La sinistra italiana è morta. Anzi, no. La vittoria schiacciante di Matteo Renzi, primo segretario del Pd – eletto da un congresso o attraverso le primarie – di estrazione democristiana segna la fine di una classe dirigente che ha vinto in passato, ma che è riuscita spesso a distruggere tutto, da sola. Una classe dirigente che ieri non è riuscita a mandare a casa Berlusconi, principalmente per propri demeriti, e che oggi se ne va via con lui.
Fine della sinistra? Molti sono pronti a cantare il de profundis della sinistra italiana. Ma questa continua ad esistere e forse ieri si è anche rafforzata. Perché la vittoria di Renzi mette fuori gioco le “cassandre dell’inciucio”, di quelli di “sinistra” che poi con il “nemico” sono scesi a patti e hanno dato il via prima al governo Monti e poi a quello Letta. Il voto al sindaco di Firenze è un voto di chiarezza: gli elettori del Pd vogliono una volta per tutte archiviare le larghe intese e avere una linea chiara su tutto. La stessa Sel di Nichi Vendola oggi si sente “più vicina politicamente al Pd di Renzi, seppur più distante culturalmente”. Perché in fondo essere di sinistra significa fare cose di sinistra non indossare una maglia rossa o appiccicarsi addosso il bollino doc.
D’Alema bye bye. La fine di questa classe dirigente è segnata. Una classe dirigente conservatrice, spesso ricca di preziose competenze ma succube di un sindacato capace solo di garantire i garantiti e latitante nella difesa dei precari e dei giovani. Ma soprattutto una classe dirigente succube della sua storia collettivista dove molto spesso è mancato un leader. E se molti nel Pd-Ds-Pds-Pci non hanno mai voluto avere un vero capo, l’importanza di un leader oggi, in una realtà completamente mutata rispetto a 30 anni fa, con un elettorato quasi completamente mobile, è fondamentale nelle comunicazione politica e nella riduzione dei conflitti interni che spesso hanno rappresentato più che fonte di dibattito, l’impressione di un partito confuso e litigioso.
Quando non è un problema di pedigree. Non muore quindi la sinistra. Muore certamente un’idea di sinistra che è riuscita a raccogliere, negli ultimi vent’anni, il voto dei dipendenti pubblici e del ceto medio impiegatizio, ma che ha perso il contatto con il mondo operaio e soprattutto con i veri proletari di oggi, i giovani disoccupati, sottoccupati, precari che sono il frutto di leggi che questa stessa classe dirigente ha votato, ad iniziare dalla riforma Treu che ha creato un dualismo del mercato del lavoro. Se Matteo Renzi sarà più o meno di sinistra rispetto a loro non possiamo dirlo oggi. Ma soprattutto poco importa. Perché quello che conta sono i risultati, non il pedigree.
Fonte: Diritto di critica
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