Marco Dotti
Le porte della città di Tallinn, Estonia, 3 marzo 2015. (Jordan Mansfield/Getty Images)
Tartu, 11 aprile 2015 – Un milione e trecentoventimila abitanti. Mille e centoquaranta nodi gratuiti di connessione wi-fi, anche nelle foreste. Non male, per un Paese che ha più alberi che abitanti.
«Estonia is an e-country», si legge sulle brochure che informano come sia possibile per tutti – cittadini e non – chiedere un’identità digitale estone, abbattendo, soprattutto per le aziende, l’ultima frontiera della burocrazia 2.0: e-Business Register, e-Tax Board, e-School, e-Prescription e – dal 2005, prima nazione al mondo – voto digitale (I-voting) sono realtà, non chiacchiere da smart-fighetti da convegno. In cinque minuti, qui, hai la tua dichiarazione dei redditi, in diciotto registri la tua società.
Qui è nato Skype. Qui hanno sede alcuni importanti think tank legati alla cyber security. Qui, da alcuni mesi, dopo l’inasprirsi delle tensioni internazionali con la Russia di Putin, i caccia – perché l’Estonia è nella Nato – sorvolano il confine. Qui, l’indipendenza è stata proclamata nel 1990, ma riconquistata – dopo mezzo secolo di occupazione sovietica e quattro di occupazione nazista – solo nel 1991. Qui, la prima connessione Internet è avvenuta nel 1992, ma solo cinque anni dopo già il 97% delle scuole estoni aveva una connessione veloce, grazie alla strutturazione di una rete diffusa e particolarmente intelligente, che ha permesso un tasso di iperscolarizzazione (l’89% degli adulti, tra i 25 e i 64 anni, possiede un high-school degree).
Taaraismo o spiritualità digitale
Qui la vita, fuor di metafora, è sempre stata veramente dura – basta tentare l’approccio con una lingua misteriosa e dura, che sembra finlandese, ma non lo è (e non è nemmeno ugro-finnico, come si legge qua e là sul web). Qui è stato duro anche per i sovietici piegare la resistenza dei Fratelli della Foresta ( metsavennad), insorti baltici, à la Jünger, che si rifugiavano tra i boschi e agivano con tecniche di guerriglia. Una storiografia di parte li ha poi qualificati come filo-nazisti, ma le cose, in questa parte di mondo, sono sempre più radicali e al tempo stesso più complesse di come le possiamo credere.
Qui ci sono più cori che chiese, Arvo Pärt è una gloria nazionale, ma la religione non suscita particolare interesse se è vero che solo il 16% degli estoni dichiara di credere in Dio .
Già, ma quale “Dio”? Perché se una cosa è la confessione, altra – ben altra – è la spiritualità , anche quella da laboratorio: nel 1928, dieci anni dopo l’indipendenza, un gruppo di intellettuali “progressisti” formatisi in Germania fondò il Taarausk o fede taaraista, recuperando neopaganesimo e culti precristiani.
Oggi, il taaraismo si è mischiato alla new age dando vita a un interessante e ancora poco studiato fenomeno di spiritualità smaterializzata e di immanent transcendence. Qualcosa, in questa terra che dicono senza Dio, lega fortemente il senso religioso all’era della smaterializzazione e dell’accesso integrali. Digitale e naturale si legano, in forme spesso inaspettate.
Una teoria del tutto
A Tartu, la seconda città dell’Estonia – nemmeno centomila abitanti, sul fiume Emajõgi – ha sede una delle più importanti università della regione Baltica, la Tartu Ülikool o, in latino, Universitas Tartuensis. Qui ha insegnato, fondandovi la sua scuola, il semiologo Jurij Michajlovič Lotman. Alcuni milanesi ancora ricordano – ma erano altri tempi, per la nostra cultura – quando centinaia di persone si accalcavano nelle sale dell’Ambrosiana, per seguirne le lezioni. Lotman era di casa in Italia, in particolare a Pavia. A Lotman, tra i più influenti intellettuali europei del Secolo Breve, dobbiamo la nozione di semiosfera.
Per questo studioso incredibilmente attento ai sommovimenti locali-globali della cultura, nel nostro mondo «ad avere un ruolo primario non sarà allora questo o quel mattone, ma il grande sistema chiamato semiosfera. La semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza della semiosi». I segni si formano e ci informano in questo continuum. Fuori, impazziscono. Sono deliri, non segni.
Senza la semiosfera – osserva Lotman –, non vi sarebbe vita sociale, non vi sarebbero relazione o comunicazione. Non vi sarebbe realtà. La semiosfera è il nostro spazio vitale.
C’è un termine russo, byt, di cui si serve Lotman. Lo potremmo tradurre: “gesto o comportamento quotidiano”. Il concetto di byt – oggi più che mai al centro delle riflessioni semiotiche sulla web society – è parte della semiosfera ed è oggetto dei meccanismi di traduzione centro-periferia.
Scrive Lotman: «Byt è il consueto decorso della vita nelle sue forme reali e pratiche; byt sono le cose che ci circondano, le nostre abitudini, il nostro comportamento di ogni giorno. Il byt ci circonda come l’aria e, come dell’aria, ce ne accorgiamo solo quando manca, o quando è inquinata. Si trova sempre nella sfera pratica, è il mondo delle cose prima di tutto».
Il gioco, come l’aria
A Lotman dobbiamo anche alcune delle riflessioni più forti sul tema culturale del gioco. Riprendendo e piegando una sua intuizione inizialmente riferita al gioco delle carte (e alla rilettura di Puskin), potremmo chiederci come il gambling sia diventato, oggi più che mai, un modello universale per comprendere i meccanismi della finanziarizzazione, della smaterializzazione, della ludizzazione, dell’esistenza tutta.
Come è stato possibile che il gambling si sia posto al cuore stesso della mitologia biopolitica della nostra epoca? Difficile dare risposte. Ma in Estonia, più che altrove, anche in assenza di risposte, qualche domanda è lecito porsela.
Qui, infatti, dal 2010, per far fronte alla crisi che due anni prima si era abbattuta anche su questa porzione di mondo, il gambling online è stato legalizzato.
La legalizzazione ha dato il via a uno di quei processi di interrelazione globale-locale (qui, la semiosfera di Lotman c’entra eccome), che meriterebbero uno studio a sé. Il Paese, proprio grazie alla sua vocazione digitale, è diventato sede di operatori off-shore che vi hanno dislocato sedi operative e server.
L’Estonia è, oggi, uno dei principali centri globali di irradiazione dell’e-gambling, non tanto per ragioni fiscali (per quelle, bastano Gibilterra e Malta, che forniscono alle corporation vantaggiosissime zone franche), ma tecniche.
In Estonia – proprio a Tartu, dove è stata fondata nel 1999 – ha sede la Playtech, il più grande colosso globale di software per l’azzardo online, quotato al London Stock Exchange Main Market. Qui si sviluppano software e “soluzioni” innovative, che ne fanno uno dei centri tecnologici più importanti del Paese e, di conseguenza, dell’eurozona. Gambling e gaming, azzardo e gamification, ossia ludizzazione integrale di servizi e prodotti, si fondono in Estonia. Anche attraverso iniziative che, tra il milione e seicentomila visitatori che ogni anno arrivano nel Paese, attraggono più sviluppatori di software di qualsiasi Silicon Valley de noantri.
Negli ultimi anni, mentre in Italia era tutto un parlare di “incubatori” di start-up, in Estonia, con sovvenzioni del Fondo europeo di sviluppo regionale, hanno dato vita a GameFounders, il primo acceleratore di start-up incentrato unicamente su aziende e prodotti e app di gaming.
L’Estonia è così un ottimo prisma attraverso il quale scomporre la luce, altrimenti confusa, della nostra semiosfera. Con un’avvertenza, che ci viene ancora da Lotman.
Per descrivere il concetto di semiosfera, improntato a due concetti (noosfera e biosfera) di Vernadskij, e tornato di stringente attualità nel mondo digitale, Lotman riportava questo aneddoto: se prendiamo un vitello, possiamo ricavarne molte bistecche, ma se prendiamo molte bistecche non potremo mai ottenere un vitello. Anche col gioco, nelle sue dinamiche di gambling, gaming, sport o entertainment, sembra valere questa regola. Se la smaterializzazione delle relazioni umane attraverso una gamification – ossia la ludizzazione di ogni aspetto del byt o daily life– globale e integrale dell’esistenza attenga a un cumulo di bistecche o a un vitello è cosa che siamo ancora ben lontani dal comprendere.
Fonte: Linkiesta.it
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