martedì 17 febbraio 2015

Pace, diritti, prosperità. Europa dove sei?


Assente su tutte le grandi sfide di questo primo scorcio di XXI secolo, pericolosa e deleteria quando ha provato di volta in volta ad intervenire per giocarvi un ruolo. Per comprendere la portata del fallimento del progetto europeo si può mutuare un’espressione usata in questi giorni da Romano Prodi, «da Tripoli a Kiev questa Europa è assente su tutto». A parlare, se non bastano le osservazioni di uno come Prodi che nel bene e nel male alla costruzione dell’impianto europeo vi ha partecipato attivamente, sono i fatti e questi non lasciano margini di dubbio.

A cominciare dalla crisi economica. Il caso Grecia e il tracollo finanziario vissuto dal paese ellenico negli ultimi anni rappresenta un mix di incompetenza e reiterata malafede di politici, economisti ed amministratori greci ed europei. Che il passaggio ad una moneta unica potesse indebolire gli apparati produttivi dei paesi meno competitivi lo avrebbero potuto prevedere anche analisti alle prime armi; tanto nei rapporti commerciali con i partner europei quanto in quelli con i paesi esteri. Un conto è infatti vendere i propri prodotti con la dracma, un altro è commerciare in euro; ai tedeschi che prima ritenevano conveniente acquistare l’olio in Grecia è diventato vantaggioso rivolgersi al migliore olio italiano, a chi è fuori dall’unione monetaria è diventato in generale più costoso importare prodotti europei a causa dell’euro forte. A guadagnarci sono state le nazioni che potevano vantare cicli produttivi più efficienti, Germania in testa, che ha guadagnato quote sul mercato interno alla UE senza troppo patire sul piano internazionale: non una colpa essere i più bravi, per carità, ma se è un’integrazione economica e politica quella che si vuole perseguire, i vantaggi dovrebbero essere di tutti e non solo per alcuni. E poi l’incapacità di affrontare autonomamente una crisi finanziaria conclamata. L’intervento del FMI nella crisi greca è un po’ la certificazione della debolezza degli strumenti europei contro le crisi; è come se per scongiurare il default della California Obama avesse chiesto aiuto alla Lagarde. Più conosciuto per i suoi insuccessi che per la buona riuscita di qualche suo intervento di aiuto, il FMI, con la complicità delle istituzioni europee, non si è smentito, e nell’obsolescenza di ricette ultraliberiste imposte alla Grecia come condizione per l’erogazione di aiuti ha finito per impoverire il popolo greco. Mortalità infantile, denutrizione, disoccupazione sono l’eco del fallimento europeo nelle politiche economiche degli ultimi anni.

Una situazione, quella greca, che potrebbe presto coinvolgere anche altri paesi europei, da sette anni chi più chi meno in continua recessione. Il nuovo mondo modellato dalle potenze emergenti impone infatti l’adeguamento delle debolezze strutturali europee e di politiche strategiche comuni di lungo periodo. A cominciare, vista l’impossibilità di competere su molti mercati con i cinesi, dal rilancio della domanda interna con politiche redistributive e di aumento dei salari. Gli Stati Uniti, che hanno costruito la propria ripresa sul mercato interno, dovrebbero insegnare. Ma anche su questi punti si denota l’inesistenza di un vero dibattito in Europa.

Dalle ristrettezze economiche alle instabilità geopolitiche. Sì perché bastano pochi anni di crisi per riscoprirsi in un mondo terribilmente conflittuale dove attentati terroristici ed eccidi di massa sono all’ordine del giorno; dove i popoli affamati riscoprono il fascino degli autoritarismi, magari conditi dal delirio islamista dell’ISIS, o dal sentimento antirusso e un po’ revisionista dei paesi dell’Est Europa. E’ così che il problema da economico diventa politico e va ad intaccare l’ambito più strettamente attinente attinente alla sovranità nazionale, quello della sicurezza e del ruolo geopolitico e militare di ciascun paese. Anche sul punto l’Europa ha dimostrato e continua a dimostrare l’inadeguatezza della propria governance rispetto alle sfide dei prossimi anni. Le prime crepe le si erano viste negli interventi unilaterali di Sarkozy in Libia, ma è con la crisi ucraina che è venuta fuori l’ambiguità della posizione europea sulle strategie geopolitiche e l’incapacità della UE di perseguire politiche autonome rispetto ai diktat degli USA. Lungi dal volersi ergere a paladini del diritto all’autodeterminazione dei popoli, è noto come russi e americani si stiano giocando in Ucraina la propria partnership con l’Europa: il rilancio dell’economia russa è poggiato nei primi anni 2000 su forti relazioni con i paesi europei, un qualcosa che non è mai andato giù agli americani, desiderosi di diventare il primo esportatore mondiale di petrolio entro il 2020. Scatenare tensioni geopolitiche in giro per il Vecchio Continente e per il Mediterraneo per impedire all’Europa di stringere relazioni in piena indipendenza con i propri partner orientali, questo è l’obiettivo conclamato degli americani; e lo strumento per il conseguimento di questo obiettivo si chiama NATO. Anche su questo in Europa manca una lettura autonoma della crisi ucraina, e manca una seria discussione sul ruolo del Patto Atlantico oggi, in un mondo molto diverso da quello dei due blocchi contrapposti, in un mondo multilaterale dove l’integrazione economica tra diverse aree del pianeta può comportare benefici ma anche riprodurre vecchie tensioni. In un mondo come questo, la NATO non solo un deleterio vincolo per l’Europa che le impedisce di avere normali relazioni con i partner asiatici, ma rappresenta non più uno strumento di difesa, bensì uno strumento di guerra.

Per non parlare poi del ruolo nullo dell’UE in Medio Oriente e Maghreb. Dalla questione israelo-palestinese alle primavere arabe, passando per i numerosi conflitti americani nel Golfo e per l’annosa problematica dei fenomeni migratori lungo il Mediterraneo. Mai una risposta politica forte sui problemi che affamano la vicina Africa, mai una presa di posizione comune, trasparente e realistica sulla necessità di promuovere lo sviluppo nei paesi del medioriente come antidoto contro il radicarsi del fondamentalismo islamico. Anche oggi, dinanzi alle minacce dell’ISIS, la reazione europea appare debole e priva di solide basi comuni: affrontare militarmente i tagliagole che insanguinano l’altro capo del Mediterraneo? Nessuna risposta, eppure con i vari Gheddafi e Saddam Hussein ci si mosse per molto meno.

Fonte: OltremediaNews

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