo partecipare alle Olimpiadi. Di alcune di quelle questioni ha parlato anche un breve documentario di Repubblica: “Operazione Schwazer, le trame dei signori del doping“.
Fonte: Il Post
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