venerdì 8 giugno 2012
Le bufale sul terremoto
La causa dei terremoti in Emilia è esclusivamente naturale: lo sciame sismico è avvenuto nella zona della pianura padana che, anche se pianeggiante, in realtà nasconde al di sotto una vera e propria catena montuosa che è il proseguimento sotterraneo dell’Appennino settentrionale. Invece si sono diffuse notizie del tutto false, soprattutto sui social network. Balle, bufale.
A elencare le bufale sul terremoto è stata Daniela Fontana, geologa dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
NESSUNA ATTIVITA’ DELL’UOMO - La prima precisazione che la scienziata fa e’ che “nessuna attivita’ dell’uomo (sondaggi, perforazioni, prelievi di idrocarburi, prelievi di acqua ecc) puo’ creare o indurre terremoti di intensita’ pari a quelli avvenuti”. “La profondita’ degli ipocentri – ha spiegato Fontana – dei terremoti registrati e’ generalmente superiore a 5-6 km, spesso oltre 10 km, e l’energia in gioco e’ tale da escludere qualunque possibile legame con attivita’ umane. Nella nostra pianura terremoti di intensita’ simile si sono verificati anche in passato, anche quando le perforazioni per idrocarburi non esistevano. Fra l’altro le zone dove c’e’ attualmente un enorme prelievo di gas e petrolio (Arabia Saudita, Mare del Nord al largo della Norvegia) sono praticamente asismiche”. Altro falso mito sfatato dalla geologa e’ quello che riguarda il fenomeno di “Fracking”, cioe’ quella tecnica utilizzata negli Usa, in Canada e marginalmente in Nord Europa per lo sfruttamento di gas (metano) disperso in sedimenti argillosi (shale gas). Per aumentare il prelievo, si utilizzano tecniche di microfratturazione idraulica del sedimento.
LA MICROSISMICITA’ - “In alcuni casi – ha detto Fontana – questa tecnica crea una MICRO-sismicita’ che puo’ essere problematica proprio perche’ riguarda sedimenti piuttosto superficiali. In Francia infatti hanno sospeso le prime ricerche. In Italia non esistono sedimenti che contengano metano sfruttabile in modo significativo (shale-gas). Inoltre nessuna di queste ricerche o sfruttamento puo’ essere fatta ‘di nascosto’ perche’ richiedono impianti complessi e visibilissimi”. Smascherata anche la falsa notizia secondo cui nel sottosuolo della Pianura Padana si nascondano caverne, voragini e vulcani. “La sabbia che abbiamo visto fuoriuscire dalle fratture e dai pozzi – ha sottolineato la geologa – viene dagli strati sabbiosi presenti nelle prime decine di metri di profondita’ del sottosuolo, in corrispondenza di paleoalvei fluviali, trascinata dall’acqua per effetto della propagazione delle onde sismiche”. Per quanto riguarda invece le notizie in base alle quali verrebbero diffusi dati volutamente errati sulla magnitudo per evitare risarcimenti dei danni, Fontana e’ convinta che sia frutto di un banalissimo disguido. “Si confonde la scala Richter (che misura la magnitudo) con la scala Mercalli (che si basa sulla valutazione dei danni)”, ha concluso.
Agi
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5 commenti:
E se fossero tutte balle anche le sue? Non si sa più a chi credere in sto paese di cacca!!!
dicevano che quando è superiore al 6 lo Stato deve pagare. I magnitudo Ritcher tra 6,0 - 6,9 corrispondono alla Mercalli all'intensità VII - VIII . Quindi ad ogni modo, in teoria non ci sono fraintendimenti che tengono...
Laura nell'articolo ci sono delle dichiarazioni di un Geologo, molte delle quali confermate dagli esperti dell'INGV (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia). Queste non sono balle. Le balle, semmai, sono quelle che ultimamente si leggono su Facebook
Abbiamo riscontrato che questo blog non e' veritiero e manda informazioni non adatte alla societa' , a breve verra' chiuso.
Lo staff di blogspot
Molto spiritoso il commento di Staff blogspot. Sull'argomento vi segnalo questo articolo: http://blog.focus.it/effetto-terra/2012/05/20/terremoto-in-emilia-romagna/
L’evoluzione geologica dell’Appennino emiliano-romagnolo, che si estende anche sotto la pianura, nascosto da depositi di sedimenti portati dal Po e dai fiumi ad esso affluenti si inquadra all’ultimo dei grandi fenomeni geologici che ha portato anche alla nascita di una parte delle Alpi. L’Appennino è una catena a “falde”, ossia composta da grandi pieghe che hanno coinvolto potenti pacchi di strati, che si è formata in un arco di tempo che dal Cretaceo, ossia da un centinaio di milioni di anni, si spinge fino ai nostri giorni. In questo arco di tempo vi è stato in atto la collisione tra due blocchi di crosta terrestre (o meglio di litosfera): tra quella cioè, che viene chiamata zolla europea (o sardo-corsa), e la piccola placca Padano-Adriatica (o Adria). Non è facile comprendere dove erano queste due zolle, tuttavia si pensi che la Sardegna e la Corsica un tempo erano attaccate alla Francia e ad un certo punto sono “scivolate” verso la loro posizione attuale. Queste due isole formano la zolla sardo-corsa.
La placca Padano-Adriatica invece, era la punta più avanzata dell’Africa (vedi disegno). Il processo di collisione tra queste due zolle continentali è stato preceduto dalla chiusura di un’area oceanica che era presente tra di esse: era l’oceano ligure o ligure-piemontese che faceva parte della Tetide. La catena appenninica deriva così dalla complessa deformazione dei sedimenti deposti durante questa evoluzione. Oggi i geologi parlano di “Dominio ligure”, per definire i sedimenti che si depositarono nell’area oceanica, di “Dominio epiligure”, per quei sedimenti che a partire dall’Eocene medio (circa 40 milioni di anni fa) sono stati sottoposti a “compressioni” molto forti, di “Dominio subligure“, che corrisponde alla crosta africana adiacente alla zona oceanica e di Dominio tosco-umbro, di pertinenza africana.
Alla fine del processo deformativo i sedimenti di questi domini risultano notevolmente spostati rispetto al luogo ove si sono formati e si sono in gran parte sovrapposti in modo assai complesso.
Dal Messiniano, ossia da circa 7 milioni di anni fa, in poi anche le zone esterne della catena e l’area padana sono coinvolte nelle fasi deformative. La progressiva migrazione delle falde verso est provoca una profonda deformazione anche nell’area padana, che continua ancora ai nostri giorni.
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