sabato 3 ottobre 2009

Amazzonia, il pomo della discordia

La lotta per la difesa delle risorse naturali non si placa, nemmeno dove il socialismo del XXI secolo avrebbe dovuto rivoluzionare la società.
Bosco Wizuma, membro del popolo Shuar e professore del Colegio Sagrado Corazon de Yukia, è morto il 30 settembre, alle quattro del pomeriggio, vittima di una pallottola sparata dalla polizia. Wizuma stava manifestando assieme ad altre cinquecento persone che, d'accordo con l'intero movimento indigeno riunito nella Conaie (l'unione della Confenaie e della Ecuarunari), dalla mezzanotte di domenica stanno bloccando il ponte sul rio Upano, nella zona di Sevilla de Yunkias, provincia di Morona Santiago. Secondo la versione indigena, sarebbe morto anche un altro manifestante.
A raccontarci i fatti è Accion Ecologica, l'organizzazione ecuadoriana che da anni si impegna nella difesa della terra dall'attacco delle multinazionali. Ma a spiegarci il quadro è anche Patricio Leon, studioso ecuadoriano che ha trascorso gran parte della propria vita proprio con gli Shuar.

"La tragedia che si è svolta subito dopo che a Sucúa, nella sede della Federazione interprovinciale dei Centri Shuar (Ficsh) era stato deciso di tentare un dialogo con un delegato del ministro di Governo, Navarrete, appena arrivato nella sede Shuar - raccontano ad Accion Ecologica -. Le versioni che girano tra gli indigeni, piegati dal dolore e dalla rabbia, definiscono quel presunto dialogo un mero inganno per distrarre l'attenzione dei dirigenti indigeni e dei mass media locali, e approfittare per inviare sul posto una contingente di polizia armato con bombe lacrimogeni, che hanno causato il caos. E il dramma. I manifestanti sono stati costretti a ripiegare sulle due sponde del fiume amazzonico, restando isolati gli uni dagli altri. Secondo alcuni testimoni locali, questa repressione ha lasciato a terra diciotto feriti e almeno due morti, uno dei quali non è ancora stato identificato. I lideres locali hanno denunciato che è mancata totalmente l'assistenza medica ai feriti di parte indigena, mentre gli agenti hanno goduto di ogni servizio d'urgenza.
Versioni locali dicono anche che una repressione così massiccia è dovuta ai rinforzi giunti ieri in aereo".


La Confenaie incolpa direttamente il presidente Rafael Correa di questi fatti, e ha giurato di radicalizzare la mobilitazione indigena "fino a che un governo democratico non arriverà in Ecuador". "Il presidente ha dato il via a una guerra civile contro le nazionalità originarie dell'Amazzonia ecuadoriana, quindi chiediamo all'Osa e all'Onu di intervenire urgentemente, per vigilare e osservare la violazione dei diritti dei popoli indigeni, in disprezzo dell'Accordo 169 dell'Oit e della Dichiarazione delle Nazioni Unite. Dichiariamo lo stato di massima emergenza per tutto il territorio ancestrale".

E Correa risponde: "Shuar, non unitevi ai violenti". Venuto a sapere quanto accaduto nel cuore dell'Amazzonia ecuadoriana, il ministro di Governo, Gustavo Jalkh, ha precisato che la polizia ha semplicemente reagito all'uso di armi da parte dei manifestanti. "Tramite le radio locali hanno incitato la gente a uscire e sparare alla polizia", sottolinea, ammettendo che il Governo sta valutando se dichiarare l'emergenca in tutta l'area.
"Indignato" per l'atteggiamento del governo che ha cercato di scaricare la sua responsabilità per la morte di Bosco Wizuma si è dichiarato il movimento Pachakutik, braccio politico della Confederazione delle nazionalità indigene (Conaie), che ha condannato l'insinuazione di Correa che il leader Shuar sarebbe morto per un colpo partito dai manifestanti. Una dichiarazione subito rivista, quella del presidente dell'Ecuador, che ha immediatamente dopo invitato la Conaie al dialogo. "Come può chiamare al dialogo dopo aver trattato cosi i popoli indigeni e i dirigenti" del movimento, si chiede il coordinatore di Pachakutik, Guamán. Che precisa, "la rivoluzione cittadina di Correa non è stata fatta con il popolo", nonostante gli indigeni abbiano appoggiato appieno la sia candiatura. "Facile parlare a reti unificate e far pubblicità dei suoi argomenti", ha aggiunto.

Ma cosa ha spinto l'organizzazione indigena più importante del paese a organizzare lunedì una protesta contro il progetto di Legge sulle risorse idriche, conosciuta come la Ley de Aguas, che secondo la Conaie permette la privatizzazione dell'acqua, contrariamente a quanto afferma il governo Correa? Ce lo spiega Patricio Leon.

"Cosa sta accadendo? Che il governo di Correa, socialdemocratico com'è, si è dedicato sin dall'inizio a decapitare quei movimenti popolari i cui dirigenti, dopo anni di esperienza in lotte e negoziazioni, non gli si sottomettevano. Perché per il presidente, coloro che non credono che il socialismo del XXI secolo sta facendo una rivoluzione, sono suoi nemici. E ha quindi messo poveri contro poveri, dividendo le organizzazioni e facendo una confusione tale che ad approfittarne è solo l'oligarchia che oggi invita a una concertazione nazionale con la pretesa di diventare di nuovo protagonista e abbattere le poche conquiste sociali ottenute.
In realtà, la mobilitazione indigena e contadina convocata dalla Confenaie non ha quasi ottenuto risposta, e solo due regioni si sono dimostrate combattive: il nord di Pichincha, dove l'Ecuarunari è forte, e a Morona Santiago dove la FederaciÓn Shuar è attiva e seguita. Nelle altre zone, la dirigenza nazionale indigena e contadina, non solo è divisa, ma ha gestito male i risultati del primo giorno di mobilitazione e, senza consultare le basi, ha dichiarato una tregua, respinta appunto dalle due zone più combattive.
Di questa situazione se ne è approfittato il Movimento popolare democratico (Mpd), che tira le fila dell'Unión Nacional de Educadores (Une), il quale da dieci giorni è in impegnato in uno sciopero che perde forza strada facendo contro una riforma dell'educazione che piace a gran parte degli ecuadoriani. La Une ha colto la palla al balzo e ha fatto sua la questione indigena pur di andare contro Correa. E, attivisti come sono quelli dell'Mpd, mercoledì hanno aspettato la polizia sul ponte dell'Upano con pali, pietre e fucili, con il risultato di uno scontro che ha lasciato sul campo un morto confermato e molti feriti: undici civili e 40 agenti.
Il presidente, un po' prima di questa tragedia, ossia nella notte tra mercoledì e giovedì, aveva invitato al dialogo le organizzazioni indigene e popolari, sembra perché resosi conto, finalmente, di essersi sbagliato.
Speriamo che questo momento serva al presidente per disfarsi di una combriccola di opportunisti e per circondarsi di gente degna e con buone intenzioni, visto che l'Ecuador ne ha molta. Ma può anche darsi che questo momento gli serva affinché, una volta per tutte, venga fuori colui che sospettiamo che sia: un capitalista moderno che ordina e regola in modo che lo sfruttamento continui.

Quel che è certo è che in Ecuador, noi che stiamo in basso siamo confusi, ignoriamo ci che accadrà da ora in poi e, credo, che siamo anche arrabbiati perché andiamo avanti senza una direzione politica popolare che ci orienti in situazioni come questa. Certo, è colpa di tutti noi. E mi ci metto in prima persona.

Certo, non sono molto preciso in questo mio racconto, ma in sostanza le cose stanno così".


Fonte: Peacereport

2 commenti:

Claudio Landi ha detto...

ho linkato il tuo blog sul mio!

ClaudioLandi

www.claudiolandi.blogspot.com

un cronista ALTROVE ha detto...

Venni vidi e linkai, grazie della tua visita. Tornerò

un cronista Altrove