La Corte d’Appello dell’Aquila ha assolto tutti e sette i membri della Commissione Grandi rischi che parteciparono alla riunione 5 giorni prima del sisma del 6 aprile. In primo grado Bernardo De Bernardinis, Giulio Selvaggi, Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce,Claudio Eva, Michele Calvi erano stati condannati a 6 anni per omicidio e lesioni colpose. Il fatto non sussiste. Due anni sono stati dati a De Bernardinis per parte residuale capo d’imputazione. È questo l’esito del processo d’appello ai componenti della Commissione Grandi Rischi – organo consultivo della presidenza del Consiglio – nella sua composizione del marzo 2009. Un giudizio che ribalta la sentenza di primo grado. L’accusa è stata quella di aver rassicurato gli aquilani e aver sottovalutato la pericolosità dello sciame sismico in una riunione del 31 marzo 2009, cinque giorni prima della scossa distruttiva che portò alla morte di 309 persone. Nella sentenza in primo grado dell’ottobre 2012 furono stabiliti sei anni di reclusione per tutti gli imputati. L’ex capo della protezione civile Bertolaso è indagato invece in un filone parallelo al processo alla Commissione grandi rischi. Alla lettura della sentenza il pubblico ha urlato «Vergogna! Vergogna». «Immaginavo un forte ridimensionamento dei ruoli e delle pene, ma non un’assoluzione così completa, scaricando tutto su De Bernardinis, cioè sulla Protezione Civile», ha commentato il procuratore generale dell’Aquila Romolo Como, che si è detto «alquanto sconcertato».
GLI IMPUTATI – Per l’appello gli imputati erano Franco Barberi, all’epoca presidente vicario della Commissione Grandi rischi, Bernardo De Bernardinis, già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione civile, Enzo Boschi, già presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del Progetto Case, Claudio Eva, ordinario di fisica all’Università di Genova e Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile. In primo grado i pm accusarono la carenza di analisi della Commissione.
LEGGI ANCHE: Terremoto L’Aquila, la sentenza: tutti colpevoli
GRANDI RISCHI, ACCUSA E DIFESA - Non un processo a degli scienziati, ma a dei ‘funzionari dello Stato’ per non aver analizzato correttamente tutti i rischi di quei giorni. Non dolo ma omicidio e lesioni colpose. E’ questa la tesi della Procura aquilana che ha guidato tutta l’accusa al processo di primo grado ai componenti della commissione Grandi Rischi. «I fatti non cambiano, con la sentenza di primo grado la tavola è stata apparecchiata, le pietanze sono quelle, ma siccome il diritto è dialettica l’eventuale valutazione delle responsabilità può essere solo un fatto tecnico. Quello che andava ricostruito e ci siamo riusciti, era ricostruire la verità a prescindere dal parere dell’opinione pubblica e dai giudizi dell’informazione», si sintetizza negli ambienti della Procura aquilana. Di tutt’altro parere le difese. Il professor Franco Coppi ha contestato fortemente la tesi: «Qui il funzionario pubblico non c’entra: c’entra semmai, e lo contestiamo, quel singolo che potrebbe aver sbagliato. Quando affermano che questi scienziati possono aver sottovalutato il rischio sismico, si riferiscono al titolo individuale dell’imputato, e quindi c’eìè il rischio di condannare degli scienziati perché hanno sbagliato nel loro ruolo scientifico, quando tutti sanno che non è possibile prevedere un terremoto».
Onna. Foto LaPresse/Manuel Romano
I VERBALI E QUELLA RIUNIONE – Per capire l’appello e la sentenza di primo grado occorre rivedere gli elementi che hanno portato alla vicenda Grandi Rischi. La riunione di quel 31 marzo più che un tavolo tecnico, secondo la ricostruzione dei pm, pareva più una “conferenza stampa”. Un errore secondo il Pm: «La commissione, non indirizzava le sue valutazioni al Dipartimento della Protezione Civile, bensì direttamente al pubblico, per volontà manifesta dello stesso Dipartimento, cui i membri della Commissione non si sottraevano». E poi c’è anche la questione “verbale”, aspetto su cui puntò la difesa in primo grado. L’avvocato Carlo Sica, in rappresentanza della presidenza del Consiglio dei ministri, chiese al tempo l‘assoluzione di tutti e sette gli imputati. «La Commissione era giuridicamente nulla. La loro presenza all’Aquila era una partecipazione funzionale nulla di più. Il verbale è uno solo ed è quello del 31 marzo. Nel corso della riunione giravano fogli bianchi, fatti al volo in cui gli elementi erano il nome, l’ente di appartenenza e la firma, tutto ciò non è attribuibile ad una bozza, ma serviva a sapere chi fosse presente».
I FAMILIARI E I REPORT – Dopo la riunione si creò quel clima di “serenità”. Un climax ben raccontato nelle carte processuali da familiari e amici di vittime che parlarono del repentino cambio di atteggiamento dei loro congiunti. Quell’atteggiamento che lì portò a rimanere a casa quella maledetta notte. In quel periodo c’era una notevole “sete di notizie” e la riunione del 31 era l’unica garanzia di verità su quello che stava accadendo nel territorio abruzzese.
Fioravanti Guido, per la morte dei genitori Fioravanti Claudio e Ianni Franca: “Ma io ricordo una intervista del professor De Bernardinis, ricordo… ricordo dei telegiornali che rassicuravano. Mi ricordo addirittura i titoli di un telegiornale delle reti Mediaset, Studio Aperto, in cui si diceva: “Ma non c’è pericolo”, c’era una frase mi ricordo tra parentesi in cui si diceva: “Ma non c’è pericolo”. Papà era una persona che amava molto informarsi, si informava in continuazione su tutto, quindi lui di giornali ne leggeva… Andava all’edicola, sembrava che facesse la spesa insomma, per fargli capire, quindi i giornali lui li ha letti tutti”
Ed è proprio sull’errore comunicativo che è cambiata la sentenza in appello. La corte stavolta, assolvendo gli altri imputati, ha attribuito maggiori colpe a De Bernardinis non ai tecnici del tavolo.
Secondo un documento diffuso dal Dipartimento della protezione civile nei giorni precedenti la grande scossa, si parlò di “spostamenti spettrali molto contenuti, di pochi millimetri, e perciò difficilmente in grado di produrre danni alle strutture”. In realtà gli edifici aquilani erano a rischio. A dimostralo uno studio ad hoc del 1999 titolato “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia”. Paradossalmente al progetto collaborarono anche alcuni imputati Barberi, Eva e Dolce. A pagina 46 dello studio una tabella evidenzia che all’Aquila su un totale di 752 edifici in muratura analizzati, ben 555 ricadevano in fascia di vulnerabilità medio – alta, con “muratura di cattiva qualità con orizzontamenti deformabili e con orizzontamenti rigidi”. Alcuni degli edifici indicati, dove sono morte diverse persone, rientravano in questa categoria.
SI POTEVA FARE DI PIÙ? – Era possibile valutare il numero delle vittime in caso di scossa sismica forte? Il S.I.G.E. – Sistema Informativo per la Gestione dell’Emergenza, in uso alla Protezione Civile in effetti permette di constatare la pericolosità di un evento. Lo strumento gestisce, a livello nazionale, i dati del patrimonio edilizio e delle caratteristiche di sismicità, di oltre ottomila comuni italiani. Per quanto riguarda l’Aquila, i dati S.I.G.E., furono già disponibili a mezz’ora dalla scossa del 6 Aprile 2009 ore 3,32. In quel momento, secondo l’accusa dei pm, la Protezione Civile aveva a disposizione uno scenario di danno con stime del tutto prossime a quelle che poi si sono rivelate nella realtà. Per questo nella requisitoria in primo grado non si parlò di prevedibilità di “terremoti” ma bensì di ciò che la Commissione era portata a valutare e che, nonostante gli strumenti in mano, non avrebbe fatto. «Non era però questo il tipo di risposta che gli imputati erano chiamati a dare nella loro veste di componenti della Commissione (..) e non perché non fosse una risposta scientificamente corretta o scientificamente accettabile (i terremoti non si possono prevedere, e questo lo si è già dato per acquisito), ma perché non era una risposta pertinente all’argomento in discussione; non era questo il terreno di confronto; non era questo il motivo per il quale la Commissione era stata chiamata a riunirsi a L’Aquila il 31.03.2009».
(In copertina: Onna sotto le macerie. Foto da archivio LaPresse)
Fonte: Giornalettismo
LEGGI ANCHE: Commissione grandi rischi: "Noi scienziati abbiamo solo fatto il nostro lavoro"
1 commento:
Che vergogna!
Posta un commento