venerdì 28 settembre 2018

Cosa si è deciso sul deficit e tutto il resto

Il governo ha trovato un accordo: si farà nuovo debito pubblico per permettere le misure chiamate impropriamente "reddito di cittadinanza" e "flat tax"

I ministri del Movimento 5 Stelle festeggiano l'approvazione della nota di aggiornamento del DEF, a Palazzo Chigi (Fabio Cimaglia / LaPresse)

Giovedì sera, dopo una riunione informale del governo durata circa quattro ore a Palazzo Chigi, il Consiglio dei ministri ha approvato la nota di aggiornamento del DEF, il documento con cui il governo indica i suoi piani economici triennali e che andava aggiornato perché era stato redatto per l’ultima volta dal governo Gentiloni. Le disposizioni contenute nel DEF – che sono ancora modificabili – sono quelle da cui dipenderà gran parte della manovra economica che il governo e il Parlamento dovranno approvare entro dicembre: la legge che di fatto permette allo stato di spendere i soldi pubblici e stabilisce come.

La questione di cui si era parlato di più era quella del deficit, cioè la parte di spesa eccedente le entrate che lo Stato si concederà di fare prendendo soldi in prestito. Il governo ha deciso che per i prossimi tre anni il deficit potrà essere del 2,4 per cento rispetto al PIL, molto più di quanto previsto dal governo Gentiloni – l’Italia ha già un enorme debito pubblico – e anche di quanto auspicava il ministro dell’Economia Giovanni Tria, e abbastanza per permettere di finanziare una serie di misure molto costose e molto care al Movimento 5 Stelle, prima tra tutte il cosiddetto “reddito di cittadinanza” (che è in realtà un più comune sussidio per i disoccupati).

Per il “reddito di cittadinanza” è stato previsto uno stanziamento di 10 miliardi di euro, che dovrebbero permettere anche un aumento delle pensioni minime a 780 euro e l’avvio di una riforma dei centri per l’impiego. Secondo il governo queste misure riguarderanno circa 6,5 milioni di persone sotto la soglia di povertà.

La nota di aggiornamento del DEF prevede anche “l’allargamento del fisco forfettario” per le piccole imprese (quindi non i dipendenti). È quella che impropriamente viene chiamata “flat tax” (perché la “flat tax” è tale, flat, se esiste un’unica aliquota per tutti) e prevede un’aliquota del 15 per cento per i lavoratori autonomi che riguarderà anche i versamenti dell’IVA (ma per ora non i redditi guadagnati). Il DEF parla anche di arrivare nei prossimi anni a un sistema fiscale basato su due aliquote IRPEF (l’imposta sul reddito) del 23 per cento e del 33 per cento per tutti i contribuenti.

Tra le altre decisioni del governo ci sono anche un parziale superamento della legge Fornero, con la possibilità di andare in pensione anticipatamente per circa 400mila persone in base alla cosiddetta quota 100; un fondo da 1,5 miliardi di euro per risarcire chi ha perso soldi nel fallimento di qualche banca; e un meccanismo per permettere di chiudere contenziosi con Equitalia per cifre inferiori a 100.000 euro. È la misura che il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini aveva chiamato “pace fiscale” e che di fatto è una sorta di condono fiscale: permetterà soltanto delle entrate una tantum. 

Secondo i primi calcoli fatti in base ai numeri disponibili al momento, il condono dovrà raccogliere almeno 14 miliardi di euro, oppure il deficit arriverà sopra il 3 per cento. Sia il DEF che la legge di bilancio che gli farà seguito possono ancora essere modificati in maniera radicale. Nelle prime ore del mattino, intanto, lo spread è cresciuto di circa 30 punti base.

La Commissione Europea valuterà la manovra il prossimo 16 ottobre e con questi numeri non potrà che rigettarla. A quel punto il governo avrà fino al 21 novembre per modificarla. Se non ci saranno cambiamenti, all’inizio dell’anno probabilmente sarà aperta una procedura per deficit eccessivo nei confronti del nostro paese. L’ultima procedura contro l’Italia era stata chiusa nel 2013 durante il governo Letta.

Fonte: Il Post

martedì 25 settembre 2018

Cosa c’è nel decreto “immigrazione e sicurezza”

Il governo ha abolito la "protezione umanitaria" e ha potenziato il DASPO urbano, tra le altre cose: cosa vuol dire?

(ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO)

Il Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto “decreto immigrazione e sicurezza” che tra le altre cose abolisce la “protezione umanitaria” e introduce altre restrizioni per gli stranieri che arrivano in Italia. Negli ultimi giorni erano circolate numerose anticipazioni del decreto, insieme a voci di malumori sul suo contenuto da parte del Movimento 5 Stelle e di dubbi della presidenza della Repubblica sul fatto che il testo abbia i requisiti di “urgenza” che sono necessari per approvare un decreto legge.

Per queste ragioni il testo ha subìto numerose modifiche negli ultimi giorni. Questi sono i punti principali del decreto, in base alle informazioni raccolte prima della sua approvazione.

  • Abolizione della protezione umanitaria. È una delle tre forme di protezione che si possono garantire agli stranieri insieme all’asilo politico e alla protezione sussidiaria (queste due regolate da trattati internazionali). Sarà sostituita da un permesso di soggiorno della durata di un anno per sei fattispecie specifiche, tra cui motivi civili, medici o per calamità naturali nel paese di origine. Chi oggi gode di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria (che ha durata biennale) lo perderà se fa ritorno nel suo paese di origine.
  • Revoca status di richiedente asilo. È una disposizione che allunga l’elenco di reati che comportano la sospensione della domanda d’asilo e causano l’espulsione immediata, con l’inserimento tra gli altri di violenza sessuale, lesioni aggravate e oltraggio a pubblico ufficiale. La revoca dello status di richiedente asilo a causa di violazioni di questo tipo dovrebbe arrivare dopo una sentenza di primo grado, il che rischia di essere incostituzionale visto che fino al terzo grado di giudizio c’è per tutti la presunzione di innocenza.
  • Revoca della cittadinanza. È una norma simile a quella approvata due anni fa in Francia e che prevede la revoca della cittadinanza per persone ritenute un pericolo per lo stato. La Corte Costituzionale, però, considera la cittadinanza tra i diritti inviolabili e anche questa disposizione rischia quindi di essere considerata incostituzionale.
  • Raddoppio del trattenimento. Nei Centri per il rimpatrio (i vecchi CIE) gli stranieri in attesa di espulsione potranno essere tenuti non più per 30 giorni, prorogabili per altri 15, ma per 60 giorni prorogabili di altri 30.
  • Nuove procedure per il noleggi di furgoni. Lo scopo della norma, secondo quanto riferito ai giornali, è rendere più complicato l’utilizzo di veicoli nel corso di attentati.
  • Aumento di pene per gli occupanti. Chi occupa abusivamente edifici o terreni potrà essere condannato a pene maggiori e nel corso delle indagini la magistratura sarà autorizzata a utilizzare intercettazioni telefoniche.
  • Estensione del DASPO urbano. Si tratta di un provvedimento introdotto dal decreto Minniti del 2017 che prevede che sindaco e prefetto possano multare e allontanare da alcune zone della città persone che mettono a rischio la salute di cittadini o il decoro urbano. Il decreto aggiunge alle aree proibite anche i mercati e include nella lista di chi può subire il DASPO anche i “sospettati di terrorismo internazionale”.
  • Ridimensionamento del sistema SPRAR. Nella conferenza tenuta al termine del Consiglio dei ministri, Salvini ha detto che lo SPRAR – il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, cioè quello della cosiddetta “seconda accoglienza” – continuerà ad esistere ma solo per «i titolari di protezione internazionale e per i minori non accompagnati».

Il decreto immigrazione e sicurezza entrerà in vigore non appena sarà firmato dal presidente della Repubblica. Il presidente, però, potrebbe rifiutarsi di farlo se dovesse ritenere che al decreto manchino i requisiti di “urgenza” necessari in questi casi. Se dovesse entrare in vigore, il decreto andrà convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni.

Fonte: Il Post

venerdì 7 settembre 2018

C’è un accordo su ILVA

In cambio della cessione della più grande acciaieria d'Europa, la società ArcelorMittal assumerà subito 10.700 degli attuali dipendenti e non farà esuberi

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

I sindacati italiani dei lavoratori metalmeccanici e la multinazionale ArcelorMittal hanno firmato l’accordo occupazionale su ILVA, la grande acciaieria di Taranto. L’accordo prevede l’assunzione diretta di 10.700 persone, mentre ad altri 3.100 operai sarà offerto un incentivo all’esodo di un valore complessivo di 250 milioni di euro, circa centomila euro a testa, e riceveranno una nuova offerta di lavoro dalla stessa ArcelorMittal per restare occupati almeno fino al 2023.

Le trattative, iniziate ieri, sono proseguite tutta la notte al ministero per lo Sviluppo economico con la partecipazione del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. Tutti i principali leader dei sindacati dei metalmeccanici che hanno condotto le trattative hanno detto di essere soddisfatti dell’accordo. Ora il testo sarà sottoposto al voto degli operai, che in teoria dovrebbero approvarlo a larga maggioranza. Soltanto dopo arriverà la firma formale dell’intesa.

Rispetto all’accordo precedente, che era stato raggiunto dall’ex ministro Carlo Calenda, questo accordo comporta l’assunzione immediata di 700 lavoratori in più. Inoltre non è più previsto l’intervento di Invitalia, una società di investimento pubblica che avrebbe dovuto assorbire gli esuberi. In base al nuovo accordo, degli esuberi si farà carico ArcelorMittal, offrendo posti di lavoro in altre aziende del gruppo senza penalizzazioni salariali o in termini di diritti. Altre 300 assunzioni sono state ottenute dalla trattativa avvenuta questa notte, che ha portato a un ulteriore miglioramento per i sindacati dell’offerta fatta da ArcelorMittal ieri pomeriggio.

L’accordo è arrivato nonostante le promesse fatte dal Movimento 5 Stelle in campagna elettorale, quando il suo fondatore Beppe Grillo aveva chiesto la chiusura totale dell’ILVA e la sua riconversione ad altre produzioni. L’ILVA di Taranto è una delle più grande acciaierie d’Europa ed è più estesa dell’intero abitato di Taranto. Negli anni però è stata responsabile di un grave inquinamento dell’area circostante e l’azienda che la gestiva in precedenza ha commesso svariate violazioni della normativa ambientale, ragione per cui nel 2012 la magistratura ne aveva ordinato il sequestro, innescando il lungo processo che attraverso il commissariamento pubblico ha portato l’acciaieria a essere venduta, all’inizio di quest’anno, al consorzio indiano ArcelorMittal. Il passaggio di proprietà era previsto per la metà di settembre, quindi sindacati e governo avevano pochi giorni per ultimare l’accordo e fare ulteriori richieste alla società.

Le trattative però sono rimaste in sospeso per mesi, principalmente a causa della volontà del ministro Di Maio che, in alcuni momenti, è sembrato incline a mantenere le promesse del fondatore del Movimento e bloccare l’intera acquisizione. Di Maio, per esempio, ha sostenuto che l’intera gara con cui ArcelorMittal si era aggiudicata l’acciaieria fosse irregolare. Alla fine, però, la procedura è risultata regolare e, dopo settimane di trattative culminate ieri notte, i sindacati sono riusciti a spuntare migliori condizioni in termini occupazionali, mentre il ministero ha ottenuto ulteriori garanzie dal punto di vista ambientale, con l’anticipo della copertura dei parchi minerari dal 2020 al 2019.

Fonte: Il Post

giovedì 6 settembre 2018

Bisogna sequestrare 49 milioni alla Lega

Il Tribunale del Riesame ha accolto la richiesta della procura di Genova

(ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)

Il Tribunale del Riesame ha accolto la richiesta della procura di Genova di provvedere al sequestro dei 49 milioni di euro che, secondo una sentenza di primo grado dello stesso tribunale, la Lega avrebbe ottenuto in maniera fraudolenta tra 2008 e 2010 e non ha mai restituito. La procura aveva chiesto di poter sequestrare non solo tutto il denaro oggi riconducibile al partito, ma anche i proventi futuri fino alla copertura totale dei 49 milioni di euro. Secondo Repubblica, al momento sui conti correnti della Lega ci sono 5 milioni di euro.

La richiesta della procura deriva a sua volta dalla condanna per truffa ai danni dello stato ricevuta dal fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, dall’ex tesoriere del partito, Francesco Belsito, da tre dipendenti del partito e due imprenditori. Il procedimento riguardava i rimborsi elettorali ricevuti dalla Lega – che allora si chiamava Lega Nord – tra il 2008 e il 2010, che erano stati utilizzati invece per spese personali.

Il Tribunale del Riesame aveva già respinto una volta la richiesta di sequestro della procura, che in risposta aveva fatto ricorso. All’inizio di luglio la Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza, obbligando il Tribunale a tornare sul caso caso tenendo conto delle sue osservazioni (sostanzialmente, la Cassazione ha detto che è legittimo sequestrare tutti i futuri proventi della Lega).

Ora bisognerà capire, dai dettagli della sentenza, come la procura potrà procedere al sequestro: se per esempio potrà sequestrare il denaro anche delle organizzazioni territoriali e delle fondazioni e associazioni affiliate al partito. Secondo l’Espresso, il Tribunale avrebbe dato un’autorizzazione molto estensiva alla procura: «La sentenza della Cassazione e la conferma di oggi del tribunale del Riesame di Genova danno la possibilità di aggredire anche questo denaro». A questo punto non è ancora chiaro se un eventuale ricorso alla Cassazione da parte degli avvocati della Lega potrebbe bloccare i sequestri. Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e dirigente della Lega, aveva detto pochi giorni fa che la sentenza del riesame avrebbe portato alla “fine” della Lega.

Fonte: Il Post