Martedì la Corte d’Appello di Napoli ha confermato, pur modificandone l’entità, le condanne per Calciopoli e nello stesso giorno è stato reso noto che molte partite italiane sono sotto l’obiettivo della procura di Cremona per quella che sembrerebbe essere una coda dello scandalo scommesse che aveva già colpito il nostro calcio nei mesi scorsi.
La sensazione per gli appassionati è che il calcio italiano viva da troppo tempo in uno stato di perenne incertezza. Eppure un elemento certo c’è: i tifosi sono gli unici a pagare. Così a fianco alle notizie ricordate poco sopra abbiamo letto della squalifica delle curve di Roma e Inter per razzismo e discriminazione territoriale e, tanto per essere chiari sin da subito, a suonare assurdi e inaccettabili sono sia l’accostamento che le stesse squalifiche.
La considerazione comune alle due vicende riguarda l’assurda chiusura di un intero settore dello stadio per il comportamento di una minoranza, per di più in trasferta: come si può accettare che un tifoso, dopo aver pagato in anticipo per un servizio, si veda poi proibita la possibilità di usufruire di quello stesso servizio per colpe non sue?
È come se, pagato il biglietto del cinema, una volta entrati in sala ci si trovasse nella stessa fila di un disturbatore e la maschera, invece di allontanare solo il disturbatore, imponesse a tutta la fila di uscire dalla sala e non vedere il film. Chi accetterebbe serenamente un’imposizione di questo tipo? Detto questo i due casi di Roma e Inter sono differenti ma entrambi paradigmatici dell’ipocrisia che affligge il calcio italiano (e forse non solo il calcio).
I tifosi della Roma in trasferta a Milano sono stati puniti perché, scrive il giudice sportivo, hanno intonato “a gran voce per due volte il coro Rossoneri squadra di neri” e per aver indirizzato “per alcuni secondi numerosi ed intensi – Buuu- verso il calciatore della soc. Milan Mario Balotelli (n. 45) in occasione di un calcio di punizione battuto dallo stesso fuori dall’area di rigore della squadra romanista”. Peccato che nel primo caso il coro, come facilmente verificabile da diversi video postati sui social network, fosse decisamente diverso e di stampo tutt’altro che razzista (“Rossoneri Carabinieri”).
E peccato che i “buu” a Balotelli non paiono frutto di razzismo, almeno non di razzismo come vogliono farci credere: Balotelli viene insultato per il suo atteggiamento, non per il colore della sua pelle. Tant’è che molti tifosi della Roma raccontano di aver rivolto gli stessi cori al “bianchissimo” Kakà, “reo” di un atteggiamento poco sportivo.
Certo non è da escludere che possa esserci qualche imbecille che ancora possa insultare un uomo per il colore della pelle, ma non pare questo il caso, soprattutto perché una tifoseria che coprì di “buuu” il giocatore più bianco della storia del calcio italiano – Ingesson del Bologna- e che abitualmente non insulta i giocatori di colore delle squadre avversarie non può essere considerata razzista (diverso il discorso per chi si è reso protagonista di numerosi e variegati episodi di razzismo, come i tifosi che quando la Roma non gioca in casa occupano la curva nord dell’Olimpico).
I tifosi dell’Inter sono stati invece puniti per aver cantato dei cori contro Napoli e i napoletani, inquadrabili nella fattispecie della “discriminazione territoriale”. Peccato, anche qui, gli stessi tifosi del Napoli abbiano esposto nei mesi scorsi, quando il caso “discriminazione territoriale” è esploso, uno striscione auto-offensivo a testimoniare che forse non si è capito, o voluto capire, lo spirito dei cori da stadio.
Questa è la nostra cultura del tifo, non inferiore a quella di nessun altro Paese, eppure i tifosi italiani vengono ormai abitualmente trattati come dei criminali e tenuti sotto osservazione come degli animali pericolosi. Non bisogna negare che anche nel mondo del tifo ci siano dei problemi gravi (gli episodi di violenza, i veri episodi di razzismo, dei rapporti non sempre chiari tra ultras e società) ma è quantomai ipocrita additare a prescindere i tifosi di calcio come soggetti pericolosi, instabili o estranei al mondo civile. Ed è ancora più ipocrita in un Paese in cui, ad esempio nell’arena politica, si è giustificata e si continua a giustificare la vera discriminazione territoriale e la vera violenza verbale. Ma in fondo è facile farsi prendere dall’ipocrisia e lasciarsi andare alle categorizzazioni, tanto chi li difende quei volgari dei tifosi? L’alternativa sarebbe affrontare senza pregiudizi, senza perbenismo e con spirito critico il problema, ma forse per farlo dovrebbe cambiare non tanto la cultura sportiva, quanto la cultura civica e politica del nostro Paese. Ma, come si dice, questa forse sarebbe tutta un’altra partita.
Fonte: Diritto di critica
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