domenica 31 luglio 2016

Due sparatorie in Texas, diverse vittime

Una donna di 30 anni è rimasta uccisa. La polizia ha avvertito: "State lontani dal centro"

Il luogo di Austin, in Texas, dove c'è stata una delle due sparatorie. Credit: Doy News

Due diverse sparatorie ad Austin, in Texas, hanno provocato la morte di almeno una persona e diversi feriti. Le autorità hanno immediatamente messo in sicurezza entrambe le aree.

La prima vittima accertata è una donna di 30 anni, secondo quanto riportato. Un tweet della polizia locale ha avvertito di "una sparatoria in città, diverse vittime. State lontani dal centro della città".

Non è stato ancora chiarito il numero degli aggressori e nemmeno in quale area specifica della città siano avvenute entrambe le sparatorie.

Un'emittente locale, KXAN, ha riferito che diversi paramedici accorsi sui luoghi delle sparatorie hanno visto diverse vittime, e che i soccorritori si stanno dirigendo verso 208 East 6th Street.

Tre persone sono state portate al centro medico dell'università di Brackenridge.

Fonte: The Post Internazionale

È caduto il governo in Tunisia

Il parlamento tunisino ha approvato la mozione di sfiducia verso il premier Habib Essid, fortemente criticato per non aver saputo fare fronte alla crisi economica

Il presidente Habib Essid. Credit: Reuters

Il 30 luglio il parlamento tunisino ha votato a maggioranza la sfiducia verso il primo ministro Habib Essid, portando così alla caduta del governo. In tutto 188 parlamentari hanno votato contro l'esecutivo.

Essid, al governo da meno di due anni, ha ricevuto numerose critiche da parte dei suoi oppositori per non essere stato in grado di portare avanti le riforme in campo economico che erano nel programma di governo.

Nel giugno 2016 il presidente tunisino Beji Caid Essebsi aveva proposto un governo di unità nazionale per superare i problemi in materia economica che stanno colpendo il paese in questo periodo.

Oggi in Tunisia la disoccupazione ha toccato il tasso più dalla rivoluzione del 2011 che portò alla caduta del presidente Zine al-Abidine Ben Ali. Una disoccupazione molto diffusa soprattutto tra i giovani, dal momento che uno su tre, nel paese, non ha lavoro.

La Tunisia è stato il primo paese a far cadere il proprio governo nel 2011 nel corso dell'ondata di proteste nota come Primavera araba, nonché l'unico dei paesi ad avervi partecipato che oggi ha una democrazia parlamentare funzionante.

Fonte: The Post Internazionale

sabato 30 luglio 2016

È morta Anna Marchesini

Aveva 62 anni ed era una nota attrice italiana, conosciuta soprattutto per aver fatto parte del "Trio" con Solenghi e Lopez: soffriva da anni di artrite reumatoide

Anna Marchesini nel 2008 (Alessandra di Meo/ANSA)

Anna Marchesini, famosa attrice di teatro italiana, è morta oggi all’età di 62 anni. La notizia è stata comunicata dal fratello Gianni questa mattina su Facebook. Marchesini, che era diventata famosa negli anni Ottanta insieme a Tullio Solenghi e Massimo Lopez, con i quali formava il gruppo comico conosciuto come “Trio”, era malata da molto tempo di artrite reumatoide, una malattia che colpisce le articolazioni, e nel 2014 era apparsa in televisione per l’ultima volta, ospite del programma di Fabio Fazio “Che tempo che fa”, su Raitre.



Marchesini si diplomò all’accademia d’Arte drammatica Silvio d’Amico di Roma nel 1979, ma aveva debuttato in teatro ancora prima, nel 1976, quando era ancora un’allieva. Oltre al teatro, nei primi anni Ottanta Marchesini iniziò anche a lavorare come doppiatrice di cartoni animati, e negli anni successivi anche di note serie televisive. Nel 1982 iniziò a lavorare con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, come autrice, attrice e regista, ottenendo un grande successo. Il Trio esordì in radio con lo spettacolo di Radio 2 Helzapoppin e negli anni successivi partecipò a diversi varietà televisivi, come Tastomatto, Domenica In e Fantastico. Nel 1986, nel 1987 e nel 1989 fecero anche parte del cast del Festival di Sanermo. Il Trio si sciolse nel 1994 e Marchesini continuò a lavorare per un breve periodo solo con Solenghi, per poi proseguire per conto suo la carriera teatrale. Continuò anche ad avere dei ruoli in diversi programmi televisivi della Rai, come Quelli che il calcio e La posta del cuore.





Marchesini si sposò nel 1991 con l’attore Paki Valente, e nel 1992 i due ebbero una figlia, Virginia. Nel 2006 Marchesini dovette annullare tutti i suoi impegni a causa di un attacco di artrite reumatoide, per cui si assentò dalla scene per molto tempo. Scrisse quattro libri: l’ultimo, Moscerine, in cui parlò della sua malattia, venne pubblicato nel 2013.

Fonte: Il Post

Attacchi informatici sulla campagna di Hillary Clinton

I russi avrebbero violato i sistemi del partito democratico per influenzare le presidenziali dell'8 novembre, ma non ci sono pericoli per la sicurezza nazionale

Il candidato presidenziale democratico. Credit: Carlos Barrio

Un network informatico usato nella campagna elettorale della candidata democratica Hillary Clinton è stato violato venerdì 29 luglio 2016.

Quest’ultimo attacco cibernetico ne segue altri due che hanno colpito il Comitato nazionale democratico e il comitato per la raccolta fondi del partito.

“Il nostro sistema informatico per la campagna è stato esaminato da esperti di cyber sicurezza che non hanno trovato prove che i nostri sistemi interni siano compromessi”, ha dichiarato il portavoce della campagna di Clinton, Nick Merrill.

Gli hacker hanno violato il programma di analisi per cinque giorni, ma non hanno avuto accesso a dati sensibili. Il dipartimento di Giustizia, tuttavia, sta verificando se gli attacchi cibernetici sul partito democratico rappresentino una minaccia per la sicurezza nazionale.

Il coinvolgimento del dipartimento potrebbe indicare che l’amministrazione americana sospetta ci sia uno stato dietro agli episodi. Infatti, i funzionari dell’intelligence americana ritengono che gli hacker siano russi. Inoltre, si pensa che la Russia abbia pianificato la diffusione di email del partito democratico per influenzare le elezioni presidenziali, che si terranno il prossimo 8 novembre. Tuttavia, il sistema email privato che Clinton utilizzava quando era segretario di Stato non è stato violato.

Nel frattempo, il candidato presidenziale repubblicano Donald Trump ha pubblicamente invitato i russi a diffondere le email di Clinton, richiesta cui i democratici hanno risposto dicendo che Trump invita gli stranieri a spiare gli americani sottovalutando il fatto che queste intrusioni minacciano la sicurezza nazionale.

L’attribuzione alla Russia delle violazioni informatiche potrebbe compromettere gli attuali sforzi del segretario di Stato John Kerry per ottenere la cooperazione di Mosca nella guerra al sedicente Stato islamico in Siria.

Funzionari americani sostengono che l’amministrazione Obama tema che il presidente russo Vladimir Putin possa reagire ad accuse pubbliche intensificando gli attacchi cibernetici su obiettivi americani e le manovre militari nel Mar Baltico e Mar Nero.

Fonte: The Post Internazionale

Bomba su un ospedale pediatrico in Siria

Un raid aereo ha colpito una struttura ospedaliera gestita da Save the Children, provocando la morte di due persone e il ferimento di altre tre

Una parte dell'ospedale pediatrico colpito da un raid aereo a Idlib, nel nordest della Siria. Credit: Save the Children

Venerdì 29 luglio, un attacco aereo ha colpito un ospedale pediatrico supportato da Save the Children nel nordovest della Siria, provocando la morte di persone e l'uccisione di altre tre.

Syria Relief, un'agenzia di aiuti umanitari che gestisce la struttura ha riferito che le persone rimaste uccise nel raid aereo erano parenti di alcuni pazienti ricoverati, mentre Save the Children ha precisato che la bomba ha colpito l'ingresso dell'ospedale nella provincia di Idlib.

Le immagini diffuse mostrano una parte dell'edificio sventrato, anche se non è chiaro chi abbia effettuato l'attacco. Save the Children ha inoltre sottolineato che l'ospedale colpito è il più grande nella zona.

L'Osservatorio siriano per i diritti umani, il gruppo di monitoraggio con sede nel Regno Unito ma che si serve di numerose fonti sul campo, ha riferito che anche una sede della protezione civile che sorge accanto alla struttura ospedaliera è stata danneggiata.

Fonte: The Post Internazionale

L'esercito turco ha ucciso 35 miliziani curdi

Gli uomini del Pkk avevano tentato una sortita in una base militare nel sudest del paese dove gli insorti combattono una sanguinosa battaglia contro Ankara

Un soldato turco in un carro armato a Diyarbakir, nel sudest della Turchia. Credit: Osman Orsal

L’esercito turco ha ucciso 35 miliziani curdi che avevano tentato una sortita in una base militare nella provincia sudorientale di Hakkari nelle prime ore del mattino di sabato 30 luglio 2016.

L’attacco notturno si è svolto qualche ora dopo alcuni scontri tra i soldati e i militanti del Pkk nel distretto di Cukurca, nel quale sono rimasti uccisi otto militari e feriti 25.

I miliziani hanno tentato l’assalto con tre diversi gruppi, ma sono stati individuati dalla ricognizione aerea. L’esercito ha allora lanciato un’operazione aerea che ha ucciso 23 di loro, mentre altri quattro sono morti in seguito all’intervento da terra.

Gli otto rimanenti erano rimasti uccisi negli scontri di Cukurca di venerdì.

L’esercito turco, il secondo per grandezza all’interno della Nato, si sta scontrando con gli insorti nella regione a maggioranza curda nel sudest del paese, mentre i suoi vertici sono in piena ristrutturazione dopo il tentativo di colpo di stato che si è consumato nella notte tra il 15 e il 16 luglio.

Giovedì, 99 colonnelli sono stati promossi al rango di generale o ammiraglio e circa 1.700 persone sono state congedate con disonore per il loro presunto ruolo nel golpe. Circa il 40 per cento dei generali e ammiragli delle forze armate turche è stato espulso in seguito alle purghe volute da Erdogan.

Nel sudest, le forze di Ankara hanno condotto frequenti raid aerei dopo che l’estate scorsa è collassata una tregua con il Pkk durata appena due anni e mezzo.

Migliaia di miliziani e centinaia di civili e soldati sono stati uccisi da allora. Alcune città curde sono adesso intrappolate nella peggior spirale di violenza dagli anni Novanta.

Oltre 40mila persone sono morte nel conflitto interno da quando il Pkk, considerato organizzazione terrorista da Turchia, Stati Uniti e Unione Europea, ha dato vita alla sua insurrezione nel 1984.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 29 luglio 2016

È morta Marta Marzotto

Aveva 85 anni ed è sempre stata considerata un'icona di eleganza


Il 29 luglio è morta all'età di 85 anni, presso la clinica La Madonnina di Milano, la stilista, ex modella e animatrice di numerosi salotti, Marta Marzotto.

Nata nel 1931 a Reggio Emilia, figlia di un casellante e di una mondina, crebbe presso la città lombarda di Mortara. Dopo aver lavorato come mondina prima e come sarta poi, conosce presso la sartoria Aguzzi di Milano il conte Umberto Marzotto, esponente della nota famiglia di industriali tessili, con cui inizia una relazione e si sposa nel 1954.

Dal loro matrimonio nacquero cinque figli. Dopo il divorzio, la Marzotto continuò a usare il cognome dell'ex marito.

Più avanti intraprese una relazione con il pittore Renato Guttuso, che la rappresentò in numerose sue opere.

Marta Marzotto è nota, oltre che per il suo lavoro di modella e stilista, come grande animatrice di numerosi salotti ed eventi mondani e per la sua eleganza che la ha resa un'icona di quest'ambito.

Fonte: The Post Internazionale

Erdogan vuole il controllo diretto di esercito e servizi segreti

La proposta sarebbe un'ulteriore contromisura in seguito al fallito golpe dello scorso 15 luglio


Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vuole che l'esercito e i servizi segreti siano posti sotto il suo diretto controllo come contromisura in seguito al tentativo di colpo di stato avvenuto in Turchia lo scorso 15 luglio.

La notizia è stata riportata in seguito alla riunione durata oltre cinque ore del Supremo consiglio militare turco - presieduto dal primo ministro Binali Yildirim -, svoltasi il 29 luglio, e dopo che oltre 1.700 militari che hanno preso parte al tentativo di colpo di stato sono stati rimossi dai propri incarichi.

Secondo quanto reso noto dal portavoce di Erdogan, Ibrahim Kalin, al momento sono stati approvati solo pochi cambi ai vertici delle forze armate, il cui capo è stato confermato nella figura del generale Hulusi Akar.

La Turchia ha accusato il leader islamico Fetullah Gulen - che si trova in esilio volontario negli Stati Uniti - di essere stato l'ideatore del tentativo di golpe, e per questa ragione molti personaggi pubblici considerati vicini a lui sono stati rimossi dai loro incarichi o messi sotto inchiesta.

Un parlamentare ha riferito all'agenzia Reuters che adesso Erdogan discuterà con i partiti di opposizione la possibilità di prendere sotto il proprio diretto controllo l'esercito e i servizi segreti come ulteriore contromisura a seguito del tentativo di colpo di stato.

Il ministro della Giustizia Bekiz Bogdaz, invece, ha chiesto ufficialmente agli Stati Uniti l'estradizione di Fetullah Gulen in quanto mente del golpe, ma Washington ha replicato di non essere intenzionata a farlo se non verranno fornite prove a riguardo. Gulen, dal canto suo, ha negato ogni coinvolgimento nei fatti del 15 luglio.

Fonte: The Post Internazionale

L'ultimo giorno della convention democratica

Hillary Clinton ha tenuto il suo discorso con cui ha accettato la nomination a candidata alla Casa Bianca dei democratici

di Iacopo Luzi

Hillary Clinton, Bill Clinton, Tim Kaine e la moglie Anne. Credit: Gary Cameron

Hilary Clinton ha accettato la nomina come candidato democratico per la presidenza degli Stati Uniti durante l'ultimo giorno della convention del suo partito a Filadelfia. E facendolo, è entrata nella storia diventando la prima donna a essere candidata alla Casa Bianca.

La quarta giornata della Convention Nazionale dei Democratici sembrava ovattata, come se tutti fossero in attesa di qualcosa. Nemmeno la voce della celebre cantante Kate Perry, chiamata a esibirsi sul palco, sembrava aver sortito qualche effetto.

In fondo, era chiaro fin dal primo pomeriggio: tutti aspettavano Hilary Clinton e nessun’altro.

Con più di 30 milioni di americani sintonizzati per ascoltare il discorso della candidata democratica, senza contare tutti quelli presenti sui social network, la tensione si poteva percepire nell’aria.

Probabilmente anche Hilary Clinton deve averla sentita, ma ciò non le ha permesso di tenere uno discorso che probabilmente ha legittimato la sua candidatura in maniera definitiva, conferendo un’unità d’intenti fra le fila del partito democratico.

“E’ il momento della resa dei conti”, ha dichiarato la Clinton che, attraverso un discorso concreto e senza mezzi termini, si è proposta come la candidata di tutti quanti gli americani. Una patriota pronta a battersi per chiunque, pronta a tutelare tutte le minoranze e pronta a trovare soluzioni per risolvere i problemi che affliggono gli Stati Uniti oggi, dalla violenza armata alla minaccia del terrorismo interno e internazionale. 

Eppure Hilary Clinton ha precisato come da sola non potrà fare nulla, e che solo uniti, insieme a lei, gli americani potranno essere più forti.

Al contrario di Trump, che si è da sempre eretto a paladino in grado di risolvere da solo tutto quanto, la Clinton ha ammesso che da soli nulla è possibile. “Solo se lavoriamo tutti insieme, possiamo innalzarci”, ha dichiarato la Clinton di fronte un Wells Fargo Center gremito che spesso ha interrotto l’ex segretario di Stato, intonando il suo nome più e più volte.

Hilary Clinton ha anche criticato aspramente Donald Trump, accusandolo di voler dividere gli americani, di fomentare l’odio e di non essere una persona affidabile né un candidato rispettabile, tanto da non essere in grado nemmeno di pagare le proprie tasse per intero.

In particolare, la Clinton ha affermato che non c’è alcun bisogno di rendere l’America grande di nuovo, riferendosi palesemente al leitmotiv trumpiano “Make America Great Again”, perché l’America è già grande di per sé. Deve solo impegnarsi per fronteggiare i problemi in maniera unita e trovare soluzioni concrete. 

Riferendosi a Trump: “Lui vuole farci avere paura del futuro e del prossimo. Beh, un grande presidente democratico, Franklin Delano Roosevelt, più di 80 anni fa ha già perfettamente risposto a Trump, in un tempo in cui le cose erano molto più pericolose. ‘L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa.’”

Hilary Clinton, introdotta dalla figlia Chelsea che ne ha decantato le lodi come madre e donna, ha voluto specificare come un futuro migliore per gli Stati Uniti sia possibile e che il progresso è a portata di mano. 

Non sono mancati anche alcuni picchi d’ironia, come quando Hilary Clinton ha esortato Trump ha produrre le cose in America, se proprio vuole fare l’America grande di nuovo. Chiaro riferimento al fatto che molte attività dell’imprenditore newyorkese realizzano i propri prodotti all’estero.

Attacco migliore: “Immaginatelo nello Studio Ovale mentre fronteggia una vera crisi. Un uomo che s’infuria per un tweet non può essere una persona a cui si possono affidare delle armi nucleari.”

In molti temevano che la Clinton non sarebbe andata oltre un discorso in cui dichiarava di essere la candidata giusta per la presidenza degli Stati Uniti, in quanto donna e, soprattutto, in quanto non Donald Trump. Al contrario, nei suoi 60 minuti di speech, la Clinton si è dimostrata estremamente pragmatica, proponendo idee e azioni concrete.

Ad esempio, riferendosi alla crisi economica che ha attanagliato gli States, “Wall Street, le corporazioni e i super-ricchi inizieranno a pagare le tasse che gli spettano.”

Probabilmente Hilary Clinton si è anche snaturata, andando al di là del suo rigore e della sua formalità, coinvolgendo il pubblico e proponendo uno stile inusuale, accattivante, persino aggressivo. Eppure ha sortito effetto. Un’occasione per dimostrare qualcosa di diverso, un vero e proprio reset del suo personaggio. Ma senza fingere di essere qualcun altro.

Certo, va detto, che la Clinton ha mancato d’intensità nel suo discorso e il miracolo non si è compiuto. Non è mai stata una grande speaker e anche stasera l’ha confermato. Eppure, attraverso la solidità e concretezza delle sue parole, potrebbe aver convinto molte persone a votare per lei.

Basti pensare ai dettagli che ha elencato, come quando ha parlato del problema delle armi in America: “Non sono qui per ripudiare il Secondo Emendamento. Non sono qui per portarvi via le vostre armi. Voglio soltanto evitare che qualcuno che non dovrebbe minimamente possederne una vi possa sparare.”

Degno di nota una frase riguardante la natura della sua candidatura: “Quando ogni barriera è caduta in America, è chiara qual è la via da seguire per tutti quanti. D’altronde, quando non esiste più un tetto, solo il cielo è il limite.”

La Convention si conclude con il discorso della Clinton che probabilmente vede la sua figura finalmente legittimata all’interno del partito. Dopo giorni di proteste e contestazioni da parte dei supporters di Bernie Sanders, finalmente la Clinton ha ottenuto ciò che sperava: essere il simbolo unico del Partito Democratico.

Che poi lo sia diventato per davvero oppure no, questo è ancora tutto da vedere.

Fonte: The Post Internazionale

giovedì 28 luglio 2016

Le Monde e altre testate francesi non pubblicheranno più foto di terroristi

Il quotidiano d’oltralpe sostiene che tutti gli elementi della società dovranno essere coinvolti nella lotta al terrorismo, in particolare i media

Una copertina di Le Monde. Credit: Le Monde

Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato ieri 27 luglio un editoriale del direttore Jérôme Fenoglio in cui, tra le altre cose, il giornale annuncia la sua volontà di non pubblicare più immagini ritraenti responsabili di attacchi terroristici, per evitare ogni tipo di “glorificazione postuma”.

Dopo l'ultimo omicidio, quello di un anziano sacerdote in una chiesa vicino a Rouen da parte di due uomini che avevano giurato fedeltà allo Stato islamico, il quotidiano d’Oltralpe ha titolato il suo editoriale "Resistere alla strategia di odio", sostenendo che tutti gli elementi della società dovranno essere coinvolti nella lotta al terrorismo, in particolare i media.

Già in passato Le Monde aveva attuato strategie simboliche di contrasto del terrorismo attraverso scelte editoriali precise: inizialmente non pubblicando immagini provenienti da documenti di propaganda dell’Isis, e ora con la scelta di non offrire pubblicità ai volti dei terroristi. Secondo il direttore Fenoglio, “lo dobbiamo alla memoria di padre Jacques Hamel, assassinato nella sua chiesa”.

La stazione televisiva BFM-TV e il giornale cattolico La Croix hanno dichiarato di aver scelto la stessa linea di condotta. "Abbiamo preso la decisione di non mostrare più immagini dei terroristi fino a nuovo avviso", ha detto il direttore di BFM-TV Hervé Beroud.

La stessa cosa farà Radio Europe 1, ed è previsto che anche il canale televisivo France 24 faccia lo stesso.

Fonte: The Post Internazionale

Donald Trump ha invitato la Russia a rendere note le mail di Hillary Clinton

Il candidato repubblicano lo ha detto in relazione allo scandalo delle mail che la sua rivale non ha voluto consegnare all'FBI


A seguito della rivelazione da parte dell'intelligence statunitense secondo cui sarebbe stata la Russia a intercettare e diffondere diversi messaggi di posta elettronica scambiate tra membri dei Democratici americani, il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Donald Trump, ha invitato la Russia a trovare le 30mila mail che Hillary Clinton non ha consegnato al governo statunitense.

Tra il 2009 e il 2013 la candidata presidente degli Stati Uniti, Hillary Clinton, ha ricoperto il ruolo di segretario di Stato. Durante quel periodo, diversamente dalla prassi, non usò un indirizzo di posta elettronica governativo, ma personale, anche per gli affari concernenti il suo ruolo pubblico.

La prassi statunitense vuole che le autorità governative usino indirizzi ufficiali affinché l'FBI possa archiviare le mail usate in qualità di pubblici ufficiali e affinché la casella di posta elettronica governativa sia adeguatamente protetta, e per questa ragione l'agenzia di intelligence ha richiesto alla Clinton di consegnarle le mail in modo da poterle archiviare. Tuttavia, Hillary Clinton ne consegnò più di 30mila ma ne cancellò oltre 31mila, ritenendole "personali".

Il fatto, oltre a scatenare molte polemiche, ha dato inizio a un'indagine dell'FBI su come la Clinton abbia gestito le mail, se quelle cestinate contenevano informazioni importanti e se quelle ufficiali erano protette dalla dovuta sicurezza.

Donald Trump in più occasioni ha attaccato la Clinton sullo scandalo delle e-mail, e probabilmente questo attacco è stato il più duro oltre che il meno ortodosso, dal momento che ha invitato di fatto una potenza straniera, più volte protagonista di scontri diplomatici con gli Stati Uniti, a spiare la sua rivale.

Fonte: The Post Internazionale

Il secondo attentatore di Rouen è stato identificato

Si tratterebbe del 19enne francese Abdel-Malik Nabil Petitjean, un giovane noto alle autorità francesi per le sue simpatie per l'Islam radicale


La polizia francese ha identificato il secondo dei due attentatori che il 26 luglio hanno fatto irruzione in una chiesa a Rouen, prendendo in ostaggio i presenti e uccidendo il parroco di 84 anni.

Si tratterebbe Abdel-Malik Nabil Petitjean, un 19enne francese proveniente da una cittadina dell'est della Francia, vicino al confine con la Germania. Il giovane era stato inserito lo scorso giugno dalle autorità francesi tra le persone considerate radicalizzate e come tali a rischio, una lista che comprende oltre 10mila soggetti.

Il complice di Petitjean era già stato identificato come Adel Kermiche, una figura già nota alle autorità francesi a tal punto che era in libertà vigilata con un braccialetto elettronico. I due attentatori sono stati uccisi nel blitz delle teste di cuoio successivo alla presa di ostaggi.

L'attentato di Rouen è stato rivendicato dall'Isis.

Fonte: The Post Internazionale

martedì 26 luglio 2016

Attacco a chiesa francese, ucciso un ostaggio e i due assalitori

Il prete in ostaggio è stato ammazzato e gli assalitori sono stati uccisi dalla polizia

Il luogo dell'attacco. Credit: Twitter

Due uomini armati di coltelli hanno preso diverse persone in ostaggio in una chiesa di una città della Normandia, nel nord della Francia, secondo quanto ha riferito una fonte della polizia. Gli aggressori sono stati uccisi dalla polizia di Saint-Etienne-du-Rouvray. Uno degli ostaggi, il prete della chiesa, è stato ucciso mentre un altro è rimasto gravemente ferito.

La polizia ha bloccato le strade circostanti. Tra gli ostaggi vi erano il prete della chiesa, due suore e due fedeli.

Il presidente francese Francois Hollande e il ministro degli Interni francese Bernard Cazeneuve si sta recando sul posto.

Le unità anti-terrorismo hanno avviato un'inchiesta sul caso.

Secondo quanto riferisce il presidente Hollande, dietro l'attacco ci sarebbe il sedicente Stato islamico.

Fonte: The Post Internazionale

lunedì 25 luglio 2016

L’ISIS ha rivendicato l’attentato ad Ansbach

E la polizia bavarese ha trovato sul cellulare dell'attentatore un video in cui giura fedeltà ad Abu Bakr al Baghdadi: nell'attacco sono rimaste ferite 15 persone

Daniel Karmann/picture-alliance/dpa/AP Images

Domenica sera un uomo siriano di 27 anni ha ferito 15 persone – di cui quattro sono in condizioni critiche – in una “esplosione deliberata” fuori da un festival di musica ad Ansbach, una città della Baviera, in Germania. L’uomo, che in passato aveva tentato il suicidio e a cui lo scorso anno era stata negata la richiesta di asilo, è morto nell’esplosione, definita dal ministro degli Interni della Baviera, Joachim Herrmann, un attentato terroristico. Herrmann ha detto che nello zaino che conteneva la bomba c’erano anche degli oggetti metallici usati per la “lavorazione del legno” e che avrebbero potuto funzionare come dei proiettili e uccidere molte persone. Lunedì la polizia ha trovato su uno dei cellulari dell’attentatore un video in cui giura fedeltà ad Abu Bakr al Baghdadi, il capo dello Stato Islamico (o ISIS): poco dopo lo Stato Islamico ha rivendicato l’attacco tramite il suo canale Telegram di Amaq, l’agenzia di stampa non ufficiale del gruppo.

Herrmann ha detto che da una prima traduzione del video – girato in arabo – sembra che l’uomo annunci una sorta di attacco per “vendetta” contro la Germania. Ha aggiunto che a casa dell’uomo sono stati trovati due telefoni, diverse SIM e un laptop, all’interno dei quali c’erano altri “video islamisti” con contenuti di ispirazione salafita. Reuters ha scritto che la polizia ha trovato anche materiale sufficiente per costruire un’altra bomba. Stando alla ricostruzione fatta finora dalla polizia, l’attentatore aveva tentato di entrare nel posto dove si doveva tenere il festival: si era presentato all’ingresso verso le 22, ma non era stato fatto entrare. Dopo l’esplosione – che è avvenuta in un locale di nome Eugene – l’intera area è stata evacuata e il festival è stato cancellato.

Ansbach è una città di circa 40mila abitanti ed ospita anche una base militare statunitense. L’esplosione di Ansbach è successa due giorni dopo l’attacco a Monaco di Baviera, nel quale un uomo armato ha ucciso nove persone fuori da un centro commerciale, e sei giorni dopo l’attacco su un treno vicino a Würzburg, sempre in Baviera, nel quale sono rimaste ferite cinque persone.

Fonte: Il Post

domenica 24 luglio 2016

L’attentatore di Monaco progettava la strage da un anno

Secondo la polizia tedesca, David Ali Sonboly si era documentato sulla strage di Utøya e aveva visitato una città tedesca in cui nel 2009 un ragazzo uccise 15 persone

Il parcheggio del centro commerciale Olympia Einkaufszentrum (SVEN HOPPE/AFP/Getty Images)

La polizia tedesca ha diffuso nuovi dettagli sul ragazzo tedesco che ha compiuto la strage di Monaco di Baviera del 22 luglio, durante la quale sono state uccise 9 persone. La notizia più importante è che il ragazzo –– che la polizia ha identificato solo come David S. e che secondo i giornali tedeschi si chiamava David Ali Sonboly – stava programmando la sparatoria da circa un anno. Nel 2015 inoltre Sonboly inoltre era stato ricoverato per due mesi in una clinica psichiatrica, e da allora era in terapia. Thomas Steinkraus-Koch, portavoce del procuratore di Monaco, ha aggiunto che la procura non ha trovato prove di motivazioni politiche.

Sonboly aveva 18 anni ed era un ragazzo tedesco di origine iraniana. Venerdì ha ucciso nove persone e ne ha ferite 35 sparando contro la gente che si trovava nel centro commerciale Olympia, e poi si è suicidato. L’arma usata da Sonboly era una pistola Glock con il numero di serie cancellato: di recente la polizia ha scoperto che Sonboly – che non aveva il porto d’armi – l’aveva acquistata illegalmente su Internet. Robert Heimberger, capo della polizia criminale bavarese, ha aggiunto che l’anno scorso Sonboly era andato a vedere la cittadine di Winnenden, vicina a Stoccarda, dove il 11 marzo 2009 un 17enne di nome Tim Kretschmer uccise 15 persone e ne ferì 11 a colpi di pistola nella sua ex scuola, prima di suicidarsi. Durante la visita a Winnenden Sonboly scattò delle fotografie trovate dalla polizia.

Il giorno dopo l’attacco, perquisendo l’appartamento in cui Sonboly viveva con i genitori, la polizia aveva trovato articoli di giornali e un libro che mostrano l’interesse del ragazzo per i “mass shooting negli Stati Uniti e la strage di Utøya compiuta dal norvegese Anders Breivik. Il libro trovato dalla polizia si intitola Amok im Kopf: Warum Schüler töten, che significa “La follia omicida in testa: perché gli studenti uccidono”. La polizia ha dedotto che l’attacco sia stato programmato per il 22 luglio proprio perché era il quinto anniversario della strage di Utøya.

La procura di Monaco ha detto che le persone uccise e ferite da Sonboly, tra cui sette adolescenti e un uomo di 20 anni, non erano suoi conoscenti. Ha poi aggiunto che Sonboly giocava spesso a videogiochi in cui il giocatore deve sparare a una serie di nemici, tra cui Counter-Strike: Source. Non è stato trovato alcun legame invece tra Sonboly e lo Stato Islamico, come alcuni giornali avevano suggerito nelle prime ore dopo l’attacco. Come ha fatto notare la giornalista del New York Times ed esperta di terrorismo Rukmini Callimachi, diversi account di social network legati allo Stato Islamico hanno elogiato la strage di Monaco: ma questo non significa che il gruppo terroristico lo abbia rivendicato.

Fonte: Il Post

C'è stato un attentato suicida a Baghdad, almeno 21 vittime

L'attentatore si è fatto esplodere nei pressi di un checkpoint non lontano da un quartiere sciita della capitale irachena. L'attacco è stato rivendicato dall'Isis

Il luogo dell'attacco suicida nei pressi del quartiere a maggioranza sciita di Baghdad, nel nord dell'Iraq. Credit: Khalid al Mousily

Domenica 24 luglio, un attacco suicida a Baghdad, in Iraq, ha causato la morte di almeno 21 persone e il ferimento di altre 32. Lo hanno reso noto i funzionari iracheni, i quali hanno precisato che l'attentatore si è fatto esplodere nei pressi di un checkpoint nell'area nord di Baghdad.

L'attentato è stato rivendicato dall'Isis.

Un ufficiale di polizia citato dall'agenzia di stampa AP ha raccontato che l'uomo ha azionato il suo dispositivo facendosi saltare in aria vicino a uno degli ingressi del quartiere sciita di Khadimiya, uccidendo almeno otto civili e tre poliziotti. Il bilancio delle vittime è stato confermato anche dal personale medico locale.

Le forze di sicurezza e le aree pubbliche, soprattutto nei quartieri a maggioranza sciita, sono uno dei principali bersagli del sedicente Stato islamico, che controlla settori chiave nell'Iraq settentrionale e occidentale.

Fonte: The Post Intenazionale

Cosa è successo il 23 luglio a Kabul

Un riassunto di quello che è successo oggi nella capitale dell'Afghanistan, dove l'Isis ha rivendicato un duplice attentato costato la vita a oltre 80 persone

I momenti immediatamente successivi all'attacco suicida che ha colpito una manifestazione della minoranza sciita degli Hazara. Credit: Hedayatullah Amid

Almeno 80 persone sono rimaste uccise e diverse altre ferite dopo che un duplice attacco suicida ha colpito una manifestazione pacifica organizzata da un gruppo appartenente alla minoranza sciita degli Hazara a Kabul, in Afghanistan.

L'attentato è stato rivendicato dall'Isis tramite la sua agenzia di stampa, Amaq. Se effettivamente verificato, si tratterebbe del primo attacco compiuto da parte del sedicente Stato islamico a Kabul, il più grande verificatosi finora in Afghanistan.

Oltre 230 persone sono gravemente ferite, secondo quanto riferito da un portavoce del ministero della Salute Pubblica afghana, ma la cifra è destinata ad aumentare.

Il fatto più grave dell'attentato di oggi compiuto dall'Isis è che rischia di mettere in moto l'inizio di una lunga serie di scontri tra sunniti e sciiti, un conflitto etnico che l'Afghanistan era perlopiù riuscito a emarginare nel corso degli ultimi anni, diversamente da altri paesi, in primis Iraq, Siria e Pakistan, dove la violenza settaria ha prevalso e ha dominato la scena politica.

La divisione tra sunniti e sciiti, ampiamente dibattuta e di cui abbiamo spiegato le principali differenze in questo articolo d'approfondimento, è un importante strumento sul quale l'Isis fa leva per incrementare le tensioni interne e per destabilizzare i paesi verso i quali ambisce espandersi geopoliticamente.

Il popolo sciita degli Hazara, che costituisce circa il 9 per cento della popolazione totale in Afghanistan e rappresenta la terza minoranza più numerosa del paese, ha storicamente subito forti discriminazioni, specie al tempo dei Taliban. La lingua madre degli Hazara è il persiano.

Il corteo di manifestazione degli Hazara colpito oggi a Kabul dall'Isis marciava per protestare contro il piano del governo afghano per un'importante rete elettrica che sarebbe dovuta passare attraverso una provincia abitata dagli Hazara.

Nonostante il presidente afghano Ashraf Ghani avesse tentato di trovare una soluzione alla questione istituendo una commissione ad hoc, lo scorso giugno è stato approvato il progetto per una rete elettrica più piccola ma pur sempre nella stessa area geografica, motivo per cui il popolo Hazara è sceso in piazza nuovamente quest'oggi a Kabul.

L'attacco del 23 luglio rivendicato dall'Isis nella capitale afghana è un segnale importante delle mire espansionistiche dei miliziani jihadisti nel resto della nazione.

Il più recente attentato contro gli sciiti in Afghanistan risaliva al 2011, quando una duplice esplosione a Kabul e a Mazar-i Sharif causò la morte di 80 fedeli - la maggior parte dei quali appartenenti al gruppo etnico degli Hazara - riunitisi per commemorare il giorno sacro dell'Ashura.

Gli afghani Hazara sono fortemente discriminati e nel 2015 almeno sette di loro sono stati rapiti e decapitati da miliziani estremisti nella provincia di Zabul. Tra l'altro, una buona parte dei migranti afghani che intraprende il viaggio della speranza verso l'Europa appartiene al popolo Hazara, e molti di loro richiedono l'asilo perché perseguitati politicamente.

- CHI SONO SCIITI E SUNNITI

Fonte: The Post Internazionale

sabato 23 luglio 2016

Cosa sappiamo e cosa non sappiamo della sparatoria a Monaco

Dieci persone sono state uccise, uno dei quali è l'attentatore che si è tolto la vita da solo e almeno 16 sono i feriti della sparatoria del 22 luglio

Fiori nei pressi del centro commerciale Olympia di Monaco. Credit: Michael Dalder

Nel pomeriggio del 22 luglio dieci persone sono morte in una sparatoria nei pressi di un centro commerciale di Monaco di Baviera. Non sono chiari i motivi dell'attacco. Ecco tutto quello che sappiamo e che non sappiamo finora:

--- Quello che sappiamo:

- Dieci persone sono state uccise, uno dei quali è l'attentatore, Ali Sonboly, che si è tolto la vita da solo e almeno 16 sono i feriti della sparatoria in un centro commerciale nella capitale bavarese, di cui tre in maniera molto grave.

- tra le vittime ci sono anche dei bambini.

- il killer è stato identificato come un 18enne con doppia nazionalità tedesca e iraniana, nato e cresciuto in Germania.

- la polizia inizialmente ha definito la sparatoria come un sospetto attacco terroristico ma non ci sono conferme.

- è stata avviata una massiccia operazione di polizia, con l'ausilio delle unità anti-terrorismo.

- inizialmente la polizia stava dando la caccia a tre sospetti attentatori, poche ore più tardi però ha comunicato che l'attentatore con buona probabilità era da solo, e si era tolto la vita poco dopo aver ucciso 9 persone.

- i primi colpi sono stati sparati alle 17.52 (ora locale) contro un McDonald vicino al centro commerciale Olympia (OEZ) nella zona nord del quartiere Moosach.

- il corpo senza vita dell'attentatore si trovava a circa un chilometro dalla scena della sparatoria.

- un video diffuso in seguito sembra mostrare un uomo armato che si trova sul tetto del centro commerciale che urla: "Io sono tedesco!"

- l'uomo non era noto alla polizia e non risulta collegato alle reti del terrorismo internazionale.

- Angela Merkel riunirà il Consiglio di Sicurezza, composto da alcuni ministri, oggi a Berlino.

- i residenti sono stati avvertiti tramite un sistema di allarme via smartphone di evitare i luoghi pubblici, rimanere nelle loro case ove possibile, e accendere la TV e la radio.

- la stazione centrale di Monaco di Baviera è stata chiusa e il sistema di metropolitane e reti di autobus è stato interrotto inizialmente ma poi è tornato funzionante.

- gli ospedali in tutta Monaco di Baviera sono in allerta emergenza e agiscono in modalità " catastrofe".

- gli abitanti di Monaco hanno aperto le porte di casa propria, offrendo rifugio alle persone che si trovano in strada per Monaco. Sui social network è stato lanciato l’hashtag ‪#‎OffeneTür‬, ‪#‎apriteleporte‬. Anche le moschee di Monaco hanno deciso di aprire le porte per ospitare le persone che si trovano nella città.

--- Quello che non sappiamo:

- Nessuno ha finora rivendicato la responsabilità dell'attacco e non vi è alcuna indicazione finora circa il movente della sparatoria.

- non è noto se dietro l'attentato ci sia una matrice islamista, la polizia ha detto di non essere ancora in grado di accertarlo

- nessuno è stato finora arrestato.

- non è ancora chiaro se la sparatoria, descritta come uno "scatto fuorioso" dalla polizia, sia stata coordinata e pianificata in precedenza.

Fonte: The Post Internazionale

venerdì 22 luglio 2016

L'appello dei bambini siriani: invece dei Pokémon trovate e salvate noi

Le immagini sono state diffuse su Twitter dall'account ufficiale dell'organo di comunicazione delle forze rivoluzionarie siriane

Un bambino siriano con in mano un foglio con il disegno di un Pokémon.

Se nel resto del mondo l'ossessione per Pokémon Go sta dilagando ogni giorno che passa, e in alcuni casi sta perfino sfuggendo di mano, in un paese come la Siria dilaniato da cinque anni di guerra civile, i personaggi della saga animata sono stati impiegati per un altro scopo.

Nessuna applicazione scaricata su smartphone, ma un foglio da disegno su cui sono stati riprodotti Pikachu, Squirtle o altri, e in basso un messaggio in arabo molto chiaro che recita così: "Trovateci e venite a salvarci". 

A esibire quei fogli da disegno alcuni bambini siriani protagonisti della campagna di sensibilizzazione lanciata su Twitter dall'organo di comunicazione delle forze rivoluzionarie siriane (The Revolutionary Forces of Syria Media Office) attraverso l'hashtag #PokemonInSyria.

Più che un appello, questa iniziativa suona come una provocazione lanciata al fine di spostare l'attenzione sul conflitto siriano, che finora ha provocato almeno 450mila morti, e sulle condizioni di vita dei bambini costretti a vivere sotto la costante paura della morte.

Qui di seguito i tweet

"Siamo a Kafer Nbl, a Idlib, venite a salvarci!"





Fonte: The Post Internazionale

La strage di Nizza era stata pianificata in anticipo con cinque complici

Cinque presunti complici di Bouhlel sono stati arrestati dalla polizia francese. Decisive sono state le prove rinvenute sul cellulare e sul computer dell’uomo

Fiori lasciati sulla Promenade des Anglais in onore delle vittime della strage di Nizza. Credit: Reuters

La polizia francese ha arrestato quattro uomini e una donna tra i 22 e i 40 anni, con l’accusa di aver aiutato Mohamed Lahouaiej-Bouhlel a compiere la strage di Nizza.

Lo ha reso noto il pubblico ministero parigino François Molins in una conferenza stampa, tenutasi giovedì 21 luglio: “I cinque individui consegnati oggi alla giustizia sono stati arrestati e messi sotto custodia. Il loro coinvolgimento sembra essere stato decisivo per la preparazione dell’attacco”.

Nella città del sud della Francia, in occasione della festa nazionale francese del 14 luglio scorso, Bouhlel ha investito con un grosso camion bianco la folla che si era radunata sulla Promenade des Anglais per assistere ai fuochi d’artificio, causando la morte di 84 persone e più di 200 feriti. L’Isis aveva poi rivendicato l’attacco.

Secondo le indagini, Bouhlel non sarebbe un semplice squilibrato che ha deciso di agire da solo, ma avrebbe beneficiato del supporto logistico dei cinque sospettati. L’attacco è quindi stato il frutto di una pianificazione durata mesi.

Tre degli uomini arrestati, identificati come i franco-tunisini Ramzi A., Mohamed Oualid G., e il tunisino Chokri C., sono indagati come complici in “omicidio di gruppo con legami terroristici”. Un albanese di norme Artan e una donna franco-albanese identificata come Enkeldja sono sospettati di aver fornito a Bouhlel le armi che portava con sé nel camion.

Nessuno di questi nomi era conosciuto in precedenza dall’intelligence francese, se non per crimini minori.

La rete di complici è stata scoperta grazie alle prove presenti sul telefonino e sul computer di Bouhlel. Infatti, oltre a diversi messaggi dei mesi precedenti, fra cui uno nel quale esultava per gli attacchi del gennaio 2015 contro Charlie Hebdo, il tunisino che ha compiuto la strage di Nizza era in contatto con i complici anche immediatamente prima dell’attacco.

Intanto, in Francia continuano le polemiche dovute al fatto che le forze di polizia non erano presenti all’ingresso dell’area pedonale della Promenade al momento dell’attacco.

Il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve, al centro delle polemiche, ha quindi avviato un’indagine sulla sicurezza disposta sulla Promenade il 14 luglio scorso.

Fonte: The Post Internazionale

giovedì 21 luglio 2016

A Nizza la polizia ha sbagliato qualcosa?

Un'inchiesta di Liberation sostiene che l'ingresso alla Promenade des Anglais non fosse adeguatamente sorvegliato, come dice invece il governo


Dalla strage di Nizza di giovedì 14 luglio – quando un uomo ha investito la folla con un camion uccidendo 84 persone – e nonostante gli appelli del presidente francese François Hollande all’unità della nazione, ci sono forti contrasti tra governo e opposizione sulle misure di sicurezza in vigore quella sera, contrasti che sono stati alimentati anche da un’inchiesta pubblicata dal quotidiano Libération mercoledì 20 luglio, che sostiene che la Promenade des Anglais non fosse stata sufficientemente protetta dalla polizia nazionale e che il governo abbia mentito sulla collocazione degli agenti a sua disposizione quella sera.

Che cosa è successo, in breve
Intorno alle 22.30 di giovedì 14 luglio Mohamed Lahouaiej Bouhlel, un uomo di origini tunisine ma residente in Francia, ha investito con un camion centinaia di persone che stavano partecipando alle celebrazioni per l’anniversario della presa della Bastiglia, sulla Promenade des Anglais, la passeggiata sul lungomare della città che per l’occasione era stata in parte pedonalizzata. La passeggiata era stata chiusa al traffico all’altezza di Boulevard Gambetta (un viale che dal centro della città arriva perpendicolare alla Promenade) e lì era presente un blocco della polizia per deviare le auto. Il Bouhlel, dopo aver investito alcune persone nel tratto della Promenade des Anglais aperta al traffico, è riuscito a superare il blocco della polizia, procedendo poi per altri 500 metri circa, prima che la polizia riuscisse a fermarlo uccidendo il guidatore e unico passeggero. Il camion è andato avanti in tutto per circa due chilometri prima di fermarsi, procedendo a una velocità di circa 50 chilometri all’ora e guidando a zig zag per travolgere quante più persone possibile.

L’allerta via radio ai poliziotti presenti al blocco all’inizio di Boulevard Gambetta sulla presenza di un camion ad alta velocità sulla Promenade des Anglais che stava investendo delle persone è stata data da alcuni agenti della polizia municipale che non erano coinvolti direttamente nel servizio di sicurezza previsto per il 14 luglio e che si trovavano nella zona del Centre universitaire méditerranéen, circa 400 metri più indietro dell’inizio dell’area pedonale, sempre sulla Promenade des Anglais Il camion, al momento dell’allerta, aveva già investito diverse persone e quando gli agenti del blocco sono stati avvisati era già arrivato su di loro. Gli agenti del blocco non hanno dunque fatto in tempo a estrarre le loro armi e a sparare. I primi poliziotti che lo hanno fatto per primi sono quelli che si trovavano tra l’hotel Westminster e l’hotel Negresco, uno dei palazzi più conosciuti del lungomare, circa 200 metri dopo il posto di blocco della polizia. Dopo la sparatoria – anche Bouhlel ha risposto agli spari con una pistola che aveva con sé – il camion ha proseguito ancora per 300 metri, quando è stato raggiunto da altri poliziotti che hanno nuovamente sparato verso la cabina uccidendo il conducente.

Governo e opposizioni
Subito dopo l’attacco Christian Estrosi, vicesindaco di Nizza, presidente della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra e membro del partito di centrodestra Les Républicains ha chiesto come fosse possibile che «il camion è potuto entrare nella zona pedonale», e ha esplicitamente accusato il governo presieduto dal socialista Manuel Valls di non aver previsto delle misure di sicurezza sufficiente la sera dell’attentato e di aver mobilitato solo un piccolo numero di poliziotti della Polizia nazionale, quella che dipende dal ministero degli Interni.

Il governo sostiene invece che Estrosi e il sindaco di Nizza erano invece a conoscenza delle misure di sicurezza che erano state stabilite perché ogni decisione era stata presa in collaborazione tra comune e prefettura. Cinque giorni dopo la strage, all’Assemblea nazionale durante un dibattito sul prolungamento dello stato di emergenza, il primo ministro Manuel Valls ha categoricamente escluso qualsiasi falla nei servizi di sicurezza: «Non permetterò che si dica che ci sono state delle falle dove non ce ne sono state. Non potrò mai accettare le frasi vergognose di chi insinua che tutto questo si sarebbe potuto evitare, perché dire questo significa screditare le nostre forze di sicurezza che combattono ogni giorno e che ottengono dei risultati». Il giorno dopo, sempre nell’aula del parlamento, il primo ministro ha evitato di rispondere direttamente alla domanda di un deputato centrista che aveva messo in discussione la mancanza di polizia «con armi pesanti» all’ingresso della zona pedonale. Valls ha semplicemente ricordato che in base ai registri sul luogo erano presenti 85 agenti della Polizia nazionale alle 19, 89 alle 20, 92 alle 21 e 64 tra le 22 e le 23.

L’inchiesta di Libération
L’inchiesta di Libération è stata pubblicata mercoledì 20 luglio e dice che la presenza della polizia sulla Promenade des Anglais la sera del 14 luglio fosse in realtà molto più leggera di quanto dichiarato ufficialmente dal governo. Per sostenere questa tesi fa riferimento a molte testimonianze raccolte, alle fotografie scattate pochi minuti prima dell’irruzione del camion (una di queste è stata pubblicata in prima pagina) e a una fonte di polizia che ha potuto vedere le immagini della video-sorveglianza.


Libération riporta il comunicato stampa della prefettura del 16 luglio in cui si dice che in occasione dei festeggiamenti del 14 luglio l’incarico di sorvegliare il perimetro della zona e i suoi punti più sensibili era stata affidato «alle squadre della Polizia nazionale rafforzate dalle squadre della polizia municipale». E questo anche nel punto in cui il camion è entrato nella zona pedonale, «con un divieto di accesso messo in atto con il posizionamento di veicoli che bloccavano l’accesso alla strada. Il camion ha forzato il passaggio salendo sul marciapiede». Sabato 16 luglio, il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve, dopo un consiglio della Difesa, aveva ribadito questa versione: «La Polizia nazionale era presente e molto attiva sulla Promenade des Anglais». E ancora: «I veicoli della polizia rendevano impossibile l’ingresso sulla Promenade des Anglais».

All’angolo tra Boulevard Gambetta e Promenade des Anglais (dove cominciava la zona pedonale), dice Libération, c’erano però solo due agenti della polizia municipale, la strada era sbarrata con delle semplici barriere mobili e non c’era alcun agente della Polizia nazionale. Quando l’attentatore Mohamed Lahouaiej Bouhlel è salito sul marciapiede con il camion e ha cominciato a spostarsi verso la folla ha incontrato i primi uomini della Polizia nazionale solo al centro della zona pedonale, circa 370 metri più avanti, vicino all’hotel Westminster e già oltre la metà del tragitto che ha percorso in tutto e che si è concluso al Palais de la Méditerranée.


Il quotidiano scrive: «Contrariamente a quanto afferma il ministero dell’Interno, l’ingresso al perimetro pedonale della Promenade des Anglais non era protetto dalla Polizia nazionale, la sera del 14 luglio. Questa mancanza di trasparenza mina la fiducia nell’esecutivo». Libération sostiene insomma che nelle dichiarazioni successive all’attacco, il governo abbia enfatizzato o sia stato evasivo sulla presenza della Polizia nazionale nel luogo della strage mascherando la reale situazione.

Come ha risposto il ministro degli Interni all’inchiesta
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, nella notte di mercoledì, il ministro degli Interni ha pubblicato un comunicato stampa in cui ha denunciato «l’etica dei giornalisti che hanno firmato questi articoli» nei quali viene suggerito «che il prefetto delle Alpi Marittime, il ministro degli Interni e il primo ministro hanno cercato di distorcere la verità». Quello che Cazeneuve ha contestato non sono però le informazioni date da Libération. Lunedì 18 luglio Les Républicains hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta parlamentare e oggi, giovedì 21 luglio, il ministro degli Interni francese Bernard Cazeneuve ha chiesto alla direzione della Polizia nazionale di fare una «valutazione tecnica del dispositivo di sicurezza» che c’era a Nizza la sera del 14 luglio: «Questa indagine amministrativa stabilirà la realtà di questo dispositivo, visto che le controversie inutili proseguono».

Fonte: Il Post

22 corpi di migranti rinvenuti nel Mediterraneo

Delle 22 vittime trovate sul fondo di un gommone da Medici Senza Frontiere al largo della costa libica, 21 sono donne. Sono 209 le persone messe in salvo

Migranti su un gommone durante un'operazione di salvataggio della marina militare italiana. Credit: Reuters

I corpi esanimi di 21 donne e un uomo sono stati trovati su un gommone al largo del Mediterraneo, intorno alle 10 di stamattina giovedì 21 luglio.

L’Acquarius, una nave dell’organizzazione internazionale Medici Senza Frontiere (Msf) stava pattugliando il Mediterraneo centrale e soccorrendo due gommoni alla deriva, quando è avvenuto il tragico rinvenimento.

La maggior parte delle persone a bordo veniva da paesi dell’Africa occidentale, in particolare Nigeria e Guinea.

In totale, durante l’operazione, sono state salvate 209 persone, inclusi 50 bambini. Nonostante ciò, 22 migranti hanno perso la vita.

I membri di Msf che hanno trovato l’imbarcazione non troppo distante dalla costa libica sono stati testimoni di una scena agghiacciante: i corpi delle vittime sono stati infatti trovati sul fondo del gommone in una “piscina d’acqua e benzina”.

Jens Pagotto, capo della missione per le operazioni di ricerca e di soccorso di Msf, ha dichiarato che “non è ancora esattamente chiaro cosa sia successo, ma hanno sofferto una morte orribile. Sembra che le esalazioni derivanti da questo miscuglio di acqua e benzina abbia fatto perdere loro conoscenza”.

In totale, finora, nel 2016 sono arrivati 79.861 migranti in Italia via mare. Quasi 3mila invece sono morti o dispersi nel Mediterraneo, secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

Fonte: The Post Internazionale

La Turchia dichiara lo stato d'emergenza

Il presidente turco Erdoğan lo ha annunciato in diretta televisiva. Lo stato d’emergenza durerà tre mesi e conferirà poteri speciali al governo

Il presidente turco Erdoğan immediatamente dopo la conferenza stampa in cui ha annunciato lo stato d'emergenza. Credit: Umit Bektas

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato lo stato d’emergenza in tutto il paese per tre mesi.

La decisione arriva in seguito al tentativo di colpo di stato fallito della notte tra il 15 e il 16 luglio, ed è basata sull’articolo 120 della costituzione turca.

Secondo l’articolo 120, lo stato d’emergenza può essere dichiarato in alcune o in tutte le regioni della Turchia per un periodo non superiore ai sei mesi, in caso di diffusi atti di violenza volti alla destrutturazione dell’ordine democratico.

Questa misura permetterà al presidente e al governo di scavalcare il parlamento nella promulgazione di nuove leggi e di limitare o sopprimere i diritti e le libertà personali, se ritenuto necessario.

In pratica, potranno essere perseguiti tutti coloro che siano anche solo sospettati di aver simpatizzato per i golpisti, ignorando tutte le normali procedure giudiziarie e, in generale, le norme del diritto turco.

Parlando in diretta televisiva durante una conferenza stampa tenutasi immediatamente dopo la riunione del Consiglio di sicurezza nazionale turco, il presidente Erdoğan ha spiegato che “lo scopo dello stato d’emergenza è quello di intraprendere i passi necessari per eliminare tutte le minacce alla democrazia, allo stato di diritto, ai diritti e alla libertà dei cittadini del nostro paese in maniera efficace e veloce”, aggiungendo che “non c’è nulla di cui preoccuparsi”.

In realtà, la maggior parte degli osservatori internazionali teme che lo stato d’emergenza possa essere utilizzato dal leader del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) per continuare le purghe contro gli oppositori politici e tenere in carcere le decine di migliaia di persone già arrestate dopo il tentato golpe.

Infatti, più di 50mila dipendenti statali e lavoratori privati sono stati arrestati, sospesi o licenziati durante i concitati giorni che hanno seguito la drammatica nottata del 16 luglio.

Si stima che più di 20mila accademici e dipendenti delle università pubbliche e private siano stati sospesi dal ministero dell’educazione. Gli insegnanti con incarichi all’estero sono stati richiamati in patria.

6mila membri delle forze armate sono stati arrestati con l’accusa di aver partecipato o favorito il tentativo di colpo di stato, mentre più di 3mila giudici e circa 8mila poliziotti sono stati rimossi dal loro incarico.

Erdoğan, durante la conferenza stampa, ha sottolineato che “per la democrazia non si fanno compromessi” e che dietro i golpisti ci sarebbe la figura dell’ex alleato, e ormai nemico politico, Fetullah Gülen.

Gülen, predicatore islamico filo-occidentale attualmente in esilio negli Stati Uniti ma con una forte rete di influenza politica in Turchia, è stato una delle figure chiave che hanno favorito la scalata al potere di Erdoğan. Un’alleanza che si è rotta nel 2013 in seguito a un’inchiesta sulla corruzione che coinvolgeva anche il presidente turco e suo figlio Bilal.

Erdoğan ha chiesto ufficialmente agli Stati Uniti l’estradizione di Gülen e ha anche paventato la possibilità del coinvolgimento di potenze straniere nell’azione militare che aveva come scopo quello di rovesciarlo.

Tutti i governi occidentali hanno espresso solidarietà al presidente turco dopo il tentativo di golpe, ma hanno anche sottolineato una crescente preoccupazione per la deriva autoritaria e il mancato rispetto dei diritti umani da parte della Turchia.

In particolare, si teme che il governo reintroduca a breve la pena di morte. Preoccupazioni che la dichiarazione dello stato d’emergenza contribuisce ad aumentare.

Fonte: The Post Internazionale

mercoledì 20 luglio 2016

Un altro rinvio per il reato di tortura

La discussione del disegno di legge è stata sospesa in Senato perché mancava la maggioranza per farlo approvare: forse non se ne parlerà prima di settembre

La scuola Diaz dopo la violenta perquisizione eseguita durante il G8 di Genova nel luglio del 2001 (LUCA ZENNARO/ ANSA / LI)

Martedì 19 luglio il Senato ha sospeso l’esame del disegno di legge (ddl) che introduce il reato di tortura nel nostro ordinamento, un provvedimento atteso da tempo e molto discusso all’interno della maggioranza e delle opposizioni. Il ddl era stato già approvato alla Camera nell’aprile del 2015, dopo un primo passaggio in Senato, e il governo si era impegnato a farlo approvare in via definitiva in questi giorni dai senatori, ma non trovando un accordo che garantisse voti a sufficienza per renderlo legge si è deciso di sospendere tutto, evitando nel frattempo che il ddl tornasse in Commissione con un ulteriore allungamento dei tempi. La sospensione è arrivata dopo le richieste di Forza Italia, Lega Nord e Conservatori e Riformisti, e la riunione dei capigruppo del Senato ha successivamente deciso per la pausa, senza indicare una nuova data per la discussione. Il capogruppo del Partito Democratico in Senato, Luigi Zanda, ha detto che vorrebbe fare approvare la legge “prima della pausa estiva”, ma in molti pensano che non se ne farà qualcosa prima di settembre.

Il reato di tortura
L’Italia ha da tempo ratificato la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, ma non si è dotata di una legge specifica sul reato di tortura, inteso da parte di agenti di polizia e altri pubblici ufficiali. Il Codice penale prevede, all’articolo 608, limiti per le “misure di rigore” che le forze di polizia possono attuare nei confronti delle persone che si trovano in stato di fermo e arresto, ma non ci sono molti riferimenti a tutele e garanzie. Altri tre articoli (581, 582 e 612), sono invece dedicati ai comuni cittadini che procurano ad altre persone minacce, lesioni, danni fisici o psichici e prevedono pene fino a un massimo di 3 anni, ma non si applicano per i pubblici ufficiali e le forze di polizia. Il Codice penale non identifica reati specifici per azioni di questo tipo, compiute da chi è pubblico ufficiale, con abuso di autorità verso i singoli cittadini privati.

La condanna di Strasburgo
Nell’aprile del 2015, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per la condotta tenuta dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz al G8 di Genova del 2001, dove secondo i giudici le azioni della polizia ebbero “finalità punitive” con una vera e propria “rappresaglia, per provare l’umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime”. La Corte aveva quindi parlato di “tortura” e aveva invitato l’Italia a “dotarsi di strumenti giuridici in grado di punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o altri maltrattamenti impedendo loro di beneficiare di misure in contraddizione con la giurisprudenza della Corte”. La sentenza aveva riaperto il dibattito sul reato di tortura e aveva portato a un’accelerazione, seppure temporanea, della discussione di un nuovo disegno di legge in Parlamento. Associazioni e osservatori chiedono da tempo leggi più chiare su questo tema, anche alla luce di quanto avvenuto con i casi Cucchi, Aldrovandi e Uva.

Cosa c’è nel ddl sulla tortura
Il disegno di legge introduce il reato di tortura e lo rende punibile con la reclusione da 4 a 10 anni. Le pene sono diverse se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con aggravanti che a seconda dei casi possono portare alla reclusione da 5 a 12 anni. Se dal fatto deriva una lesione personale le pene sono aumentate: di un terzo se la «lesione personale è grave», della metà «in caso di lesione personale gravissima». Se dal fatto deriva la morte «quale conseguenza non voluta», la pena è la reclusione a trent’anni. Se la morte è causata da un atto volontario, la pena è l’ergastolo.

Nel ddl ci sono riferimenti anche al reato di istigazione a commettere tortura: un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio che istiga un collega rischia da sei mesi a tre anni, indipendentemente dal fatto se il reato di tortura sia poi commesso. Se viene verificato il delitto di tortura, le dichiarazioni ottenute tramite questo sistema non possono essere utilizzate in un processo penale. La prescrizione per il delitto di tortura ha un limite doppio e ci sono tutele per gli stranieri che rischiano pene corporali e persecuzioni nel caso di respingimento in altri stati.

Critiche
Il testo che avrebbe dovuto approvare in questi giorni il Senato è diverso da quello previsto in origine e che era stato proposto dal senatore del PD Luigi Manconi, che da molti anni si occupa dei temi legati ai casi di violenza da parte delle forze di polizia e della tutela dei diritti delle persone detenute. Lo scorso anno, dopo le modifiche attuate alla Camera, Manconi aveva definito il ddl un testo “mediocre”, ma comunque “meglio di niente”, considerati i continui rinvii sul tema decisi negli anni da governo e Parlamento. Altre critiche erano state sollevate circa la decisione di cancellare uno dei passaggi dell’articolo 5 del ddl, che prevedeva la creazione di un fondo per le vittime di tortura. Era inoltre stato fatto notare che le pene previste per le forze dell’ordine nei casi di condanne per tortura hanno massimi inferiori rispetto a quelli di diversi altri paesi europei.

La sospensione
Ieri il Senato ha deciso di sospendere l’esame del ddl, che fino a qualche giorno fa sembrava essere ormai prossimo all’approvazione definitiva. Mentre si sapeva già da tempo che Forza Italia e Lega Nord erano contrarie, negli ultimi giorni sono sorti dubbi e agitazioni all’interno dei partiti di centro che sostengono la maggioranza di governo in Senato, a partire da Nuovo Centrodrestra. Il ministro dell’Interno e leader del partito, Angelino Alfano, già a inizio settimana aveva detto che nel testo si doveva reinserire la parola “reiterate” nel primo articolo per rendere accettabile la legge.

L’aggettivo era stato aggiunto in fase di discussione trasformando in questo modo l’articolo 1:


Chiunque, con violenza o minaccia grave, cagiona reiterate lesioni o sofferenze fisiche o psichiche ad una persona, al fine di ottenere da essa o da altri informazioni o dichiarazioni ovvero di punirla per un atto che essa o altri ha commesso o è sospettata di aver commesso ovvero di intimorirla o di condizionare il comportamento suo o di altri, ovvero per motivi di discriminazione etnica, razziale, religiosa, politica, sessuale o di qualsiasi altro genere, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La stessa pena si applica a chi istiga altri alla commissione del fatto o non ottempera all’obbligo giuridico di impedirne il compimento.


Non era una modifica da poco, perché di fatto stabiliva che il reato di tortura fosse tale solo nel caso in cui ci fossero ripetute azioni che portano a lesioni o sofferenze. La parola, aggiunta con un emendamento dalla Lega Nord, è stata rimossa dal ddl su iniziativa di diversi senatori, ma portando ai nuovi dubbi sollevati da NCD, che avrebbero reso più difficoltoso il voto finale sul testo. Alfano aveva chiesto che “reiterate” fosse introdotto nuovamente, lasciando comunque aperta la possibilità di farlo alla Camera dopo il passaggio in Senato.

Il Partito Democratico ha però verificato che ci sarebbero state difficoltà a fare votare subito il ddl ai senatori centristi che sostengono il governo e, di conseguenza, dopo una riunione con il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha deciso di sostenere la sospensione del dibattito fino a data da destinarsi. Questa soluzione ha permesso di guadagnare tempo, evitando nel frattempo che venisse avanzata la richiesta di riportare il ddl in Commissione per ulteriori verifiche. Una decisione analoga è stata assunta per le modifiche al processo penale e ai tempi di prescrizione.

Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle hanno criticato il governo e la maggioranza per la sospensione, dopo che era stato preso l’impegno ad approvare il ddl in pochi giorni. Alfano ha definito invece “molto saggia” la decisione aggiungendo che “non possono esserci equivoci sull’uso legittimo della forza da parte delle Forze di Polizia”.

In questi giorni ricorrono i 15 anni dai fatti del G8 di Genova e del massacro alla scuola Diaz.

Fonte: Il Post

Donald Trump è ufficialmente il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti

Il magnate newyorkese si è assicurato l’ufficializzazione della nomination durante il secondo giorno di convention repubblicana che si sta tenendo a Cleveland, in Ohio

Il candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump durante la convention di Cleveland

Donald Trump è ufficialmente il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Sfiderà la democratica Hillary Clinton alle elezioni che si terranno l'8 novembre del 2016.

I delegati repubblicani si sono espressi a favore della sua nomina ieri martedì 19 luglio, durante il secondo giorno di convention del partito, a Cleveland, in Ohio.

Con un voto tenutosi per appello nominale, Trump si è assicurato il numero minimo di delegati, 1.237, per ottenere l’ufficializzazione della nomination.

Gli ultimi tentativi di opporsi dei suoi rivali, in particolare dopo le accuse rivolte a sua moglie Melania di aver plagiato il discorso dell’attuale first lady Michelle Obama, sono andati a vuoto.

Donald Trump compie quindi un primo importante passo formale che lo potrebbe portare al numero 1.600 di Pennsylvania Avenue, a Washington, dopo aver sconfitto ben 16 rivali interni in 13 mesi di campagna elettorale.

In totale, durante le primarie repubblicane, Trump ha vinto 1.725 delegati, seguito dal senatore texano Ted Cruz (475), dal governatore dell’Ohio John Kasich (120) e dal senatore della Florida Marco Rubio (114).

Dopo l’ufficializzazione della sua nomina, la convention repubblicana ha anche votato a favore della candidatura a vicepresidente dell’attuale governatore dell’Indiana, Mike Pence.

Donald Trump ha quindi esultato su Twitter: “È un grande onore essere il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Lavorerò duro e non vi deluderò mai. L’America prima di tutto!”.

La candidata democratica Hillary Clinton ha invece fatto un appello sul social agli elettori americani, chiedendo loro di fermare il magnate newyorkese prima che si insedi nello studio ovale.

In molti sondaggi, Trump è dato molto vicino alla sfidante. Il distacco sarebbe diminuito da 15 a 7 punti percentuali secondo un’inchiesta di Reuters/Ipsos.

Fonte: The Post Internazionale