giovedì 31 agosto 2017

38 morti per l’uragano Harvey

E ci sono circa 32.000 persone in centri di accoglienza, mentre alcuni posti in Texas sono ancora inaccessibili anche via barca

(Icon Sportswire via AP Images)

Le autorità locali del Texas hanno detto che fin qui almeno 38 persone sono morte per gli eventi collegati all’uragano Harvey, che da ieri ha perso ulteriormente intensità diventando una “depressione tropicale” e si è spostato dal Texas verso la Louisiana e il Mississippi.

Tra i morti, ha scritto il New York Times, ci sono anche un agente di polizia, una donna che è stata trascinata in un canale, una donna che è morta nella sua casa schiacciata da un albero e una famiglia annegata mentre cercava di allontanarsi in auto da una zona allagata. Il numero dei morti, hanno detto le autorità, potrebbe ancora salire. A Beaumont una bambina è stata salvata dopo essere stata trovata aggrappata al corpo morto di sua madre, trascinato dalla corrente in una zona allagata. A Corsby, poco fuori Houston, ci sono state due esplosioni in un impianto chimico e un agente di polizia è stato ricoverato in ospedale dopo aver respirato dei fumi usciti dall’impianto. L’incidente è stato causato dallo spegnimento degli impianti di raffreddamento di alcuni magazzini della società che gestisce la struttura, la francese Arkema, ha detto che potrebbero esserci altre esplosioni.

Lo stabilimento chimico di Crosby, rimasto allagato e senza corrente per 3 giorni (Godofredo A. Vasquez / Houston Chronicle)

Mentre in alcune parti del Texas ha smesso di piovere ed è passato il momento peggiore della tempesta, enormi aree dello stato sono ancora allagate e inaccessibili. In tutto il Texas circa 32.000 persone sono ospitate in centri di accoglienza per via degli allagamenti e in migliaia potrebbero rimanere bloccati fuori dalle loro case per giorni. La zona più gravemente colpita, quella intorno a Houston, ha una popolazione di circa 11 milioni di persone che vivono in 50 contee e più di 300 città: e fuori da Houston – dove da oggi la situazione sembra essere un po’ migliorata e hanno riaperto parzialmente due aeroporti – ci sono le situazioni peggiori, con zone che non sono raggiungibili nemmeno via barca. In tutto, per aiutare con i soccorsi nel sud est del Texas, sono stati mobilitati 24.000 uomini della Guardia Nazionale.



Fonte: Il Post

Lady Diana, storia della principessa del popolo

Dal matrimonio con il principe Carlo all'incidente d'auto del 1997, la vita della principessa amata dai cittadini britannici, a vent'anni dalla sua morte

Lady Diana in uno scatto del 1987

Era il 31 agosto del 1997 quando la Mercedes nera su cui viaggiavano Lady Diana e il compagno Dodi Al-Fayed, si schiantò contro il tredicesimo pilastro del tunnel del Pont de l’Alma a Parigi. Dodi Al-Fayed e l’autista Henri Paul morirono sul colpo, la principessa del Galles morì qualche ora dopo all’ospedale parigino Pitié-Salpêtrière.

Nonostante non fosse più Altezza reale dopo il divorzio dal principe Carlo, a Lady Diana furono riservate le pubbliche esequie, in seguito alle reazioni del popolo britannico, fortemente legato alla principessa. A Londra, in quell’occasione, si riversarono quasi tre milioni di persone per renderle omaggio.

Il funerale, celebrato nell’abbazia di Westminster, passò alla storia anche per l’omaggio di Elton John, che cantò Candle in the Wind, la canzone scritta in onore di Marilyn Monroe e riadattata per la principessa Diana.



Lady D, la principessa del popolo

Diana Spencer, nata nel 1961 e figlia del conte di Spencer, ottenne il titolo di Lady nel 1975. Due anni dopo conobbe il principe Carlo a una battuta di caccia, quando il figlio della regina Elisabetta era fidanzato con Sarah, la sorella di Diana. Diana sposò l’erede al trono britannico nel 1981. Pochi mesi dopo venne annunciato che Lady Diana era incinta del primo figlio, William.

Durante la sua vita da consorte dell’erede al trono della Monarchia britannica, la principessa, sia per doveri reali che per inclinazione personale, fu molto attiva nell’ambito del sociale e della filantropia, interessandosi a cause umanitarie come l’Aids e la lebbra, e alla campagna anti-mine.

La principessa attirò da subito l’interesse della stampa e del pubblico, diventando uno dei personaggi britannici più amati dal popolo, molto più di altri membri della famiglia reale, e un simbolo della cultura pop degli anni Ottanta e Novanta.

La pressione costante che subiva, in particolare dalla stampa, per il suo ruolo di consorte dell’erede al trono di una delle monarchie più importanti d’Europa, e le difficoltà nel suo matrimonio, accrebbero i disturbi mentali di cui soffriva, in un periodo in cui questi erano visti con sospetto. Ebbe problemi di bulimia e tentò più volte il suicidio.

Il divorzio

All’inizio degli anni Novanta il principe e la principessa del Galles ammisero pubblicamente il fallimento del loro matrimonio, che però iniziava a incrinarsi già nel 1985. In quegli anni la principessa di Galles iniziò una relazione con il suo istruttore di equitazione, il maggiore James Hewitt, e il principe continuò la relazione, probabilmente mai interrotta, con Camilla Parker-Bowles, la sua attuale moglie.

Nel 1992 venne pubblicato il libro di Andrew Morton, Diana – La sua vera storia, in cui si narrano i tradimenti di Carlo, l’infelicità di Diana e i suoi tentativi di suicidio. Quel libro fece grande scalpore.

Il popolo britannico e l’opinione pubblica in generale non nascosero la loro predilezione nei confronti della principessa, anche dopo il divorzio da Carlo. Diana Spencer perse il titolo di Altezza Reale, rimanendo Diana, Principessa di Galles. Ma essendo madre del secondo e terzo in linea di successione al trono, rimase membra della Famiglia Reale.

Dopo il divorzio formale con Carlo, Diana frequentò il cardiochirurgo di origine pakistana Hasnat Khan, con cui ruppe il rapporto nel giugno 1997. Poche settimane dopo Diana iniziò a frequentare Dodi Al-Fayed, figlio di Mohamed Al-Fayed, imprenditore egiziano proprietario del celebre Hôtel Ritz di Parigi. Fu mentre era in sua compagnia durante un soggiorno a Parigi, che la principessa, insieme ad Al-Fayed e all’autista, morì.

La morte

Sulla morte di Lady D furono fatte pesanti speculazioni mediatiche e non furono pochi quelli che gridarono al complotto, secondo cui l’incidente fu in realtà un omicidio, ordinato dalla Casa reale ed eseguito dai servizi segreti britannici. In una lettera scritta pochi mesi prima del decesso e consegnata all’ex maggiordomo, la principessa accusa Carlo di volerla uccidere simulando un incidente d’auto.

La notte della morte, il 31 agosto di vent’anni fa, Lady Diana e Al-Fayed, per sfuggire all’assalto dei paparazzi, uscirono da una porta secondaria dell’Hotel Ritz dove si trovavano, per dirigersi in un appartamento di Dodi. Le inchieste portate avanti dalla polizia francese e da quella britannica giunsero alla stessa conclusione, cioè che la causa dell’incidente fu la guida dell’autista, sotto effetto di alcol e psicofarmaci. Lady D e Dodi Al-Fayed non indossavano le cinture di sicurezza.

Lady Diana, la principessa triste, aveva soltanto 36 anni quando morì.

Fonte: The Post Internazionale

mercoledì 30 agosto 2017

L’Italia ha fatto un accordo con i trafficanti di migranti?

Lo sostiene un'inchiesta molto dettagliata di Associated Press, smentita dal governo ma confermata da una delle milizie coinvolte

(ANGELOS TZORTZINIS/AFP/Getty Images)

Un’inchiesta pubblicata ieri da Associated Press ipotizza che per fermare il flusso di migranti dal Nord Africa il governo italiano abbia stretto degli accordi con due potenti milizie libiche che solo qualche tempo fa erano direttamente coinvolte nello stesso traffico. Il governo italiano ha smentito di avere un accordo di questo tipo e rispondendo ad AP ha detto che «non negozia con i trafficanti». L’inchiesta sembra comunque molto solida e cita molte e varie fonti, fra cui il portavoce di una delle due milizie coinvolte che ha confermato l’accordo con le autorità italiane.

L’approccio del governo italiano in Libia – un paese che da circa cinque anni non ha un governo funzionante, e che è diventato la tappa finale di decine di migliaia di migranti diretti in Europa – è stato molto lodato dagli altri paesi europei, e dal punto di vista dei numeri sta portando dei risultati. Nell’agosto 2017 sono sbarcati sulle coste italiane solo 3.507 migranti, contro i 21.294 dell’agosto 2016. In molti però hanno criticato il governo italiano per aver stretto accordi con partner poco affidabili come il governo di Fayez al Sarraj, che controlla quasi solo il territorio della città di Tripoli, e la sua Guardia costiera, un’accozzaglia di bande armate che è difficile descrivere come un unico corpo di polizia. L’inchiesta di Associated Press porta le accuse al governo italiano a un altro livello: lo accusa di aver saltato l’intermediazione di Sarraj e aver stretto accordi direttamente con gli stessi personaggi che fino a poco tempo fa erano in combutta con i trafficanti.

In Libia le milizie armate hanno riempito il vuoto di potere che si è creato dalla caduta del regime di Gheddafi: secondo Nancy Porsia, giornalista esperta di Libia, oggi fanno parte di un sistema che «permea tutta la struttura della società» libica. Fra le altre cose le milizie controllano anche i centri di detenzione per migranti (dove i diritti umani vengono sistematicamente violati).

Le due milizie di cui parla Associated Press si chiamano “Martire Abu Anas al Dabbashi” e “Brigata 48” ed entrambe hanno la sede a Sabratha, una piccola città non distante da Tripoli che negli ultimi mesi è diventata il principale punto di partenza dei barconi e gommoni dei migranti. La prima milizia è sicuramente nota ai funzionari italiani: dal 2015 si occupa della sicurezza dell’impianto di Eni per l’estrazione di petrolio nel vicino paese di Mellita. La seconda è stata oggetto di un’inchiesta di Reuters pubblicata il 21 agosto, che descriveva l’efficacia della campagna anti-trafficanti in corso a Sabratha. I capi delle milizie sono due fratelli che provengono dal clan che controlla la città, quello dei Dabbashi.

Cinque fonti fra funzionari di sicurezza e attivisti hanno confermato ad Associated Press che entrambe le milizie erano coinvolte nel traffico di migranti: una di loro ha definito i fratelli Dabbashi i “re del traffico di migranti” a Sabratha. «I trafficanti di ieri sono le forze anti-trafficanti di oggi», ha raccontato una fonte di sicurezza libica sentita da Associated Press. Non sarebbe l’unico caso di autorità libiche coinvolte in questi traffici: secondo un recente rapporto dell’ONU (PDF) il capo della Guardia costiera di Zawiyah, una città vicino a Sabratha, è contemporaneamente a capo di una milizia in combutta coi trafficanti. In questa storia c’è anche un dettaglio piuttosto inquietante: secondo il giornalista del Foglio Daniele Raineri, la stesso clan Dabbashi aveva espresso anche il capo locale dello Stato Islamico, Abdullah “Abu Maria” Dabbashi, poi ucciso ad aprile.

Abdel Salam Helal Mohammed, un dirigente del ministro degli Interni del governo di Tripoli che si occupa di immigrazione, ha raccontato che l’accordo è stato raggiunto durante un incontro fra italiani e membri della milizia Al Ammu, che si sono impegnati a fermare il traffico di migranti (cioè loro stessi o dei loro alleati, in sostanza). Dell’incontro aveva parlato anche la giornalista Francesca Mannocchi in un articolo pubblicato da Middle East Eye il 25 agosto, senza però trovare conferme ufficiali. Anche il portavoce di Al Ammu, Bashir Ibrahim, ha confermato ad Associated Press che circa un mese fa entrambe le milizie hanno stretto un accordo “verbale” col governo italiano e quello di Sarraj per fermare i trafficanti. Sempre secondo Bashir, l’accordo prevede che in cambio del loro aiuto le milizie ottengano soldi, barche e quello che Associated Press definisce “equipaggiamento” (non è chiaro se si tratti o meno di armi).

L’accordo è stato confermato anche da due attivisti locali che si occupano dei diritti umani dei migranti, che hanno aggiunto che le stesse milizie hanno preso il controllo della prigione della città per ospitare i migranti bloccati e che stavano preparando una pista d’atterraggio nei pressi dell’ospedale per ricevere aiuti umanitari dall’Italia. Sulla sua pagina Facebook, Daniele Raineri ha pubblicato una foto dell’ambasciatore italiano in Libia Giuseppe Perrone vicino a “un aereo carico di aiuti medici italiani” atterrato il 16 agosto in città. Una settimana dopo, il ministero degli Esteri italiano ha fatto sapere di aver consegnato 5.000 “kit igienico-sanitari e di primo soccorso per migranti” alla città di Zuwara, mentre non viene citata alcuna consegna avvenuta a Sabratha.

«Quello che gli italiani stanno facendo a Sabratha è davvero sbagliato», ha raccontato ad Associated Press uno degli attivisti contattati, Gamal al Gharabili: «state accrescendo il potere delle milizie».

Fonte: Il Post

La Corea del Nord minaccia nuove operazioni militari nel Pacifico

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato all'unanimità Pyongyang per il lancio del dispositivo, definito “scandaloso”. Ma non approva nuove sanzioni

Credit: Reuters

Dopo che per la prima volta un missile balistico nordcoreano ha sorvolato il Giappone lo scorso 29 agosto, la Corea del Nord ha fatto sapere che la mossa rappresenta solo il primo passo delle operazioni militari che ha intenzione di compiere nel Pacifico, aprendo ad altri possibili lanci.

Al centro delle nuove minacce c’è ancora una volta l’isola di Guam, che è territorio statunitense e ospita basi militari americane.

Il missile lanciato martedì 29 agosto dalla Corea del Nord ha sorvolato l’isola giapponese di Hokkaido, facendo scattare i sistemi di allarme nipponici, prima di cadere in mare.

Intanto, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in una riunione d’emergenza del 29 agosto ha condannato all’unanimità Pyongyang per il lancio del dispositivo. L’organismo Onu ha definito l’azione “scandalosa” e ha chiesto alla Corea del Nord di interrompere i test missilistici.

Il Consiglio di sicurezza ha detto che gli atti del paese asiatico rappresentano una minaccia per tutti i paesi Onu, ma non ha approvato nuove sanzioni verso Kim Jong-Un.

Russia e Cina sostengono che le attività militari degli Stati Uniti nel Pacifico hanno contribuito a far crescere la tensione e chiedono negoziati con Pyongyang. Invece, Giappone e Corea del Sud chiedono che sia “alzata al massimo” la pressione nei confronti della Corea del Nord, la cui condotta hanno definito “violenta”.

Fonte: The Post Internazionale

martedì 29 agosto 2017

La Corea del Nord ha lanciato un missile che ha sorvolato il Giappone

Il primo ministro giapponese Abe ha definito il gesto di Pyongyang “una minaccia senza precedenti”


La Corea del Nord ha lanciato un missile che ha sorvolato il nord del Giappone, secondo quanto riferiscono le autorità sudcoreane e giapponesi.

L’ordigno si è distrutto spezzandosi in tre parti ed è poi caduto 1.180 chilometri al largo dell’isola di Hokkaido.

Il lancio del missile ha fatto scattare i sistemi di allerta in Giappone e il governo ha chiesto ai suoi cittadini di rimanere in casa e di prendere le dovute precauzioni.

Il premier giapponese Shinzo Abe ha definito il lancio una “minaccia senza precedenti” nei confronti del suo paese. Il Consiglio di sicurezza Onu ha disposto una riunione d’emergenza in risposta al lancio.

La Corea del Nord di recente ha eseguito numerosi test missilistici, ma è la prima volta che una sua arma balistica sorvola il Giappone. Secondo le autorità giapponesi si è trattato di un missile balistico a raggio intermedio.

Abe ha detto che sta facendo il possibile per proteggere il suo popolo. “Faremo di tutto per proteggere le vite della nostra popolazione”, ha dichiarato.

L’esercito giapponese non ha tentato di intercettare il missile, che ha sorvolato il territorio giapponese alle 6:06 di mattina ora locale (23:06 in Italia).

Il missile è stato lanciato dalla regione di Sunan, vicino alla capitale nordcoreana di Pyongyang poco prima delle 6:00 di mattina, ora locale.

(Nella foto qui sotto: il tragitto del missile nordcoreano che ha sorvolato il Giappone).


Recentemente il leader della Corea del Nord Kim Jong-Un aveva minacciato gli Stati Uniti e nello specifico l’isola di Guam, territorio statunitense (cos’è e perché appartiene agli Stati Uniti).

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump gli aveva risposto che Pyongyang affronterà “fuoco e furia mai visti” se avesse minacciato ancora gli Stati Uniti. (Ma cosa intendeva davvero con quel “fuoco e furia”?).

Il Pentagono ha confermato l’esecuzione del lancio. Intanto, il segretario di Stato statunitense Rex Tillerson e il ministro degli Esteri della Corea del Sud si sono detti concordi nel considerare ulteriori sanzioni contro Pyongyang dopo la nuova minaccia messa in atto.
Fonte: The Post Internazionale

Cos’è stato deciso al vertice di Parigi sui migranti

Approvato un piano che prevede centri di ricollocamento nei paesi di transito dei profughi in Africa. Si apre alla revisione del sistema di Dublino

Credit: Charles Platiau

Si è tenuto il 28 agosto a Parigi un vertice sulla gestione dei flussi migratori a cui hanno partecipato il premier italiano Paolo Gentiloni, il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel, e il premier spagnolo Mariano Rajoy.

All’incontro erano presenti anche Idriss Déby, presidente del Ciad, e Mahamadou Issoufou, presidente del Niger, insieme al capo del governo libico, Fayez El Sarraj, e all’Alta rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri, Federica Mogherini.

Il vertice riguardava la discussione di nuove politiche di cooperazione per la gestione dei flussi migratori provenienti dalla Libia.

Alla conclusione dell’incontro il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha detto che “nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, anche nella rotta del Mediterraneo centrale abbiamo conseguito dei risultati, ma sono risultati iniziali che vanno consolidati”. Gentiloni ha auspicato che l’impegno sui flussi migratori diventi “un impegno europeo”.

I paesi presenti hanno concordato un piano d’azione che prevede l’introduzione di campi di ricollocazione in territorio africano, dove i migranti siano identificati e sia stabilito quali di questi hanno diritto all’asilo in Europa. Questi saranno accolti in Ue, mentre i cosidetti “migranti economici” saranno rimpatriati nei paesi d’origine.

“Abbiamo dato il via libera a un piano d’azione a breve termine rapido: è la risposta più efficace al fenomeno dei trafficanti di esseri umani che ha provocato un cimitero”, ha dichiarato il presidente francese Emmanuel Macron.

I leader europei hanno lodato l’accordo di cooperazione sui flussi migratori tra Italia e Libia, ritenuto meritevole di aver ridotto il numero degli sbarchi sulle coste italiane nelle ultime settimane.

Altro punto cruciale è la necessità di stabilità in Libia, per il quale è stato sancito il sostegno all’accordo di pace tra le tribù del sud del paese e la cooperazione per la creazione di una guardia di frontiera libica.

“Chiaramente l’Italia e la Libia sono elemento fondamentale come interfaccia, ringrazio quindi il presidente libico Fayez Al Serraj e il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni”, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, che in un’intervista al giornale Welt am Sonntag la scorsa domenica aveva già dichiarato che i profughi dovrebbero essere distribuiti in modo solidale a livello europeo, senza gravare esclusivamente su Italia e Grecia.

“Penso che gli hotspot non siano proprio il termine ideale per designare dei centri di ricollocazione”, ha aggiunto Merkel. “Il sistema Dublino deve essere rivisto, non offre soluzioni soddisfacenti, i paesi cosiddetti d’arrivo sono sfavoriti. Visto che non c’è solidarietà reale, dobbiamo trovare nuove soluzioni”.

Fonte: The Post Internazionale

domenica 27 agosto 2017

Almeno cinque persone sono morte in Texas a causa dell’uragano Harvey

La tempesta è nata nel Golfo del Messico e i suoi venti hanno raggiunto una velocità di oltre 100 chilometri orari, causando già milioni di dollari di danni

Credit: Reuters

Malgrado sia stato declassato a tempesta tropicale, negli Stati Uniti almeno cinque persone sono morte da quando l’uragano Harvey ha colpito la costa dello stato meridionale del Texas.

Una persona infatti è morta a Rockport, una cittadina costiera situata sulla Live Oak Peninsula, in riva al Golfo del Messico, in Texas. Una donna è invece deceduta a Houston, capoluogo della contea di Harris, sulla costa centrale dello stato.

Altre mille persone sono state già tratte in salvo nella stessa città di Houston dall’intervento dei servizi di emergenza. Molti erano rimasti intrappolati nelle proprie auto o nelle abitazioni a seguito delle piogge torrenziali che stanno colpendo tutto il sud dello stato del Texas.

L’uragano ha colpito per prima la costa di Copano Bay nei pressi della città industriale di Corpus Christi. L’area conta almeno 350 mila abitanti, qui la tempesta ha provocato decine di feriti a causa dei crolli e dei danni provocati dal forte vento.

Harvey ha poi causato diversi black-out, almeno 155mila texani sono infatti rimasti senza luce. La regione colpita dal ciclone conta un gran numero di raffinerie che producono oltre 5 milioni di barili di petrolio al giorno.

Diverse compagnie petrolifere hanno già chiuso i propri impianti ed evacuato anche le piattaforme di trivellazione al largo della costa degli Stati Uniti.
L’uragano è stato declassato a tempesta tropicale dal centro federale per la previsione degli uragani (Nhc). Il pericolo maggiore però, secondo il National Hurricane Center, è ora rappresentato dalle piogge in arrivo, destinate a provocare inondazioni potenzialmente mortali.

Le previsioni annunciano almeno 60 centimetri di pioggia per i prossimi giorni. Le autorità si attendono poi un aumento del livello del mare fino a quattro metri. L’area costiera tra il Messico e lo stato meridionale della Louisiana.

Il governatore del Texas, Greg Abbott ha già ottenuto per decreto del presidente Trump il riconoscimento dello stato di calamità naturale.

Centinaia di membri della Guardia nazionale sono stati richiamati proprio da Abbott per far fronte ai danni provocati da quello che è stato definito il più potente uragano che abbia mai colpito gli Stati Uniti negli ultimi 11 anni.

Fonte: The Post Internazionale

In Venezuela il presidente Maduro addestra i civili in previsione di un attacco militare statunitense

Donald Trump aveva aperto alla possibilità di un'intervento armato nel paese latinoamericano da parte degli Stati Uniti. Il ministro della Difesa venezuelano aveva però definito questa minaccia "un atto di follia"

Credit: Reuters/Andres Martinez Casares

Il governo venezuelano ha indetto alcune esercitazioni delle forze armate a livello nazionale, invitando i civili a unirsi alle unità di riserva dell’esercito per difendere il paese contro un possibile attacco da parte degli Stati Uniti.

“Contro le minacce di guerra da parte degli Stati Uniti, tutti i venezuelani tra i 18 e i 60 anni sono tenuti a contribuire alla difesa della nazione”, diceva un annuncio trasmesso sulla televisione statale venezuelana sabato 26 agosto.

Il presidente Donald Trump infatti aveva minacciato per la prima volta l’11 agosto un possibile intervento militare nel paese dove, dal mese di aprile, sono in corso violente proteste contro il governo di Nicolas Maduro.

“Le persone stanno soffrendo e stanno morendo”, aveva detto il presidente Trump ai giornalisti. “Abbiamo molte opzioni per il Venezuela, inclusa una possibile opzione militare se necessario”.

Inoltre, venerdì 25 agosto, lo stesso Trump ha firmato un ordine esecutivo che vieta alle aziende statunitensi di acquistare azioni e obbligazioni emesse dal governo di Caracas e dall’azienda petrolifera statale venezuelana, la Petróleos de Venezuela, S.A. (Pdvsa).

“Nel tentativo di salvarsi, la dittatura di Maduro ricompensa e arricchisce i funzionari corrotti dell’apparato di sicurezza del governo caricando sulle spalle delle future generazioni venezuelane costosi debiti contratti all’estero”, aveva dichiarato in conferenza stampa la portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders.

“Queste misure sono state accuratamente calibrate per negare alla dittatura di Maduro un’importante fonte di finanziamento che il regime usa per mantenere in piedi la propria illegittima riforma costituzionale”.

Il presidente Maduro, per nulla intimorito dalle pressioni statunitensi, ha invece usato la minaccia di Trump per galvanizzare la propria base elettorale, facendo trasmettere in televisione immagini di civili che imbracciano fucili, partecipano a corse a ostacoli e apprendendo dagli uomini delle forze speciali il combattimento corpo a corpo.

Il governo venezuelano ha poi anche creato su Twitter l’hashtag #EsHoraDeDefenderLaPatria, – “è tempo di difendere la patria” – per promuovere le esercitazioni dei civili fedeli al partito di Maduro.

Le immagini televisive hanno infatti mostrato venezuelani di tutte le età che vengono addestrati da istruttori militari nei centri della riserva nazionale.

L’opposizione, per bocca di uno dei suoi maggiori esponenti, Henrique Capriles, ha definito l’iniziativa una “costosa farsa”.
“Nel 2016 ci sono stati 29mila omicidi! E questa buffonata durerà ancora due giorni, fino a domani mattin! Quanto è costata al paese?”, si è chiesto Capriles sul suo profilo Twitter ufficiale.

Le tensioni diplomatiche tra il governo di Caracas e la comunità internazionale sono aumentare negli ultimi mesi, in particolare alla fine di luglio, quando è entrata in vigore la contestata riforma costituzionale voluta dal presidente Maduro.

Secondo il nuovo ordinamento voluto dal partito del presidente e sostenuto da oltre un milione di venezuelani che si sono recati al voto, tutto il potere legislativo è passato dal parlamento nazionale, dove l’opposizione detiene la maggioranza dalle elezioni svoltesi nel dicembre 2015, alla nuova assemblea costituente.

Il presidente Maduro sostiene che il nuovo corpo legislativo è l’unica speranza per il Venezuela di ripristinare la pace dopo mesi di proteste contro il governo, che hanno causato già centinaia di morti.

I leader dell’opposizione hanno invece boicottato le elezioni che hanno portato all’insediamento della nuova assemblea costituenti, tenutesi il 30 luglio in tutto il paese.

Secondo gli oppositori di Maduro infatti, questa mossa è un affronto alla democrazia. I leader dell’opposizione hanno così chiesto elezioni presidenziali anticipate e le dimissioni del presidente.

Il leader venezuelano guida il paese dal 2013, dopo essere stato designato direttamente dal suo predecessore, Hugo Chavez, prima di morire. La contrapposizione all’interno del Venezuela è cresciuta soprattutto dopo la decisione della Corte suprema del 29 marzo di esautorare il parlamento, facendo crescere la preoccupazione di un aumento dei poteri del presidente.

La situazione è poi peggiorata ad aprile 2017 quando le proteste di piazza e le pressioni internazionali, comprese anche le prime sanzioni degli Stati Uniti, hanno cominciato ad affliggere il governo venezuelano e il suo presidente.

In realtà, la crisi nel paese va avanti da anni e ha cause soprattutto economiche. L’origine dei mali del paese va infatti rintracciata nella genesi delle politiche pubbliche degli ultimi 20 anni.

Dopo aver vinto le elezioni del 1998 infatti, l’allora presidente Hugo Chavez ha attuato un’agenda politica di ispirazione socialista, consegnando le fabbriche ai lavoratori, nazionalizzando le industrie chiave del paese e istituendo programmi sanitari, di alloggio e di alfabetizzazione per i più poveri.

Chavez ha più volte descritto il suo programma di governo come “socialismo del ventunesimo secolo”. La sua politica è infatti stata ispirata in gran parte dalla rivoluzione cubana di Fidel Castro.

Tuttavia a metà del 2014 il prezzo del petrolio sui mercati internazionali è crollato, passando da circa 110 dollari statunitensi al barile a meno di 50 dollari statunitensi al barile.

Per il Venezuela, le cui spese, in particolare quelle sociali, dipendevano quasi interamente dalle entrate garantite dalla vendita del petrolio, questo è stato un danno da cui il paese non è ancora riuscito a riprendersi.

Nel solo 2016, secondo dati non ufficiali, l’inflazione ha fatto registrare un incremento dell’800 per cento rispetto all’anno precedente, mettendo il governo di Caracas in una situazione disperata. Il quotidiano economico statunitense Wall Street Journal riferì allora che il governo Maduro, per far fronte alla crisi, fece atterrare nel paese interi aerei pieni di banconote stampate all’estero.

Fonte: The Post Internazionale

giovedì 24 agosto 2017

Cosa è successo ieri a Rotterdam

Un concerto della band californiana Allah-Las è stato annullato per il rischio di un attentato; la polizia poi ha fermato un furgone con alcune bombole di gas a bordo

Il furgone fermato ieri a Rotterdam (RTL via AP)

Ieri a Rotterdam, nei Paesi Bassi, la polizia ha annullato un concerto della band californiana Allah-Las dopo aver ricevuto dalla polizia spagnola la segnalazione di una possibile minaccia terroristica. Poco dopo, grazie al perimetro di sicurezza formato dagli agenti intorno al locale dove avrebbe dovuto esserci il concerto, la polizia ha fermato un furgoncino con targa spagnola che conteneva diverse bombole di gas: il conducente, di nazionalità spagnola, è stato arrestato per essere interrogato e al momento non è chiaro se ci siano legami con il terrorismo e per cosa servissero le bombole che trasportava. Nella notte, la polizia ha arrestato una seconda persona in una casa vicino a Rotterdam.

La notizia dell’annullamento del concerto – che avrebbe dovuto tenersi in un ex silo riconvertito chiamato Maassilo – è stata data dal sindaco di Rotterdam Ahmed Aboutaleb in una conferenza stampa organizzata ieri sera. Aboutaleb ha detto che la segnalazione del possibile attentato era arrivata dalla polizia spagnola, ma non ha dato altre informazioni e non ha detto se c’erano collegamenti con l’indagine per gli attentati in Catalogna della settimana scorsa. Per via del loro nome, gli Allah-Las ricevono spesso minacce da parte di estremisti islamici, ma la polizia di Rotterdam ha detto di aver preso con particolare serietà la segnalazione ricevuta ieri e di aver chiesto al gestore del Maassilo di annullare il concerto, poco prima che iniziasse.

(Il sindaco di Rotterdam Ahmed Aboutaleb durante la conferenza stampa di ieri sera – Ap Images) 

Dopo l’annullamento del concerto i membri degli Allah-Las sono stati scortati in un posto sicuro dalla polizia di Rotterdam ed è stato istituito un perimetro di sicurezza intorno al Maassilo. A quel punto è stato fermato il furgone con targa spagnola con le bombole di gas a bordo. Per il momento non sembra che il furgone fosse stato segnalato dalla polizia spagnola, gli agenti olandesi lo hanno fermato per precauzione dopo averlo visto fare avanti e indietro in modo strano e hanno arrestato il conducente dopo aver trovato le bombole (in un attentato a Parigi lo scorso giugno un’auto con bombole di gas a bordo si era schiantata contro degli agenti di polizia e si pensa che anche gli attentatori di Barcellona avessero pianificato di fare una cosa simile).

Il furgone è stato ispezionato dagli artificieri dell’esercito e il conducente del furgone è stato interrogato dalla polizia. Nella notte, intorno alle 2.00, la polizia ha arrestato una seconda persona in una casa poco distante da Rotterdam: si tratta di un 22enne che è ancora in stato di fermo per essere interrogato. Al momento non sono state date altre informazioni su quello che è successo. Aboutaleb, ieri sera, ha detto che doveva ancora essere stabilito se ci fosse un collegamento tra il furgone e la minaccia al Maassilo.

Fonte: Il Post

Cosa sta succedendo a Roma con lo sgombero dei rifugiati di piazza Indipendenza

Lo sgombero del palazzo occupato di via Curtatone era iniziato il 19 agosto. Oggi, 24 agosto, la polizia in assetto antisommossa si è scontrata con i rifugiati etiopi ed eritrei che dormivano all'aperto nella piazza


Tutto è iniziato sabato 19 agosto 2017, quando il palazzo di via Curtatone, piazza Indipendenza, a un passo dalla stazione Termini di Roma, viene sgomberato. In quel palazzo abitavano richiedenti asilo e rifugiati provenienti da Eritrea ed Etiopia. Centinaia di persone che vivevano lì sono state portate fuori dai poliziotti che hanno fatto irruzione nel palazzo, insieme a tutti i loro averi, e da ormai quattro giorni vivono per strada, senza alcuna alternativa.

Nella mattina di 24 agosto, secondo quanto raccontano giornalisti e attivisti che si trovano sul posto, ci sono stati scontri tra la polizia e i rifugiati in piazza, e sono stati usati idranti e manganelli. La polizia è arrivata all’alba, mentre c’erano persone che dormivano all’aperto, nella piazza. Due persone sono state fermate.

C’è chi parla di “guerriglia urbana”.

“Voglio ricordare che tutte le persone sgomberate erano regolari, con tanto di passaporto e lavoro”, ha detto Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia.

Si tratta di circa 250 famiglie che vivono in città da anni, i cui figli vanno regolarmente a scuola e i genitori a lavoro, titolari dello status di rifugiato o di qualche forma di protezione internazionale. Il palazzo occupato dal 2013 è l’ex sede dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’Ispra.

Grandissima l’indignazione per quello che sta succedendo, uno sgombero senza dare alcuna alternativa alle centinaia di persone che vivevano nel palazzo occupato.

Ieri, 23 agosto, in prefettura c’è stato un incontro tra comune, regione e la Idea Fimit S.g.r, la società che gestisce lo stabile.

“Paradossalmente, la Idea Fimit è stata l’unica a offrire un’alternativa: sessanta alloggi fuori Roma per sei mesi, senza nessun costo per il comune. E per gli altri duecento che dormono da quattro giorni per strada? L’unica proposta dell’amministrazione romana è stata quella di alloggiare ottanta di loro (sessanta uomini e venti donne) in locali tra Boccea e Torre Maura, che però oltre che essere insufficienti per numero di posti letto sarebbero anche inadeguati: in alcuni non ci sarebbero neanche i bagni. Una delegazione di eritrei ha fatto un sopralluogo e ha rifiutato la proposta”, ha scritto Christian Raimo su Internazionale.

Questa è la situazione di piazza Indipendenza in queste ore:


Fonte: The Post Internazionale

Il terremoto nel centro Italia, un anno dopo

Nella notte del 24 agosto 2017, 365 giorni dopo il terremoto che colpì il centro Italia provocando 299 vittime, si è tenuta una commemorazione e una fiaccolata per le vie di Amatrice

Credit: Ansa

È trascorso un anno dal terremoto che il 24 agosto del 2016 colpì il del centro Italia. Si è tenuta nella notte una lunga e commossa commemorazione delle vittime del sisma, con una fiaccolata e la lettura dei nomi delle vittime.

La cerimonia si è tenuta nella tenda allestita nel campo sportivo di Amatrice, alla presenza di parenti, amici delle vittime e tutta la comunità cittadina.

La fiaccolata, che si è snodata per alcune vie cittadine, si è conclusa al parco Minozzi, dove alle 3.36, ora del sisma, ci sono stati i rintocchi di campana, uno per ogni vittima. A seguire la veglia di preghiera celebrata dal vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili.

Il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, ha in seguito inaugurato il monumento eretto nel parco don Minozzi, che raffigura l’antica moneta ‘Fidelis Amatrix’, storico simbolo della città e scolpita da Marino Di Prospero.

Nella giornata di oggi si terranno altre commemorazioni, sia religiose che laiche, nei vari centri colpiti dal sisma di 12 mesi fa.

Il 24 agosto di un anno fa il sisma, con epicentro situato lungo la Valle del Tronto, tra i comuni di Accumoli (RI) e Arquata del Tronto (AP) e di magnitudo 6.0, provocò un totale di 299 vittime, tra i vari centri abitati interessati. Furono invece 238 le persone estratte vive dalle macerie e 388 i feriti.

Fonte: The Post Internazionale

martedì 22 agosto 2017

L’attentatore di Barcellona è stato ucciso dalla polizia

Younes Abouyaaqoub, che sembrava indossare una cintura esplosiva, è stato ucciso in un'operazione della polizia nel comune catalano di Subirats


La polizia catalana Mossos ha annunciato in una conferenza stampa di aver ucciso Younes Abouyaaqoub, marocchino di 22 anni e principale sospettato di aver ucciso 14 persone sulla Rambla di Barcellona, nell’attentato del 17 agosto.
L’attentatore sembrava indossare una cintura esplosiva, rivelatasi essere falsa come quella dei cinque attentatori di Cambrils. L’operazione di polizia è avvenuta nel piccolo comune di Subirats, in Catalogna, a 50 chilometri da Barcellona.

Non sono ancora state rese note le dinamiche dell’uccisione, ma quotidiani spagnoli come El País e La Vanguardia dicono che Abouyaaqoub è stato riconosciuto da una donna, la quale ha avvisato la polizia della presenza dell’uomo. Dopo l’uccisione, sono entrati in azione gli artificieri, che hanno verificato come la cintura fosse in realtà falsa.

Il 21 agosto, le autorità avevano confermato che Abouyaaqoub è responsabile della morte di un uomo, ucciso a coltellate dopo che l’attentatore gli aveva rubato l’auto per fuggire dalla zona delle Rambla.

Fonte: The Post Internazionale

Gli Stati Uniti invieranno nuovi soldati in Afghanistan

Lo ha detto in un discorso il presidente Trump, che ha annunciato un nuovo programma di intervento ancora poco chiaro


Nella serata del 21 agosto, il presidente Donald Trump ha presentato la nuova strategia della sua amministrazione per la guerra in Afghanistan, iniziata nel 2001.

Nel discorso alla base militare di Fort Meyer, in Virginia, Trump ha spiegato che il suo intento originale era quello di ritirare le forze statunitensi dal paese asiatico. Ha detto però che ha deciso di restare, per “combattere e vincere”, non commettere gli stessi errori fatti in Iraq e non lasciare un vuoto da colmare ai talebani.

La proposta del presidente non è stata descritta nei dettagli. Trump ha detto che vuole cambiare rispetto al passato, collaborando con il governo afghano, ma senza mettere date di scadenza alla missione.

È certo che saranno inviato altri soldati, che andranno ad aggiungersi ai 9mila già presenti in Afghanistan. Non sono state specificate le cifre, ma fonti interne alla Casa Bianca hanno detto che saranno inviati almeno 4mila militari.

Un messaggio è stato mandato al Pakistan, ammonito di offrire rifugio ai terroristi. “Devono sapere che non esiste nessun posto dove possono nascondersi. Non esiste luogo al sicuro dal raggio d’azione delle armi americane”, ha detto Trump.

Non mancano critiche, che evidenziano come il presidente abbia cambiato per l’ennesima volta idea rispetto alla sua campagna elettorale, quando la guerra in Afghanistan era definita uno spreco di risorse e di tempo.

I talebani hanno risposto al discorso del presidente statunitense dicendo che l’Afghanistan diventerà un “altro cimitero” per gli Stati Uniti, se non si ritirerà dai loro territori.

Fonte: The Post Internazionale

Terremoto di magnitudo 4 a Ischia, due morti e 39 feriti

Il terremoto è stata di magnitudo 4 a una profondità di 5 chilometri, con epicentro a 3 chilometri a nord da Casamicciola.


Si continuano a cercare i dispersi a Ischia, dove la terra ha tremato, colpita da un terremoto di magnitudo 4.0. I danni maggiori si sono verificati a Casamicciola, nella zona settentrionale dell’isola. Distrutta la chiesa del Purgatorio e crollati alcuni edifici. Oltre mille residenti e turisti hanno preso d’assalto i traghetti per raggiungere la costa campana, accolti a Pozzuoli dalla Croce Rossa.

Una donna è morta dopo essere stata colpita dai calcinacci della chiesa di Santa Maria del Suffragio. Una seconda donna è stata trovata senza vita sotto le macerie di un’abitazione. Nella mattina del 22 agosto anche altri due bambini che erano rimasti sotto le macerie sono stati estratti vivi, Ciro e Mattias. Un bambino di 7 mesi, fratello dei due salvati questa mattina, era stato estratto vivo dalle macerie durante la notte.
Migliaia di persone hanno trascorso la notte fuori casa. Federalberghi Ischia con i suoi associati ha deciso di mettere a disposizione gratuitamente le camere delle proprie strutture ricettive per le popolazioni e gli ospiti dei comuni di Casamicciola Terme e Lacco Ameno, colpite dal sisma.

Il terremoto è stato di magnitudo 4 a una profondità di 5 chilometri, con epicentro a 3 chilometri a nord da Casamicciola. Inizialmente l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia aveva riferito una magnitudo di 3.6 e una profondità di 10 chilometri, successivamente corretta.


“Grazie ai dati della Rete Sismica dell’Osservatorio Vesuviano (sezione INGV di Napoli), progettata proprio per la sorveglianza e il monitoraggio dei vulcani campani, sono stati ricalcolati i parametri ipocentrali e la magnitudo del terremoto avvenuto questa sera alle ore 20:57 italiane nei pressi dell’Isola di Ischia. Il valore di magnitudo durata Md è pari a 4.0 e la profondità è pari a 5 km”, si legge sul sito.

Il terremoto potrebbe essere di origine tettonica e non vulcanica. Nel 1883 si era verificato un terremoto di magnitudo 5.8 che fece 2.300 morti.

Fonte: The Post Internazionale

lunedì 21 agosto 2017

È morto l’attore comico statunitense Jerry Lewis

Aveva 91 anni. Tante le celebrità che gli hanno reso omaggio


Il comico statunitense Jerry Lewis è morto all’età di 91 anni. La sua famiglia ha comunicato che l’uomo è morto per cause naturali nella sua casa di Las Vegas.

Tante celebrità gli hanno reso omaggio. Whoopi Goldberg lo ha definito “un guadagno per il paradiso, ma una grande perdita per la commedia”. L’attore William Shatner ha scritto “da oggi il mondo sarà molto meno divertente”. L’attore Jim Carrey, il cui stile comico è stato fortemente influenzato da Jerry Lewis, ha dichiarato: “Jerry Lewis era un genio innegabile, una benedizione insondabile, l’assoluta commedia, io sono perché lui era”.

Lewis, il cui vero nome era Joseph Levitch, nacque a Newark, in New Jersey, da genitori ebrei russi che erano entrambi nello showbusiness. Ha iniziato a suonare e a esibirsi sul palco all’età di cinque anni insieme ai suoi genitori.

Lewis ha collaborato per circa un decennio con Dean Martin alla fine degli anni ’40. Durante la sua carriera prese parte a oltre 40 film.

In un’intervista, Lewis disse che la chiave del suo successo era guardare il mondo attraverso gli occhi di un bambino.

Lewis ha anche ottenuto una grande popolarità in Francia dove è stato chiamato “le Roi du Crazy” (“il re della pazzia”). É stato inserito nella Legione d’Onore, il più alto premio francese, nel 1984.

Fonte: The Post Internazionale

Le ricerche per l’attentatore di Barcellona si estendono in tutta Europa

Il ministro degli Interni della Catalogna ha confermato che il sospettato di aver guidato il furgone contro la folla è il marocchino Younes Abouyaaqoub

Credit: Reuters

Le autorità catalane hanno detto che hanno esteso in tutta Europa le ricerche per arrestare Younes Abouyaaqoub, marocchino di 22 anni sospettato di aver ucciso 13 persone sulla Rambla di Barcellona il 17 agosto, investendole con un furgone.

A confermare l’identità del ricercato – l’unico ancora in libertà della cellula terroristica composta da 12 persone – è stato Joaquim Forn, il ministro degli Interni della Catalogna. “Quest’uomo non è più solo cercato in Catalogna, ma anche in tutta Europa”, ha detto Forn.

Non si esclude che Abouyaaqoub abbia già attraversato il confine con la Francia. Secondo il quotidiano spagnolo El País, l’attentatore ha lasciato a piedi il luogo dell’attacco, come mostrerebbero tre immagini prese da telecamere di sicurezza a circuito chiuso. Le foto inquadrano il giovane, con occhiali da sole, camminare nel mercato della Boqueria dopo l’investimento sulla Rambla.

Degli altri undici responsabili, quattro sono stati arrestati, mentre cinque sono stati uccisi nel secondo attentato di Cambrils. I resti di altri due sono stati identificati sotto le macerie dell’edificio crollato nell’esplosione ad Alcanar, dove i terroristi stavano preparando esplosivi per compiere l’attentato.

Intanto, il bilancio delle vittime degli attentati in Catalogna sale a 15 morti. Joaquim Forn ha confermato che l’ultima vittima è l’uomo trovato morto accoltellato in una macchina. Si ipotizza che il veicolo sia stato rubato da Younes Abouyaaqoub, che dopo aver ucciso il proprietario ha forzato un posto di blocco, abbandonando l’auto con il cadavere all’interno.

Nel precedente bilancio, tredici persone sono morte per l’attacco sulla Rambla, mentre una donna è rimasta uccisa poche ore dopo a Cambrils.

Fonte: The Post Internazionale

domenica 20 agosto 2017

Migliaia di persone hanno manifestato contro l’estrema destra a Boston

La tensione nel paese resta alta dopo le violenze a Charlottesville, in Virginia, della settimana scorsa, in cui una donna è rimasta uccisa, investita da un manifestante suprematista


Decine di migliaia di manifestanti anti-razzisti hanno marciato per opporsi alla manifestazione “Free Speech” di Boston, organizzata dall’estrema destra.

La tensione nel paese resta alta dopo le violenze a Charlottesville, in Virginia, della settimana scorsa, in cui una donna è rimasta uccisa, investita da un manifestante suprematista.

Il Boston Herald ha riferito che hanno preso parte alla marcia almeno 30mila persone.

Centinaia di poliziotti sono stati dispiegati per placare gli scontri che sono scoppiati più tardi tra alcuni poliziotti e i manifestanti. Sono state arrestate 33 persone.

I manifestanti anti-razzisti portavano con sé adesivi raffiguranti il volto della 32enne Heather Heyer, morta investita da un’auto a Charlottesville.

“È ora di fare qualcosa, siamo qui per unirci a coloro che resistono”, ha detto Katie Zipps.

La folla cantava: “Nessun nazista, nessun KKK, nessun fascista negli Stati Uniti!”, mostrando slogan come “Smettetela di spacciare il vostro razzismo per patriottismo”.

Il sindaco di Boston Marty Walsh ha ringraziato i contro-manifestanti, che hanno marciato per “per condividere il messaggio dell’amore, non dell’odio” e che hanno “combattuto contro i suprematisti bianchi e i nazisti che stanno arrivando nella nostra città”, ha detto.

Gli organizzatori della marcia “Free Speech” hanno affermato che è stato un errore paragonare la manifestazione di Boston a quella violenta di Charlottesville.

“Noi sosteniamo che ogni individuo ha diritto alla propria libertà di parola e difendiamo tale diritto umano fondamentale, non offriremo la nostra piattaforma al razzismo o al fanatismo”, ha scritto il gruppo su una pagina Facebook dedicata all’evento. “Denunziamo la politica della supremazia e della violenza”.

Alcuni degli speaker della marcia sono associati all’estrema destra.

Fonte: The Post Internazionale

Tre persone sono state espulse dall’Italia per motivi di sicurezza

Dall'inizio del 2017 il ministero dell'Interno ha già espulso 70 persone per motivi di pericolosità sociale

Credit: Corpo di polizia penitenziaria

Due cittadini marocchini e un cittadino siriano sono stati espulsi dal territorio nazionale per motivi di pericolosità sociale. A riferirlo è stato lo stesso ministero degli Interni, che nota come siano ormai 202 i cittadini stranieri riaccompagnati nel proprio paese dal 2015 a oggi.

Il primo dei rimpatriati è un uomo di 38 anni che era detenuto per reati comuni ed era stato denunciato dal proprio compagno di cella perché, a causa della sua visione integralista islamica, gli imponeva rigide regole che impedivano una civile convivenza.

La pericolosità dell’uomo, di cittadinanza marocchina, era stata classificata come di livello “Medio”, nell’ambito del programma di monitoraggio del Dipartimento di amministrazione penitenziaria.

Nell’aprile 2017, il livello di allerta intorno alle attività del detenuto era salito a “Alto”, quando il 38enne aveva esultato alla notizia della strage terroristica avvenuta a Stoccolma e che ucciso quattro persone, ferendone altre quindici.

Il secondo espulso è un altro cittadino marocchino di 31 anni, che nell’aprile 2016 si era presentato alla prefettura di Alessandria, proclamandosi seguace del sedicente Stato Islamico. L’uomo era stato segnalato alle autorità sanitarie per “turbe psichiche”.

Il 31 enne era stato inoltre fermato più volte dalle autorità per furti e altri reati contro il patrimonio. L’uomo, residente nella provincia di Alessandria, era stato inoltre arrestato il 4 luglio scorso per aver rubato un minibus della società di trasporto pubblico della città di Tortona e con il mezzo aveva percorso oltre 150 chilometri.

Così, subito dopo la scarcerazione per il furto del minibus, il cittadino marocchino è stato accompagnato in un Centro di permanenza per i rimpatri da cui è stato successivamente espulso.

Il terzo rimpatriato è un cittadino siriano che era stato arrestato nel 2015 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e che era stato sottoposto a obbligo di dimora presso la sede della cooperativa “Stella del Sud” di Brognaturo, in provincia di Vibo Valentia, in Calabria.

L’uomo aveva commentato positivamente l’attentato avvenuto a Manchester il 22 maggio 2017 e che ha causato la morte di 22 persone e il ferimento di altre 59. Inoltre, aveva anche tentato di convertire all’Islam un’operatrice del centro in cui aveva l’obbligo di risiedere.

Nel 2011, l’uomo aveva già ricevuto due decreti di espulsione, riuscendo ogni volta a evitare di essere rimpatriato.

Fonte: The Post Internazionale

Qual era il piano originale degli attentatori di Barcellona

Secondo le autorità spagnole, i due attacchi che hanno colpito la Catalogna, causando almeno 14 morti e 130 feriti, sono stati solo il piano B del gruppo terroristico operante nella penisola iberica

Credit: Reuters

Alle 23:37 di mercoledì 16 agosto, in una palazzina di Montecarlo de Alcanar Platja, nel comune di Montsià, a 200 chilometri da Barcellona, è avvenuta un’esplosione in cui sono morti due uomini e altre sette persone sono rimaste ferite.

Inizialmente le autorità spagnole non avevano riconosciuto l’accaduto come parte di un più ampio quadro che coinvolgeva il terrorismo internazionale. Soltanto in seguito all’attacco avvenuto sulle Ramblas di Barcellona la polizia catalana ha confermato un collegamento tra i due fatti.

Infatti, una volta perquisita la palazzina, vi sono state ritrovate almeno un centinaio di bombole di gas. Inoltre, nella cantina di quello che è stato riconosciuto come un covo terroristico, sono state rintracciate anche prove della presenza di un elemento chimico esplosivo, il TTAP, la cosiddetta “madre di Satana”, già utilizzato in altri attentati come quelli di Parigi, Manchester e Bruxelles.

Il secondo cadavere presente nella palazzina è stato ritrovato soltanto nella tarda serata di venerdì 18 agosto e potrebbe appartenere all’imam della città di Ripoll, Abdel Baki Essati, la cui abitazione è stata perquisita alla prime ore del mattino di sabato 19 agosto per raccogliere tracce di DNA proprio per confermare l’identità del corpo ritrovato.

Ma come mai tante bombole e tanto esplosivo? Secondo i media spagnoli, l’attentato con il furgone FIAT Toledo che ha travolto decine di persone a Barcellona, uccidendo anche tre italiani, è stato solo il piano B della cellula attiva in Catalogna.

I terroristi responsabili degli attacchi in Spagna stavano infatti progettando un altro tipo di attentato, che se eseguito nelle modalità ipotizzate dalle forze di sicurezza iberiche, avrebbe causato centinaia di vittime.

Josep Lluis Trapero, il capo della polizia autonoma catalana, ha detto infatti che l’ipotesi delle autorità è che i terroristi da tempo stessero preparando diversi attacchi prima che la loro base di Montecarlo de Alcanar Platja venisse distrutta.

Il ritrovamento delle bombole di gas butano all’interno della palazzina esplosa mercoledì 16 agosto è infatti un indizio della volontà compiere uno o più attentati dinamitardi se non di aggiungere una componente esplosiva all’attacco eseguito con i furgoni lanciati sulla folla.

“A causa dell’esplosione di Alcanar, l’attacco a Barcellona e quello a Cambrils sono stati eseguiti in maniera molto più rudimentale di quanto originariamente previsto”, ha detto Trapero. L’ipotesi della polizia trova conferme a fronte del ritrovamento di un secondo furgone, noleggiato dal medesimo gruppo responsabile degli attacchi avvenuti in Catalogna.

Intorno alle 18:30 del 17 agosto infatti, la polizia ha ritrovato un camioncino nella città di Vic, a 80 chilometri a nord di Barcellona. Secondo le autorità però, i terroristi cercavano un furgone più grande di quelli noleggiati.

Mercoledì 16 agosto, poche ore prima dell’esplosione nel covo, i due ricercati Mohamed Hychami e Youness Abouyaaqoub hanno infatti chiesto all’autonoleggio di Santa Perpetua de Mogoda di prendere a noleggio un furgone di grandi dimensioni. I dipendenti dell’azienda hanno però rifiutato di consegnare un mezzo pesante a due ragazzi tanto giovani, che alla fine hanno scelto due Fiat Toledo.

Uno sarà ritrovato appunto parcheggiato a Vic, l’altro, secondo le autorità iberiche, sarà invece quello utilizzato da Abouyaaqoub per uccidere decine di persone sulle Ramblas di Barcellona.

Se caricato con bombole di gas innescate con l’esplosivo TTAP, un camion avrebbe causato un’esplosione che avrebbe potuto uccidere centinaia di persone. Secondo le autorità, il quantitativo di esplosivo nella disponibilità del gruppo era sufficiente per armare ben tre veicoli.

La distruzione del covo di Montecarlo de Alcanar Platja deve aver fatto cambiare i piani degli autori degli attentati, che hanno così optato per una diversa modalità di attacco.

Questo metodo corrisponde infatti ai consigli forniti dal sedicente Stato Islamico, secondo cui per compiere un attentato non è necessario preparare bombe o sparare sulla folla ma basta noleggiare autocarri o altri veicoli di grandi dimensioni per investire le vittime in luoghi pubblici affollati.

Un video propagandistico del 2014 prodotto dal sedicente Stato islamico incoraggiava per esempio i simpatizzanti francesi del gruppo a utilizzare automobili per uccidere civili, agenti di polizia e soldati che pattugliano le strade.

A questo punto allora il gruppo decide di colpire con i veicoli a disposizione luoghi affollati, anche se non è chiaro perché uno dei due mezzi noleggiati sia stato lasciato nella città di Vic.

Così, intorno alle ore 17 di giovedì 17 agosto, un FIAT Toledo bianco, guidato da un appartenente alla cellula terroristica, travolge la folla sulle Ramblas di Barcellona dopo aver percorso almeno 530 metri a una velocità media di 80 chilometri orari, causando almeno 13 morti, di cui tre italiani, e 130 feriti.

Altri cinque terroristi invece, a bordo di un’Audi A3 nera, all’una e 10 della notte tra il 17 e il 18 agosto, si lanciano contro la folla sul lungomare di Cambrils, a 120 chilometri a sud di Barcelona. L’auto si ribalta durante la corsa e gli uomini cercano di fuggire.

Gli attentatori indossano delle finte cinture esplosive e nell’auto hanno un’ascia e diversi coltelli e vengono fermati dall’intervento di alcuni poliziotti presenti al di fuori del locale circolo nautico.

Ne segue così un confitto a fuoco durante il quale gli agenti uccidono i quattro attentatori e ferendone un quinto, morto successivamente in ospedale. Nell’attacco morirà poi anche una donna e sette persone, tra cui un agente di polizia, resteranno ferite.

Così, dei finora quattordici accusati di far parte della cellula che ha operato in Spagna, cinque sono stati già uccisi dalla polizia nella sparatoria di Cambrils e due sono morti nell’esplosione avvenuta nel covo di Montecarlo de Alcanar Platja, durante la preparazione degli ordigni. Quattro persone sono invece già state arrestate e tre sono attualmente ancora ricercate.

Nonostante i latitanti ancora in fuga, secondo il ministro dell’Interno spagnolo, Juan Ignacio Zoido, la cellula è stata completamente smantellata.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 18 agosto 2017

Attentato a Barcellona: le cose che sappiamo con certezza

Un furgone ha investito la folla: ci sono almeno 13 morti e più di 100 feriti, la polizia ha arrestato due persone ma si cerca ancora l'autista

(AP Photo/Manu Fernandez)

  • Poco dopo le 17 un furgone bianco probabilmente a noleggio ha investito la folla sulla Rambla, la via più famosa e turistica di Barcellona, vicino a Plaza Cataluña.
  • La polizia catalana finora ha confermato 13 morti e più di 100 feriti, di cui almeno 15 gravi. L’attacco è trattato dalle autorità come un attentato terroristico.
  • Lo Stato Islamico (o ISIS) ha rivendicato l’attentato a Barcellona tramite un comunicato diffuso dall’agenzia Amaq.
  • Dopo l’attentato, la persona che guidava il furgone, non ancora ufficialmente identificata, è scappata a piedi. I giornali spagnoli hanno inizialmente scritto che c’era una persona trincerata in un bar non lontano dalla zona dell’attacco, ma la polizia ha smentito la cosa.
  • La polizia ha detto di aver arrestato due persone, ma che nessuna delle due è il conducente del furgone. Le due persone, una nata a Melilla e l’altra di origini marocchine, sono state arrestate in due città poco distanti da Barcellona.
  • Il cittadino marocchino si chiama Driss Oukabir, vive a Girona, in Spagna, ed era arrivato domenica 13 agosto dal Marocco. Oukabir è stato arrestato a Ripoll. Della seconda persona, quella di Melilla, si sa solo che è stata arrestata ad Alcanar.
  • Dopo l’attentato una Ford Focus ha forzato un posto di blocco su una strada per portava fuori da Barcellona: ha investito due agenti ed è scappata. La polizia ha detto che il conducente è poi “stato localizzato” a Sant Just Desvern: è morto, ma non si capisce se perché colpito dalla polizia. Non è confermato comunque che questa persona c’entri con l’attentato.
  • Nella città di Vic, circa 70 chilometri a nord di Barcellona, la polizia ha trovato un secondo furgone bianco che potrebbe essere stato impiegato nell’attacco. Non è chiaro però come, e nemmeno perché sia stato trovato così lontano dal luogo dell’attentato.
  • La polizia ha detto che un’esplosione avvenuta ieri notte in un’abitazione di Alcanar, a sud di Tarragona, è legata all’attentato, ma non ha spiegato in che modo. Nell’esplosione, una persona è morta.
  • Nelle prime ore di venerdì la polizia ha ucciso cinque presunti terroristi a Cambrils, a circa 120 chilometri da Barcellona. Secondo la polizia, le cinque persone avevano guidato una macchina contro i pedoni sul lungomare di Cambrils e indossavano quelle che sembravano essere delle cinture esplosive. Sette persone sono state ferite dai terroristi, tra cui un poliziotto; due in modo grave. 

Fonte: Il Post

giovedì 17 agosto 2017

L’Austria invia 70 militari al confine con il Brennero per i controlli sull’immigrazione

I soldati saranno utilizzati per coadiuvare le forze di polizia, ma per il ministero dell'Interno italiano è una “misura ingiustificata”


Il comandante militare territoriale del Tirolo, Herbert Bauer, ha annunciato in una conferenza stampa che l’Austria sta inviando 70 militari al confine del Brennero per “aiutare la polizia nei controlli, anche sull’immigrazione”.

“Ciò non significa che al Brennero saranno messi in azione i carri armati”, ha spiegato il capo della polizia locale Helmut Tomac.

Rispetto ai toni delle ultime settimane, durante le quali si era ipotizzato l’utilizzo dei panzer per azioni repressive alla frontiera italo-austriaca, l’Austria ha deciso di agire in maniera più leggera, annunciando l’invio dei militari per coadiuvare le forze di polizia. Ma per il ministero dell’Interno italiano questa decisione è una “misura ingiustificata”.

Lo stesso ministro Marco Minniti ha spiegato che la situazione al confine è assolutamente tranquilla.

“Gli ingressi alla frontiera italo-austriaca sono in calo, complice la diminuzione degli sbarchi e i maggiori controlli. Sono stati 4.463 gli immigrati irregolari fermati dalla polizia tirolese fino ai primi di agosto, nel 2016 erano 7.749”, ha spiegato Minniti in conferenza stampa.

Nei primi sette mesi del 2017, alla frontiera italo-austriaca è stato inibito l’ingresso sul territorio nazionale a 1.200 cittadini stranieri, che dimostrano come i maggiori movimenti migratori siano dall’Austria verso l’Italia.

Per questo motivo, secondo La Stampa, Minniti avrebbe chiesto al Dipartimento della Polizia di Stato di fare un passo verso i propri omologhi austriaci, perché iniziative “unilaterali” come queste “rischiano di pregiudicare il positivo lavoro di cooperazione che quotidianamente viene svolto”.

Il Viminale, inoltre, sottolinea con dati come l’Austria a tutt’oggi non abbia accolto neanche un richiedente asilo, quando il primo ministro Wolfgang Sobotka, a marzo 2017, aveva annunciato l’impegno del governo di Vienna ad accettarne da Grecia e Italia.

Inoltre, secondo i dati diffusi dal Viminale, al 10 agosto i richiedenti asilo ricollocati sono 8.129, di cui 759 minori. Il paese che ne ha accolti di più è la Germania con 3.215, davanti a Norvegia (816), Svizzera (751), Paesi Bassi (714), Finlandia (707), Svezia (513), Francia (330), Portogallo (302), Belgio (259) e Spagna (168).

Fonte: The Post Internazionale

61 sospetti piromani sono stati arrestati in Portogallo

Il bilancio delle vittime degli incendi nel 2017 è stato il più grave dell'ultimo decennio. Oltre 141mila ettari di terreno sono andati distrutti e almeno 64 persone sono morte a causa delle fiamme divampate in tutto il paese


Mercoledì 16 agosto, la polizia portoghese ha dichiarato di aver arrestato 61 sospetti piromani dall’inizio dell’anno. Gli incendi nel paese iberico sono in aumento e le cifre mostrano che il bilancio delle vittime nel 2017 è stato il più grave dal 2003.

Secondo i funzionari della protezione civile locale, gli incendi di quest’anno, in Portogallo, oltre ad aver ucciso più di 60 persone e ad averne ferito centinaia, hanno distrutto 141mila ettari di boschi e terreni.

Un risultato tre volte superiore alla media dell’ultimo decennio. “Le eccezionali condizioni di calore e siccità, accompagnate da forti venti, hanno contribuito alla propagazione delle fiamme”, ha detto all’agenzia di stampa statunitense Associated Press, Rui Esteves, a capo della protezione civile portoghese.

I vigili del fuoco hanno dovuto affrontare più di 10mila incendi nel solo 2017, duemila e cinquecento in più rispetto allo stesso periodo del 2016.

Anche se non è stato ancora raggiunto il record di 426mila ettari distrutti nel 2003, gli incendi del 2017 hanno causato più vittime.

Le fiamme divampate a metà giugno vicino Pedrogao Grande, nel centro del paese, hanno ucciso almeno 64 persone e ne hanno ferite oltre 250. Alcuni delle vittime sono state sorprese dall’incendio mentre si trovavano nelle proprie auto e non hanno potuto fuggire dalle fiamme.

Un’altra ondata di incendi tra luglio e agosto ha ferito almeno 74 persone, sei delle quali in modo grave, costringendo i servizi di emergenza del Portogallo a chiedere l’aiuto della comunità internazionale.

Al momento quasi 700 vigili del fuoco, 200 mezzi di soccorso e una dozzina di Canadair stanno cercando di spegnere due grandi incendi che bruciano nelle regioni centrali di Santarem e Castelo Branco.

Fonte: The Post Internazionale

La Spagna ha salvato 600 migranti in 24 ore

Secondo l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, nel 2017 la Spagna potrebbe superare la Grecia per numero di arrivi via mare

Reuters

La guardia costiera spagnola dice di aver salvato 600 migranti provenienti dal Marocco in un periodo di tempo di 24 ore.

I migranti salvati erano su 15 imbarcazioni inclusi pedalò e moto d’acqua. Tra le persone tratte in salvo, 35 bambini e un neonato.

Secondo l’Onu, dall’inizio del 2017 a oggi, in Spagna sono arrivate più di 9mila persone: il triplo di quelle giunte lo scorso anno.

Si ritiene che oltre 120 persone siano annegate tentando di attraversare il mare. L’Organizzazione internazionale delle migrazioni dell’Onu ritiene che il numero di migranti che giungono via mare in Spagna potrebbe superare quello della Grecia.

La maggior parte arriva attraversando i 12 chilometri dello Stretto di Gibilterra e molti di questi migranti scelgono imbarcazioni a basso costo, senza motori, che permettono di evitare il circuito dei trafficanti di persone e le loro richieste economiche.

Come ha dichiarato un corrispondente della Bbc presso la città spagnola di Tarifa, alcuni migranti usano i social media per contattare le autorità spagnole e informarle della loro posizione una volta che sono in acque territoriali.

Tuttavia, un numero molto più grande, quasi 100mila persone, ha attraversato la Libia per giungere in Italia dall’inizio dell’anno. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, 2.242 persone sono morte su quella rotta.

Nel mese di giugno, circa 5mila persone sono state salvate in un solo giorno nel Mediterraneo al largo della Libia, ha detto la guardia costiera italiana.

Fonte: The Post Internazionale

mercoledì 16 agosto 2017

Il presidente della Sierra Leone ha chiesto aiuto alla comunità internazionale per la frana avvenuta nella capitale

Lunedì 14 agosto, il disastro provocato dalle forti piogge aveva causato la morte di centinaia di persone nella città di Freetown e in diverse altre aree del paese, uno dei più poveri del continente 

Credit: Reuters

Si è aggravato il bilancio delle vittime della frana di fango avvenuta a Freetown, capitale della Sierra Leone. I morti sono almeno 400, di cui oltre un centinaio sono minori. A riferirlo sono fonti ufficiali del governo. Le autorità intanto stanno continuando a prestare soccorso ai feriti tra le macerie.

Ernest Bai Koroma presidente della Sierra Leone ha quindi chiesto alla comunità internazionale di aiutare il proprio paese ad affrontare l’alluvione causata dalle forti piogge intervenute nei giorni scorsi e che hanno causato almeno 400 vittime e oltre 600 dispersi.

“Siamo stati sopraffatti dal disastro”, ha detto il presidente Koroma. “La Sierra Leone ha urgente bisogno di aiuto”. “Abbiamo già recuperato 400 corpi ma le previsioni ci fanno temere almeno 500 vittime”, ha aggiunto il presidente.

Diversi governi tra cui quello di Israele, del Regno Unito e la Commissione europea hanno già dichiarato il loro pieno sostegno al paese africano.

Lunedì 14 agosto, una frana provocata dalle forti piogge aveva causato la morte di centinaia di persone nella città di Freetown e in diverse altre aree del paese, uno dei più poveri del continente.

La situazione peggiore però è proprio quella della capitale, dove le abbondanti precipitazioni hanno fatto crollare un’intera collina della città. La frana di fango ha così travolto le abitazioni, abusive, costruite sulle sue pendici.

Le inondazioni non sono insolite in Sierra Leone, dove spesso le abitazioni costruite in economia vengono spazzate via dalle forti precipitazioni. Nel 2015, a Freetown sono morte dieci persone per alcune frane causate da un’alluvione.

Fonte: The Post Internazionale